Cosa succede se una coppia di genitori statunitensi decide di scrivere un libro su cinquanta cose pericolose che si dovrebbe permettere di sperimentare ai bambini?
Negli Stati Uniti succede che sedici editori rifiutano la pubblicazione del libro per timore di essere citati in eventuali processi per risarcimento e che gli autori pubblicano da soli il testo e lo promuovono in rete accendendo un dibattito in tutto il mondo anglosassone. Il dibattito si allarga anche in altri Paesi e arriva qui da noi, girando attorno ad alcuni temi che più o meno sono: quanto era bello quando si cresceva in contesti in cui si poteva correre qualche rischio in più, ma c’erano enormi spazi di sperimentazione che permettevano di farsi un’idea di come affrontare i rischi; come è più difficile poterlo fare oggi, o meglio, come oggi dipenda da quanto i genitori siano in grado di definire e tollerare spazi di sperimentazione (che nel passato erano sedi naturali della socializzazione non necessariamente concessi o gestiti dagli adulti).
Gever Tulley e Julie Spiegler, gli autori del libro, mettono insieme cinquanta schede di altrettante esperienze a volte elementari (leccare una pila da 9 volt per sentire la scossa), altre piuttosto originali (cucinare nella lavastoviglie). In mezzo ci sta tutto un repertorio di cose da fare con un certo margine di rischio, spesso anche un po’ ordinarie (tirare un sasso o viaggiare con una mano fuori dal finestrino). Scorrendo le schede ci si può fare l’idea che negli Stati Uniti sia prevalso un atteggiamento un filino iperprotettivo nei confronti del gioco concreto. Ma accettando il principio di fondo che il rischio sia intrinseco nell’apprendere dall’esperienza, si può creare un terreno di compromesso tra le ansie degli adulti e il bisogno di sperimentare per crescere dei bambini.
In generale anche da noi le cose sono cambiate negli ultimi anni in tema di sicurezza. Pensiamo solo a come sono diventati diversi i giochi e le aree gioco nei giardini pubblici negli ultimi vent’anni (sfido chiunque a trovare in un grosso centro urbano una giostrina o un’altalena di ferro, con sotto la terra e non il morbido tartan). Far correre rischi inutili è sbagliato, ma le campane di vetro non hanno mai aiutato nessuno. Oggi, però, genitori e adulti hanno più responsabilità nell’aiutare a cercare esperienze di gioco un po’ fuori dall’ordinario, perché ho l’impressione che i nostri bambini, soprattutto in età scolare, preferiscano la comodità dei salotti in cui affidarsi al virtuale (TV e videogiochi), piuttosto che confrontarsi con sfide concrete. Per non colludere con queste “comodità”, è necessario impegnarsi nel recuperare spazi di relazione e insegnare a maneggiare fiammiferi, coltellini e forbici.
Molti bambini sanno a livello teorico come si accende il fuoco, ma praticamente non l’hanno mai fatto e mi capita spesso di vedere bambini di otto anni che non sanno usare le forbici.
Questo gioco è adatto ai bambini più piccoli che stanno imparando a usare le forbici. Partiamo da una bottiglia di plastica di cui utilizzeremo la parte inferiore tagliandola a circa 15-20 cm dal fondo. Con le forbici facciamo dei tagli verticali nella parete della bottiglia fermandoci a 3 centimetri dal fondo, ricavando 6 o 8 tentacoli, così da ottenere il nostro polipo. Allargando i tentacoli appoggiati su un piano orizzontale e schiacciando la testa del polipo (il fondo della bottiglia), poi lasciandola di colpo, il polipo salta per l’effetto molla dei tentacoli. Decorare a piacere.
pediatra e giornalista, ha esercitato per quarant’anni come pediatra di famiglia nel Servizio Sanitario Nazionale e ha fondato nel 2001 il bimestrale per i genitori «Un Pediatra Per Amico», che ha diretto per 16 anni. Attualmente è un pediatra libero professionista.