Per ogni genitore e ogni insegnante c’è qualcosa di “magico” nella rapidità e nella naturalezza con cui la maggior parte dei bambini di 5 o 6 anni, in appena tre mesi di scuola circa, imparano a trasformare quel complesso sistema di simboli che forma l’alfabeto in parole di senso compiuto. «A Natale già imparano a leggere!», è il commento che spesso si sente dire durante la prima classe di scuola primaria.
Purtroppo, però, non per tutti i bambini è così. Alcuni non imparano a leggere né a Natale, né a Pasqua, o comunque se riescono lo fanno con molta fatica. In alcuni casi, genitori e insegnanti si mettono subito in allarme, ipotizzando diagnosi troppo precoci ed errate; in altri invece si lascia passare del tempo, sperando che la questione passi. A volte, troppo tempo. Ne è una prova il fatto che, sempre più di frequente, vengono richieste consulenze per possibili diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento della lettura (dislessia) in persone adulte, spesso studenti universitari che hanno affrontato con grande fatica il loro percorso scolastico, seppur raggiungendo buoni risultati.
Nonostante da alcuni anni si senta parlare spesso di dislessia, per molti non è ancora del tutto chiaro cosa si intenda con questo termine. Cerchiamo dunque di fare chiarezza su cosa sia la dislessia e anche su come riconoscerla.
Il significato della parola dislessia va rintracciato, come sempre, nella lingua greca, e indica una disfunzione (dys) nell’uso delle parole o del linguaggio (lexis). Tuttavia la dislessia non riguarda il linguaggio nel suo complesso ma, in particolare, la lettura.
Questo disturbo può insorgere sia nelle persone che avevano già imparato a leggere, sia nei bambini che invece non imparano mai a farlo nel modo corretto. Nel primo caso si parla di “dislessia acquisita”, o “dislessia negli adulti”, visto che colpisce generalmente le persone adulte, e dipende da un trauma cerebrale o una malattia neurologica che colpisce le zone dell’emisfero sinistro del cervello. La forma di dislessia che insorge nei bambini nel corso dell’apprendimento è invece chiamata dislessia evolutiva.
La dislessia evolutiva, per le sue caratteristiche, è annoverata tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento o DSA. Questi disturbi si manifestano nel corso dei primi due o tre anni della scuola primaria e si traducono in una “inabilità” ad apprendere a leggere, a scrivere o a far di conto. I DSA si manifestano in bambini che hanno un livello di intelligenza nella norma e non presentano problemi sensoriali, psicologici o culturali. Non dipendono da malattie neurologiche, ma da un diverso sviluppo delle funzioni cerebrali che porta questi bambini a possedere “caratteristiche” di funzionamento in parte diverse dai coetanei.
Non dimentichiamo infine che la dislessia ha una carattere di cronicità, e che quindi un bambino con dislessia evolutiva diventerà un adulto con dislessia evolutiva.
Sin dai primi mesi della scuola primaria il bambino con dislessia presenta una certa lentezza nell’apprendere a leggere. Fa fatica a memorizzare le lettere dell’alfabeto e spesso le confonde tra loro. Alcuni bambini confondono le lettere che hanno caratteristiche visive simili. Un caso tipico è quelle delle lettere simmetriche, come “p”, “q”, “d”, “b”, oppure “u” e “n”. Queste lettere, nello stampato minuscolo, differiscono tra loro solo per l’orientamento spaziale, essendo identiche in tutto il resto. Altri bambini tendono a confondere le lettere che hanno suono, pronuncia e luogo di articolazione simile, come “f” e “v” (entrambe labio-dentali) o “t” e “d” (entrambe dentali).
Ovviamente, tutti i bambini ai loro esordi nel mondo della lettura fanno questo tipo di errori, ma li superano appunto dopo pochi mesi di scuola. Altri possono continuare ad avere bisogno di sforzarsi ogni volta che devono interpretare una lettera, anche nel corso di tutta la loro vita. Questo li porta a essere particolarmente lenti e imprecisi nella lettura e soprattutto a stancarsi molto nello svolgimento di questa attività.
