Sono moltissimi, in Italia, i morti causati dalla COVID-19. Penso ai tanti bambini che in queste lunghe settimane hanno perso un proprio caro: il nonno, la nonna, lo zio, un parente cui erano legati, un affetto che faceva parte della quotidianità dei piccoli. E adesso? Come si fa? Cosa si può dire ai bambini della morte? Come affrontare il loro dolore, che è anche il nostro? Come proteggerli dalla sofferenza? Come dire quelle parole che non avremmo mai voluto pronunciare?
Parlare ai bambini della morte può sembrare spaventoso, in primo luogo perché noi adulti non siamo abituati a farlo: “morte” è una parola difficile da pronunciare, da pensare, da accettare, un pensiero che fa paura e vogliamo allontanare. La morte, in generale, è uno dei grandi tabù della nostra società. Genitori e adulti tendono a proteggere i piccoli dall’argomento, convinti che possa costituire un trauma per la loro psiche; sembrano impreparati nell’affrontare “grandi domande” spontanee; costruiscono silenzi e barriere nella comunicazione, negando il loro bisogno di confrontarsi con questa verità. Ciò accade spesso anche quando si vive un lutto in famiglia, con il rischio di creare incertezza, solitudine e sofferenza.
Oggi, affrontare la morte di un proprio caro con i bambini è ancora più impegnativo: uno dei risvolti più duri di questa pandemia è la solitudine del morire, quella barriera, purtroppo necessaria, che ci impedisce di essere vicini fisicamente ai nostri cari che si sono ammalati, di salutarli, di celebrare un funerale o un rito di commiato, di portare i bambini al cimitero. Le parole non dette, gli abbracci mancati, le emozioni che battono forte, tutte quelle cose che avremmo voluto fare, hanno bisogno di trovare un luogo simbolico che le accolga. Salutare, celebrare, ricordare sono aspetti fondamentali nel percorso di elaborazione del lutto: in questi giorni dobbiamo trovare strade nuove per noi e i nostri bambini, per tessere un legame tra ieri, oggi e domani, tra la vita e la morte. Una lettera al nonno, un disegno, un palloncino da far volare con un pensiero scritto dalla famiglia, un seme da piantare e curare nel balcone di casa, una candelina sul comodino, da accendere per ritrovarsi attorno al ricordo di chi non c’è più: sono esempi di rituali che possiamo costruire tra le mura domestiche, necessari per dare valore al legame che esiste con chi è morto e per condividere le emozioni tra tutti i componenti della famiglia.
I bambini, in questi giorni, e ancor più se stanno vivendo un lutto, potrebbero avere la percezione che improvvisamente niente sia più come prima ed esserne seriamente disorientati. Essere presenti, riuscire a stare accanto ai bambini anche dentro le emozioni spiacevoli, senza rifiutarle, servirà a rassicurarli e a far sentire che i genitori sono sempre un rifugio sicuro, il loro punto di riferimento: non tutto è cambiato.
I bambini stanno facendo esperienza della perdita, di chi non tornerà e di chi invece, come i compagni di scuola, potrà essere un giorno riabbracciato. Accogliamo le loro emozioni per ciò che “manca”, ma valorizziamo anche le cose “belle” che si possono scoprire in questi giorni di isolamento, legate ad esempio al tempo per stare insieme o ad attività inventate con creatività. Aiutiamo i piccoli a scoprire che la perdita non è la fine, ma spesso si accompagna a una nuova scoperta: come quando, cercando la pallina perduta chissà dove, ritroviamo sotto il letto un magico oggetto dimenticato…
È difficile, sì. Ma è un compito a cui non possiamo rinunciare, per il bene dei nostri figli. Il rischio è quello di lasciarli soli proprio nel momento in cui hanno più bisogno della funzione genitoriale, di essere tenuti per mano mentre conoscono e affrontano realtà complesse, che fanno parte della vita.
Vi proponiamo allora un articolo che abbiamo pubblicato qualche mese fa sulla nostra rivista, in uno speciale dedicato alle parole difficili da dire ai bambini.
