Dagli studi messi a disposizione dalla comunità scientifica internazionale sulle donne in gravidanza e nel puerperio arrivano notizie piuttosto rassicuranti che ci permettono un cauto ottimismo: contrariamente a quanto accade per altri virus, come ad esempio l’influenza – che ci inganna perché sembra innocua e in gravidanza non lo è –, la COVID-19 non sembra avere un decorso più grave nelle donne in gravidanza rispetto alla popolazione generale.
Nelle casistiche finora pubblicate (circa 30 donne, quasi tutte nel terzo trimestre di gravidanza), le condizioni cliniche sono state paragonabili a quelle delle donne non in gravidanza, se non addirittura migliori.
Chiaramente la situazione è ancora in evoluzione, i dati sono relativamente pochi e le indicazioni potrebbero cambiare con la pubblicazione di casistiche più ampie. Stiamo affrontando uno scenario nuovo, in monitoraggio continuo, e dobbiamo attenerci alle informazioni a disposizione.
Relativamente alla salute del bimbo in utero non ci sono molti studi disponibili. Da quel che sappiamo, rispetto alle precedenti epidemie dovute ad altri coronavirus (SARS in Cina nel 2003 e MERS in Arabia Saudita nel 2012), durante le quali erano stati descritti importanti esiti perinatali infausti (tra cui interruzione di gravidanza, ritardo di crescita, parto pretermine), il virus SARS-CoV-2 si comporta molto meglio: ad oggi non sono stati descritti esiti negativi per i bambini nati da madri che avevano contratto la COVID-19 nel terzo trimestre. Stiamo aspettando, per cautela, di vedere come proseguono le gravidanze delle donne che hanno contratto il virus nel primo e secondo trimestre di gravidanza.
I bambini e le mamme studiati e descritti sono soltanto una trentina: questo primo dato è quindi piuttosto piccolo, troppo piccolo per permetterci di prendere sotto gamba l’infezione e assumere comportamenti imprudenti.
Un’ultima buona notizia: sembra che si possa escludere la trasmissione verticale, cioè dalla madre al bambino durante la vita endouterina. Il virus non è mai stato rilevato nel liquido amniotico, nel sangue del cordone ombelicale, e nessun bambino nato da madre infetta è risultato positivo.
Le poche notizie disponibili su COVID-19 in gravidanza sono quindi per ora piuttosto positive e rassicuranti.
Seguendo le norme previste dall’OMS e dal Ministero il rischio di contagio è molto basso e il bimbo in utero ha ottime possibilità di crescere e restare in piena salute (a tal proposito, vi invitiamo a leggere anche il nostro articolo Coronavirus e bambini: le domande frequenti).
«Ci mancava solo il Coronavirus», ce lo siamo dette davvero in tante.
Chi si occupa di salute perinatale, intesa come benessere psichico, fisico e psicosociale dal concepimento all’anno di età del bambino, sa bene quanto questo sia un periodo di grandissima trasformazione interiore, di grande lavorio, di sbalzi emotivi, di sfide, conquiste e rese.
Il percorso di genitorialità è sempre impegnativo e trasformativo, anche quando la positività prevale sui momenti più faticosi e difficili; se in un quadro del genere, già di grande impegno e lavoro, inseriamo il terremoto scatenato dalla COVID-19 e da tutte le conseguenti limitazioni imposte dall’epidemia, ecco che le rose e i fiori lasciano il posto a un carico di stress che è molto importante saper gestire e contenere.
Nessuno è immune dallo stress, perché lo stress attiva e stimola nel nostro organismo una risposta più o meno efficace, più o meno salutare. L’obiettivo della risposta allo stress è quello di ritornare il più velocemente ed efficacemente possibile a una condizione di equilibrio interiore. Questa risposta si può esprimere in tanti modi, spesso mediati sia dal nostro carattere sia dai codici di comportamento appresi dalla nostra famiglia o dalla nostra cerchia sociale: una risposta allo stress piuttosto diffusa è quella di ignorare il pericolo, perché è troppa l’ansia da gestire, minimizzarlo, ridicolizzare chi è preoccupato. Un’altra risposta comune è, al contrario, enfatizzare il pericolo, vedendolo anche dove non c’è e mettendo in atto tutta una serie di schemi di evitamento del danno per ridurre lo stato di allerta.