Altri sintomi della dislessia possono presentarsi più avanti, quando il bambino deve leggere parole e frasi in modo fluente. Questo è il momento in cui si possono iniziare a distinguere le due diverse forme di dislessia evolutiva, quella fonologica e quella superficiale o visivo-globale.
Nel caso della dislessia evolutiva fonologica, il bambino riconosce le singole lettere di una parola ma non riesce a “fondere” insieme i suoni per leggere l’intera parola. Questo tipo di lettura viene tipicamente definita lettera-per-lettera. Un passaggio successivo si ha quando il bambino inizia a sillabare, ma, anche in quel caso, si passa a una lettura sillaba-per-sillaba senza riuscire a leggere fluentemente parole intere o frasi. I bambini con dislessia evolutiva fonologica presentano quindi lettura ad alta voce poco automatizzata, imprecisa, lenta e faticosa, ma possono avere una discreta comprensione del testo.
I sintomi prevalenti della dislessia evolutiva superficiale o visivo-globale riguardano invece la comprensione di parole che sono scritte allo stesso modo ma hanno pronuncia e significato diverso, oppure di parole che hanno lo stesso suono ma significato diverso. Ad esempio, poiché nella lingua italiana non usiamo accentare le parole nel testo, una lettura ad alta voce corretta della parola “ancora” si può ottenere solo comprendendo il senso della frase («Sei ancora a casa?» versus «la nave ha gettato l’ancora»). Pertanto, un bambino o ragazzo con dislessia evolutiva superficiale può avere qualche esitazione a pronunciare correttamente la parola “ancora” nei due contesti e tenderà a dire “ancóra” perché è la versione più frequente tra le due, oltre che quella regolare (le regole della lingua italiana, infatti, prevedono generalmente l’accentazione sulla penultima sillaba).
Altre forme omofone non riguardano singole parole ma coppie “articolo-parola” o “preposizione-parola”, come “l’ago” che può essere confusa con “lago” oppure “divino” che può essere confusa con “di vino”. In generale, questo tipo di errori sono sintomi del fatto che il bambino o ragazzo, quando legge, si basa esclusivamente sul suono di ciò che legge e sul contesto generale della frase o sulle caratteristiche visive del testo. Nella dislessia evolutiva superficiale, quindi, il problema principale può essere relativo alla comprensione del testo, anche in presenza di una lettura ad alta voce scorrevole.
Molto spesso non è possibile distinguere la forma fonologica della dislessia evolutiva da quella superficiale, in quanto alcuni bambini presentano difficoltà sia nei compiti di lettura fonologici che in quelli visivo globali. Esiste infatti nella letteratura scientifica un certo dibattito sull’opportunità di distinguere queste due forme, ma di fatto, nelle più recenti classificazioni diagnostiche internazionali, non si fa riferimento a tale distinzione, che può essere però molto utile per un’analisi qualitativa delle difficoltà di lettura che il bambino presenta.
Va detto che molti problemi di lettura, ad esempio quelli relativi alla memorizzazione e identificazione delle lettere, coinvolgono inevitabilmente, almeno nelle prime fasi di apprendimento, anche la scrittura. Molto frequentemente il bambino che confonde la “p” con la “q” quando legge, tende a fare lo stesso errore anche quando scrive. In quest’ultimo caso ci troviamo in presenza di disortografia o disgrafia, che riguardano rispettivamente la persistente presenza di errori ortografici nel testo scritto o la difficoltà a eseguire il complesso compito fino-motorio della scrittura.
Come si è già detto, la dislessia è un disturbo del neurosviluppo. Ciò significa che non è dovuta a scarso impegno da parte del bambino né a scarse capacità didattiche degli insegnanti, ma a una modalità di funzionamento del piccolo che non risulta compatibile con i sistemi di lettura inventati dall’essere umano, che vanno di certo bene per la maggioranza degli individui ma evidentemente non per tutti!