Diversi filoni di ricerca hanno messo in luce come, nella società in cui viviamo, sia in atto un processo di rimozione e occultamento della morte e dei temi ad essa connessi. Come adulti abbiamo difficoltà ad affrontare l’argomento con i bambini perché noi stessi non siamo abituati a farlo: tendiamo a voler allontanare questo pensiero, a rimandarlo fin quando è possibile. Le emozioni che accompagnano il pensiero della morte e l’esperienza del lutto fanno paura, e da queste stesse emozioni si vuol quindi proteggere il bambino.
Durante un incontro con genitori, un papà ha preso parola per raccontare, tra il serio e il divertito, di quando il pesciolino rosso del figlio improvvisamente morì. La sua storia è esemplare di come, oggi, la morte non sia ambito di interesse educativo. Al contrario, ciò che viene spesso trasmesso dai genitori è l’apprendimento di tutti i modi per non pensarci!
«Dottoressa, le racconto questa storia: potrà usarla come esempio quando parla di come affrontare il tema della morte con i bambini. Il fatto è che era il pesciolino di mio figlio, capisce? Lo aveva scelto lui, quello rosso con strisce bianche, simile al protagonista del famoso cartone animato. Mia moglie se n’è accorta quando il bambino stava per andare a dormire e io sono corso fuori, ho chiamato l’amico di un amico, proprietario di un acquario, che, a mezzanotte, mi ha consegnato la busta con un nuovo pesciolino identico al precedente. L’abbiamo subito sostituito e, quando il mattino dopo mio figlio è andato a salutarlo, fortunatamente, non si è accorto di nulla». Poi aggiunge: «Avevamo avuto paura di dirlo al bambino, paura della sua reazione, era affezionato a quella creaturina. Come si fa a spiegare a un bimbo piccolo una cosa così difficile? Adesso ho capito che abbiamo sprecato un’occasione importante…».
Quando il genitore sceglie di tacere, nascondere, mentire, non pronunciare quasi mai la fatidica parola, riesce veramente a proteggere il suo bambino?
In realtà, la rinuncia dell’adulto fa sì che il piccolo rimanga solo, confuso, impaurito, proprio nel momento in cui si trova ad affrontare una realtà difficile e fondamentale, di cui, che ci piaccia o no, comincia a far presto esperienza. La morte, infatti, è parte della vita quotidiana e difficilmente riusciremo a nasconderne tutte le tracce: l’uccellino caduto dal ramo, il cagnolino, il nonno del compagno, il funerale visto passando per strada… «Chi mi spiega cosa succede?»
Con un certo “tipo” di morte, bambini e ragazzi vengono a contatto molto più spesso di quanto pensiamo, attraverso la tv, i cartoni animati, i videogiochi. Si stima che un ragazzo di 18 anni, nel corso della sua infanzia e adolescenza, abbia visto morire diecimila persone in tv e nessuna, o al massimo una, nella realtà. Ha ricevuto messaggi ambigui, ha visto cadaveri, sangue, la materialità della morte spesso slegata da sentimenti ed emozioni.
Quando in famiglia muore qualcuno, la tendenza a proteggere i bambini si fa ancora più forte. Talvolta i piccoli sono tenuti completamente all’oscuro dell’accaduto e possono passare giorni, mesi, prima che la notizia sia loro comunicata; in alcuni casi non verrà mai detta la verità, e l’assenza della persona cara viene giustificata con una bugia («la nonna è dovuta partire per andare molto lontano»).
Spesso si pensa che il bambino non possa capire, le ricerche dimostrano invece come il piccolo sviluppi già precocemente la percezione di questo evento:
Bisogna inoltre considerare che il clima emotivo di casa, dopo un lutto, viene profondamente influenzato dall’accaduto. Proviamo a metterci dal punto di vista del bambino: «Sento che tutti intorno a me sono tristi, ho visto la mamma nascondersi per piangere, mi parlano in modo strano, non capisco cosa succede, forse ho fatto qualcosa di male?».