Quindi la COVID-19 ci insegna che di fronte a un’emergenza il nostro sistema di risposta allo stress si attiva nei modi più disparati: pensiamo a noi stesse, ai nostri partner, ai nostri parenti stretti, o agli amici, per avere un quadro generale di quanto diversa può essere la reazione di fronte a un evento stressante.
La gravidanza rappresenta di per sé un’esperienza che altera gli equilibri interni ed esterni e che richiede un continuo riadattamento. Sappiamo che l’ansia in gravidanza e nel puerperio è un disturbo ben conosciuto dagli operatori sanitari e dalle madri stesse, più diffusa e più intensa nelle madri e nelle coppie con pregressi eventi di vita traumatici (come aborto, morte perinatale, malattia di un proprio caro) e particolarmente tenace: non si attenua infatti con la nascita di un bambino in buona salute, ma tende a mantenersi intatta, ad amplificarsi e talvolta a complicarsi.
Bisogna ricordare, soprattutto ai tempi del Coronavirus, che essere ansiosi non è un capriccio, non è un modo per attirare l’attenzione degli altri e non è indice di debolezza.
L’ansia è una delle possibili risposte allo stress. Una risposta esagerata, che vorrebbe proteggerci da eventi che percepiamo come pericolosi, incombenti sulla nostra vita e fuori dal nostro controllo. Vorrebbe esserci d’aiuto, ma spesso complica solo le cose e incide sul nostro benessere.
Il Coronavirus arriva a dare il colpo di grazia alla nostra ansia (le mamme che già ne soffrivano, in questi giorni devono fare i conti con il suo peggioramento e quello dei suoi sintomi accessori); di questo effetto psichico ed emotivo dell’epidemia occorre tenere conto, se vogliamo mantenere un livello accettabile di benessere e cercare di goderci il più possibile la nostra gravidanza e il nostro neonato.
So bene che è molto difficile lasciarsi rassicurare: sono settimane che si parla solo di Coronavirus, si contano i morti e la mancanza di posti letto nelle strutture ospedaliere si associa alla paura inconscia di essere abbandonate al proprio destino e lasciate sole in caso di bisogno.
Gestire gli eventi stressanti senza cadere vittime dell’ansia è un obiettivo ambizioso che tutti ci dovremmo porre. Per gestire l’ansia occorrono tre cose:
Approfondire questi elementi ci serve per provare ad accogliere la nostra preoccupazione per quella che è, senza minimizzare e senza esagerare, cercando di trovarle uno spazio definito ed evitare che esondi.
Ecco alcuni spunti per gestire l’ansia durante questa epidemia; essere chiuse in casa può rivelarsi un’opportunità, se ci focalizziamo sulle nostre priorità:
Perché i nostri bambini percepiscono l’ansia anche dall’utero, e sono molto sensibili alle nostre onde emotive. Provare un po’ di ansia non significa essere paralizzati dall’ansia, e un’onda non è uno tsunami. Se questa situazione dovesse farti sentire sovraccarica e fuori controllo, discutine con il tuo medico e con un terapeuta esperto di emergenze. Puoi consultare la pagina EMDR Italia per saperne di più. [1]
Un modo per gestire al meglio questa situazione anomala è cercare di essere costanti nelle abitudini e stili di vita:
Attualmente ci sono pochi dati su COVID-19, neonati e allattamento. Tuttavia, ad oggi il virus non è mai stato rilevato nel latte materno o nel colostro, né si sono verificate infezioni a seguito dell’allattamento materno (al seno o con latte spremuto) in bambini nati da donne affette da COVID-19.