In particolare, alcuni bambini non sviluppano adeguate abilità fonologiche, visuo-percettive, attentive e di memoria che sono alla base dell’apprendimento della lettura. Esiste una letteratura scientifica vastissima che dimostra infatti che alcuni bambini o ragazzi con dislessia, soprattutto nelle forma fonologica, presentano già dalla scuola dell’infanzia carenze in una serie di processi di natura fonologico-linguistica, quali l’integrazione uditivo-temporale (cogliere le sequenze di suoni), la consapevolezza fonologica (individuare i suoni all’interno delle parole), la capacità di denominazione rapida (recuperare velocemente dalla memoria i nomi di oggetti conosciuti) e la memoria fonologica a breve termine (ricordare sequenze di suoni, lettere e parole). Questa è anche la ragione per cui molti bambini con dislessia hanno anche una storia di ritardo nell’acquisizione di alcune abilità di linguaggio.
Nei soggetti con dislessia superficiale, invece, sono state spesso rintracciate delle carenze nei processi visuo-percettivi e nella motilità oculare. Questi sarebbero responsabili delle difficoltà nel seguire il rigo, o della sensazione, spesso riferita, che le lettere “ballino” sul foglio o che si “affollino” (effetto noto con il termine “crowding visivo”) sovrapponendosi e affastellandosi le une con le altre.
Nei bambini che hanno difficoltà nella comprensione del testo, infine, si osservano delle particolari carenze nella cosiddetta memoria di lavoro, un sistema di memoria a breve termine che ci accompagna in ogni attività quotidiana e che ha la funzione di consentirci di mantenere in memoria le informazioni già elaborate mentre contemporaneamente elaboriamo le nuove in arrivo. D’altra parte, quando cerchiamo di spiegare cos’è la memoria di lavoro, usiamo spesso l’esempio della comprensione del testo. In questo caso, infatti, la memoria di lavoro è quel processo dinamico di memoria che consente di tenere a mente il significato delle prime parti di una brano mentre elaboriamo le parti successive, così da poter integrare l’insieme delle informazioni per comprendere il testo.
La “valigetta degli attrezzi” dei professionisti deve essere dotata di specifici test per riconoscere la dislessia negli adulti e nei bambini. Grazie al lavoro di molti colleghi italiani (soprattutto del gruppo del Prof. Cornoldi dell’Università di Padova, e del Prof. Giacomo Stella dell’Università di Modena e Reggio Emilia), sono oggi disponibili diverse tipologie di prove standardizzate per la valutazione della lettura in bambini, adolescenti e adulti. L’importanza di questi strumenti risiede nel fatto che sono tarati per diverse fasce d’età e anni di scolarizzazione, consentendo quindi di misurare la discrepanza tra le abilità che un bambino o ragazzo possiede e quelle che dovrebbe avere secondo ciò che si rileva statisticamente nella popolazione dei coetanei. Inoltre, è importante valutare il funzionamento degli specifici processi di lettura.
I test per la dislessia valutano, pertanto, una serie di processi, quali:
Non è sufficiente che un soggetto (bambino, adolescente o adulto) non superi un test di lettura per diagnosticare una dislessia. Come riconoscerla allora? Per capire se effettivamente siamo in presenza di questo disturbo è necessario valutare anche il profilo cognitivo del bambino, per escludere la presenza di problemi cognitivi generalizzati (quindi situazioni di funzionamento intellettivo limite o di disabilità cognitiva). Inoltre, è importante un’approfondita anamnesi che consenta di verificare la storia clinica e scolastica del bambino, anche per escludere la presenza di eventuali problemi sensoriali o situazioni ambientali che possano aver ostacolato l’apprendimento. Infine, è sempre bene valutare anche i processi di scrittura e le competenze in area matematica, per capire se ci si trova in presenza di un DSA misto (e quindi anche di disortografia e/o discalculia) o solo di una dislessia.