Mal di pancia, mal di testa, stress, rifiuto scolastico, insonnia, paure, fino ad arrivare a problematiche anche gravi che si ripercuotono sulla vita del bambino e dell’adulto di domani: nella mia esperienza professionale ho incontrato quotidianamente bambini rimasti soli con il proprio dolore, con le proprie domande, con fantasie angoscianti. Bambini arrabbiati, che si sentono in colpa, traditi, che hanno perso la fiducia nei propri genitori.
Quando muore qualcuno in famiglia, o nel contesto di vita del bambino, è preferibile che la notizia venga data al piccolo dai genitori, o da parenti stretti. Possiamo raccontare l’accaduto con parole semplici e frasi brevi, dedicando del tempo solo a questo. La cosa migliore è usare proprio la parola “morte” – dire quindi «il nonno è morto» – piuttosto che metafore che potrebbero confondere il bambino:
«La zia è morta e io sono molto triste»; «mi mancherà tanto e mi viene da piangere» sono frasi semplici che, unite a gesti di vicinanza e affetto, possono rassicurare anche un bambino molto piccolo e aiutarlo a capire. Condividendo le proprie emozioni gli adulti stimolano il bambino a mettersi in contatto con sé stesso e a esprimere liberamente i propri sentimenti, che non vanno repressi nemmeno quando si manifestano in forme che potrebbero sembrare non adeguate. È possibile che i bambini di fronte alla notizia di una perdita si mettano a ridere o continuino a giocare dando l’impressione di essere “insensibili”; altre volte potrebbero avere reazioni aggressive o particolarmente “drammatiche”: hanno solo bisogno di tempo per elaborare quanto accade.
È importante dare al bambino la possibilità di salutare la persona (o l’animale) cui era legato; se ciò non è stato possibile prima della morte, si può trovare un modo semplice per farlo, adeguato all’età e al suo desiderio, chiedendo se vuole preparare qualcosa (un disegno, uno scritto, un oggetto…) per salutare la persona cara.
Il rito e la memoria sono aspetti fondamentali nel percorso di elaborazione del lutto. Far partecipare i bambini al funerale, portarli al cimitero sono opportunità per condividere il dolore con la comunità e creare un legame con la persona cara che vive attraverso il ricordo.
«Cos’è la morte? Perché si muore?» sono domande che, prima o poi, attraversano la mente del bambino, sempre volta alla scoperta della realtà della vita. Domande che rivolgerà all’adulto, se percepisce che i suoi interrogativi possono essere accolti.
Spesso i genitori si affannano nel trovare una risposta confortante e soddisfacente, che chiuda la questione una volta per tutte. Impresa difficile, se non impossibile. Può essere di aiuto, allora, concentrarsi sul bisogno del bambino di trovare non solo una risposta “scientifica”, ma anche di essere accompagnato, a piccoli passi, a dare un significato al mistero della morte. In questa personalissima ricerca, ogni bimbo avrà i suoi tempi; evitiamo di anticipare informazioni che non siano quelle che lui, in quel momento, sta cercando ed è quindi pronto a comprendere. Se vediamo il bambino turbato per qualcosa che ha visto o sentito proviamo ad avvicinarci emotivamente. Un buon modo è comunicargli che a volte le cose sconosciute fanno paura anche ai grandi; dopo possiamo trovare insieme qualcosa da fare per sentirci meglio.
Sulla morte, poi, non abbiamo tutte le risposte. Anche gli adulti fanno i conti con il limite ed è bene condividere con i piccoli il fatto di non sapere tutto sulla faccenda. Spesso il credo dei genitori gioca un ruolo importante nella spiegazione della morte. Anche in questo caso è sempre bene fare attenzione alle espressioni utilizzate. Ad esempio, si può spiegare dicendo: «Io credo che…». Un buon esercizio è cercare di immaginare come il bambino potrebbe interpretare le vostre parole e in seguito chiedergli se c’è qualcosa che non ha capito.
Sono tantissime le opportunità di accompagnare i bambini alla scoperta della morte come realtà naturale della vita. Andrebbe fatto nel quotidiano, quando è più semplice parlarne senza l’impatto emotivo che la morte di una persona cara può causare. Alcuni esempi:
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.