Sebbene alcuni autori cinesi suggeriscano cautela nell’allattare al seno se si è positive al virus, proponendo di isolare le madri dai neonati per 14 giorni e spremendo nel frattempo il latte, le principali linee guida internazionali consigliano che – in condizioni cliniche che lo permettano, e nel rispetto del desiderio della madre – l’allattamento, anche in casi di madri infette, sia avviato e/o mantenuto direttamente al seno o con latte materno spremuto. Naturalmente, poiché la preoccupazione principale è che il Coronavirus possa essere trasmesso tramite aerosol, le madri positive al virus che allattano devono lavarsi le mani e indossare una maschera chirurgica prima di toccare il bambino. Sempre nel caso in cui la madre sia positiva, la culla del bimbo deve essere tenuta almeno a due metri di distanza dal letto della mamma, possibilmente separata con una tenda.
Per le madri negative al virus, invece, le norme di comportamento sono le stesse che valgono per tutte le altre persone e che ormai conosciamo bene (lavarsi le mani, starnutire nel gomito, distanziamento sociale, ecc.): la gestione del neonato può avvenire come si è sempre fatto prima del Coronavirus, coccole comprese.
Se sei in gravidanza chiedi ai parenti e agli amici di non venirti a trovare di persona in queste settimane di isolamento: come sai il distanziamento sociale riduce la diffusione del virus ed è molto importante attenersi alle norme previste.
Abbiamo a disposizione i social network, che ci permettono di rimanere in contatto con parenti e amici in sicurezza. Se i nonni o i bisnonni sono lontani, ad esempio, puoi decidere di farti una foto alla settimana e mandargliela per renderli partecipi della crescita del pancione. Ti resterà poi come ricordo e potrai mostrarla al bimbo quando sarà più grandicello e gli racconterai quale anno particolare è stato quello della sua nascita.
Se il tuo bambino è già nato, il gioco si fa duro e molte mamme devono tirare fuori l’artiglieria pesante. Sappiamo bene che l’arrivo di un neonato in famiglia scatena atavici istinti di accudimento anche nelle persone più insospettabili: i neonati, con i loro piedini, la loro pelle profumata e i loro occhioni spalancati sono un richiamo irresistibile. Tutti vogliono vedere il neonato, tutti lo vogliono toccare, tutti lo vogliono prendere in braccio.
In questo momento in Italia ci sono migliaia di donne in gravidanza e da gennaio a oggi sono nati circa 80.000 bambini (più o meno 1200 al giorno). La maggior parte dei neonati torna a casa entro i primi tre giorni dopo il parto. In ospedale l’accesso è regolamentato a dovere, proprio per limitare i contatti e ridurre il rischio di contagio. A casa, dobbiamo regolamentarci da soli. E questo può essere un grave problema là dove le nuove norme di comportamento non siano ancora entrate a regime.
Comprendo bene lo stato emotivo che si crea in questi casi, la sensazione di dover avere riguardi e attenzioni per tutti i nostri cari: le mamme che tornano a casa devono essere consapevoli che al carico normale legato al puerperio, croce e delizia della neomaternità, si aggiunge quello dovuto all’epidemia in corso.
Gli amici e i parenti hanno quindi l’obbligo morale di non insistere: le neomamme non hanno bisogno di stress aggiuntivi, a maggior ragione adesso con il Coronavirus che gira indisturbato.
Una versione costantemente aggiornata delle indicazioni relative alla gestione dell’emergenza COVID-19 nel periodo perinatale è disponibile sulla pagina dell’associazione CiaoLapo ETS. [2]
Medico psichiatra e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Si è perfezionata in psicologia clinica perinatale e in linguaggi narrativi e letteratura per l'infanzia e l'adolescenza. Ha un Master Universitario in Disturbi alimentari in età evolutiva e un Master Interuniversitario europeo in Neuroscienze dell'umore. Attualmente è dottoranda di ricerca in Neuroscienze con un progetto sulla salute mentale in epoca perinatale.