La diagnosi di dislessia può essere condotta da psicologi e neuropsichiatri infantili, anche in collaborazione con logopedisti e pedagogisti, e può essere svolta sia presso le sedi del Sistema Sanitario Nazionale sia affidandosi ai professionisti che operano nel privato. I professionisti sono tenuti a rispettare, nel loro processo diagnostico, specifici criteri indicati nelle linee guida sui DSA. Tra questi non bisogna dimenticare il più importante: la diagnosi di dislessia non deve essere posta prima della fine della seconda classe della scuola primaria, al fine di dare al bambino tutto il tempo necessario per consolidare i suoi apprendimenti ed evitare di incorrere in falsi positivi.
Sebbene la diagnosi di dislessia debba essere fatta da professionisti esperti, gli insegnanti hanno un ruolo determinante nella sua identificazione. Un insegnante dovrebbe sempre accorgersi se un bambino non segue il ritmo degli altri, e senza pervenire a facili diagnosi o etichette improprie, è giusto che segnali ai genitori i suoi eventuali dubbi. Anche se, come già detto, la diagnosi non può essere emessa prima delle fine della seconda classe, tuttavia durante i primi due anni di scuola primaria si possono comunque fare delle valutazioni per monitorare l’andamento dei bambini e cominciare ad aiutarli in modo personalizzato. Ciò, in effetti, è possibile anche dalla scuola dell’infanzia, se ad esempio si riscontra una certa carenza nei processi fonologici, visuo-percettivi o di memoria a cui si è accennato sopra, valutabili già prima dell’apprendimento della lettura.
Gli insegnanti e il sistema scolastico nel suo complesso sono determinanti anche per il modo in cui il bambino o adolescente con dislessia potrà vivere le sue difficoltà e affrontare il percorso di studi. In ambito scolastico, infatti, in presenza di una diagnosi di dislessia, è necessario che la scuola adotti le misure previste dalla Legge sulla dislessia e sui DSA n. 170 dell’8 ottobre 2010, “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”. La legge prevede che il consiglio di classe, sulla base di quanto riportato nella relazione diagnostica degli esperti, predisponga per l’alunno con dislessia un PDP (Piano Didattico Personalizzato) che ha la funzione di mettere il bambino nelle condizioni di apprendere e di non essere penalizzato nella valutazione. Il PDP deve quindi prevedere l’adozione di alcuni strumenti compensativi, che hanno la funzione di sopperire a una o più funzioni deficitarie dell’alunno. Per il bambino che presenti problemi nella lettura, può essere suggerito l’uso della sintesi vocale, un software che legge con voce artificiale il testo scritto, consentendo all’alunno di comprendere il contenuto senza di fatto leggere. Questo può essere utile sia durante lo svolgimento dei compiti a casa sia d’aiuto durante la scuola primaria, media e superiore. Un altro strumento compensativo, utile soprattutto durante la scuola secondaria, è l’uso delle mappe concettuali o in generale di schemi e scalette che aiutino i ragazzi a organizzare il discorso durante le interrogazioni orali. Non va dimenticato infatti che la maggior parte dei bambini con dislessia ha anche problemi di memoria di lavoro, e un supporto in tal senso è sempre necessario.
Il PDP deve anche indicare le misure dispensative che verranno adottate. Ad esempio, generalmente si suggerisce di dispensare l’alunno con dislessia dalla lettura ad alta voce in classe, che può risultare frustrante per la presenza dei numerosi errori. Per i compiti in classe o per le situazioni d’esame, invece, si suggerisce di dispensare gli alunni del 30% di domande o esercizi previsti, oppure di dare il 30% di tempo in più per svolgere il test. Una mia personale rilettura della normativa mi ha indotto, già da anni, a suggerire un’ulteriore indicazione per gli insegnanti: dare lo stesso compito e lo stesso tempo a disposizione del resto della classe, ma effettuare una valutazione del 70% della prova nel caso l’alunno non riesca a completarla in tempo. Ciò perché sia un compito ridotto sia un tempo maggiorato creano una situazione di differenziazione che può risultare frustrante per l’alunno con dislessia e anche difficile da gestire sotto il profilo organizzativo (l’ora finisce, suona la campanella, tutti gli altri compagni hanno già terminato e non ci sono le condizioni per lavorare serenamente in classe). Al contrario, se l’alunno con dislessia ha la possibilità di svolgere l’intero compito ma sa che se non riesce a terminarlo non sarà penalizzato per questo, potrà affrontarlo con serenità potendo di volta in volta provare ad andare oltre il suo 70% previsto dalla legge.
