La scena che si produce è sempre la stessa. Mia figlia, mio marito e io entriamo in libreria per comprare un regalo di compleanno. Cerco il libro che voglio regalare, lo trovo, poi ricomincio a girare tra gli scaffali e a sfogliare qualcosa, come per caso; dopo qualche minuto chiedo ad Alberto, mio marito, di aiutarmi a tenere il mucchietto di libri che ho già accumulato tra le mani. Lui guarda il mucchietto che gli ho consegnato, legge sul retro il prezzo dei libri, poi guarda me e mi chiede: «Per fare che? Per comprarli?» Io rispondo vaga «Poi vediamo». Mi guarda con uno sguardo di rimprovero che significa: «Siamo pieni di libri, non sappiamo più dove metterli, non siamo Umberto Eco… e poi, di’ la verità, questi libri non li compri per nostra figlia, li compri per te». Ha ragione lui, li compro per me, o meglio, fingo di regalarli a Viola, che ha quattro anni, ma in realtà li considero miei, ne parlo con le amiche, li regalo e li consiglio alle altre mamme, e guai a rovinarli.
La verità è che spesso, con poche immagini e pochissime parole, questi libri cosiddetti “per bambini” sono più diretti, più semplici e a volte più interessanti dei molti che, nelle librerie, sono raccolti nello scaffale “Pedagogia”. Ma, come è noto, le categorie, seppur comode per l’orientamento, impongono dei limiti che nella realtà sono inesistenti o difficili da marcare. Inaspettatamente e con naturalezza, i libri “per bambini” sanno toccare corde profonde e quando li sfoglio in libreria raramente resisto alla tentazione di portarmeli a casa. Quante volte mi hanno prestato le parole per spiegare, per raccontare, per dire a mia figlia quello che non sapevo dire…
Così quando l’altra sera mi sono trovata a rimboccare le coperte di Viola alla fine di una giornata trascorsa male, tra tanti nervosismi, grida e tempi sbagliati, le ho chiesto se potevo scegliere io il libro da leggere: Urlo di mamma, di Jutta Bauer. È un piccolo libro, che proprio per il suo piccolo formato spesso si perde tra i mille libri che ho fatto finta di regalarle; lo cerco un po’ di fretta, con l’urgenza di chi pensa di aver perso qualcosa cui tiene molto. Finalmente lo trovo.
È fatto di poche parole e immagini eloquenti e, ogni volta, mi regala il tempo e il modo per chiedere perdono, per scusarmi di uno sfogo, per dire che la rabbia, quella rabbia tremenda che esce a volte con le grida delle mamme, è troppo grande e può fare molto male, le mamme lo sanno. Racconta la storia di un pinguino e della sua mamma che un giorno, un giorno come tanti, gli urla contro tutta la sua rabbia. Ma la rabbia di un adulto è diversa da quella dei bambini, è troppo grande, sproporzionata e il corpo del cucciolo non può resisterle, si divide in tanti pezzi, l’unica parte che rimane consapevole sono le gambe, che continuano a scappare senza sapere dove. Il piccolo vorrebbe cercarsi ma non ci riesce, gli occhi che sanno cercare e riconoscere sono troppo lontani.
Poi la mamma torna. Arriva dall’alto, con una nave volante, così grande che sembra l’arca di Noè. Forse è stata lontano, per ritrovare anche lei sé stessa, ma di certo ora è più rassicurante che mai, con quella barcona comoda e vivace. Dall’alto, con un perfetto orientamento, sa ritrovare il suo cucciolo e lo ricuce alla perfezione. Poi lo guarda e gli dice «Scusa se ho urlato così forte».
Il libro è finito. Viola sorride e mi dice «Mamma, sei il mio amore».