Occorre comunque precisare che, normative a parte, la relazione che si instaura tra gli insegnanti e gli alunni rimane, sempre e comunque, ciò che fa la differenza tra uno studente ben adattato e un percorso scolastico comunque di successo e uno studente che ricorderà per sempre la scuola come un luogo di tortura. In questi anni ho conosciuto molti docenti attenti alle normative ma solo sotto il profilo formale, dunque più per non violare la legge che per creare una vera e propria relazione didattica, e altri che hanno saputo invece essere ottimi docenti anche in assenza di diagnosi e certificazioni.
La ricetta del docente competente è, a mio avviso, quella di chi attiva tutte le procedure previste dalla legge, in funzione del fatto che l’alunno ne avrà bisogno anche nelle classi successive e all’università, ma che al contempo non “sospende” la sua azione didattica in attesa di una diagnosi o di una certificazione, né tantomeno la limita a quanto indicato in relazione diagnostica. La ricetta del docente competente prevede in realtà tanti altri ingredienti: empatia e autorevolezza, capacità di coaching motivazionale, coinvolgimento, innovazione, creatività… Per comprendere meglio di cosa parlo, può essere utile la visione del bellissimo film sulla dislessia Stelle sulla terra, di Aamir Khan, del 2007.
Come si è già detto, la dislessia è un disturbo del neurosviluppo e ha una certa cronicità. Ciò vuol dire che non sempre il semplice fatto di esercitarsi risolve del tutto il problema, anche se può certamente ridurlo.
Nei casi di dislessia nei bambini è pertanto fondamentale avviare un percorso di potenziamento che aiuti il piccolo ad automatizzare alcune procedure, a leggere più velocemente, ad ampliare il numero di parole riconoscibili visivamente e quindi a migliorare la comprensione del testo. Esistono in commercio e anche come risorse libere centinaia di libri di esercizi o anche software multimediali che possono essere utilizzati dagli operatori e in alcuni casi anche dagli stessi genitori. Quello che conta però è la scelta dell’esercizio giusto in funzione dello specifico tipo di dislessia, e per questo è sempre necessario il parere di un esperto.
Questo è anche il motivo per cui nei casi di dislessia evolutiva negli adulti non si può pensare di proporre degli esercizi di lettura da scuola primaria, ma è invece necessario l’uso di strumenti compensativi (tra tutti, la sintesi vocale) e di metodi di studio personalizzati. Sia con i bambini sia con gli adulti, in ogni caso, è sempre necessario evitare ogni forma di “accanimento didattico”, che non risolverebbe i problemi di lettura e potrebbe invece causare grande frustrazione e odio verso la lettura.
D’altra parte, è noto come molte persone abbiano avuto grande successo in ambito scientifico (tra tutti, Albert Einstein) o nel mondo dello spettacolo (ad esempio Steven Spielberg o Mika) nonostante la dislessia. Proprio il fatto che Einstein, da molti considerato il genio dei geni, e molte altre persone di successo siano o siano state dislessiche, ha incoraggiato a pensare che la dislessia rappresenti una “caratteristica” piuttosto che un disturbo, ovvero una modalità diversa di elaborare l’informazione scritta da persone altrimenti (o proprio per questo?) brillanti, e che non comprometta in alcun modo le possibilità di raggiungere una vita di successo.
In conclusione, possiamo dire che non tutto il male viene per nuocere e che ogni bambino o adulto con dislessia ha anche diritto a essere dislessico!
Ph. D. in Psicologia, è ricercatrice e Professoressa Aggregata presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo. Da diversi anni si occupa di Intelligenza Emotiva ed è autrice di diversi articoli di ricerca e libri sul tema.