La gravidanza, vista la portata e la velocità delle trasformazioni corporee, ormonali ed emotive, rappresenta per la donna un periodo psicologicamente complesso, di estrema vulnerabilità, che mette in discussione gli equilibri precedenti e richiede una profonda riorganizzazione della propria identità individuale, sociale e di coppia.
La scoperta di una gravidanza in corso pone di fronte alla concretezza di una responsabilità che non avrà un termine (una nuova vita che necessita di cure per sopravvivere e svilupparsi), e l’acquisizione del ruolo di madre comporta la rinuncia di alcuni aspetti dei ruoli di figlia, donna e compagna, e può riattivare vissuti di perdita e di tristezza che richiedono accoglienza e ascolto.
La gravidanza, così come il parto e il puerperio, rappresenta un momento ad alto rischio per l’insorgenza di disturbi affettivi. Oggetto di studio solo in tempi recenti, la depressione in gravidanza risulta però un fenomeno sottostimato, i cui sintomi sono frequentemente sottovalutati pur risultando severi quanto quelli della depressione post parto.
Le stime sull’incidenza della depressione in gravidanza si attestano tra il 10 e il 23%, ma in realtà meno della metà delle donne che mostrano le caratteristiche della depressione in gravidanza richiede un intervento da parte di un professionista.
La nostra narrazione culturale della maternità tende infatti a idealizzare la gravidanza e la genitorialità, ignorando o minimizzando le difficoltà e le emozioni, a volte negative, a esse connesse. A ciò si accompagna un giudizio negativo più esteso sul disagio psicologico: la persona che soffre di depressione viene comunemente etichettata come “depressa”, dunque non si parla più del suo stato di malessere ma si usa un termine stigmatizzante per descriverla.
Ulteriori ostacoli, oltre al timore di essere giudicate “cattive madri”, sono la tendenza a sminuire e normalizzare questo stato di malessere da parte dei familiari e della rete amicale e anche il fatto che, molto spesso, gli stessi operatori sanitari non riconoscono tempestivamente le caratteristiche della depressione in gravidanza e non invitano dunque la gestante ad approfondire la questione con delle figure competenti.
Se trascurata, la depressione in gravidanza può aggravarsi al punto da essere invalidante, e oltre a minare il benessere della donna può avere ripercussioni importanti sul decorso della gravidanza e del parto, e quindi sullo sviluppo psicofisico del bambino.
Come possiamo riconoscere la depressione in gravidanza? Prima di rispondere, occorre precisare che provare emozioni ambivalenti in un periodo così delicato non è affatto indice di patologia. Accogliere le proprie emozioni più difficili, senza sentirsi in colpa o “sbagliate” per ciò che si prova, è un esercizio di consapevolezza e di ascolto che si rivelerà fondamentale anche nello scambio comunicativo con il bambino, prima, durante e dopo la nascita. È piuttosto la repressione e la condanna delle emozioni “negative” a favorire l’insorgere di un disagio psicologico, poiché non consente di elaborare e comprendere quanto sta accadendo dentro di sé.
I sintomi della depressione in gravidanza si differenziano per la loro persistenza nel tempo e per l’intensità, che può comportare un certo grado di compromissione delle attività quotidiane. Eccone alcuni:
I sintomi della depressione in gravidanza possono emergere in momenti diversi della gestazione e accompagnarsi a cambiamenti legati all’andamento fisiologico della stessa.
La prevalenza della depressione in gravidanza è maggiore nel primo trimestre, quando i disagi fisici come la nausea e il vomito, la stanchezza e il bisogno di dormire di più portano a concentrarsi maggiormente su di sé favorendo un isolamento, un ritiro affettivo e una leggera apatia.
Nel secondo trimestre la possibilità di avvertire i movimenti del bambino sposta la preoccupazione sul suo stato di salute e sulla preparazione anche alla nascita. L’ansia cresce progressivamente avvicinandosi al parto, e se presente alla 32^ settimana risulta predittiva di una depressione anche nel post parto. I pensieri e i timori dell’ultimo trimestre si concentrano invece sul parto imminente: si può avvertire una vera e propria fobia del travaglio, del dolore, delle possibili complicazioni.
Lo psicoanalista inglese Donald Winnicott ha individuato inoltre l’emergere di uno stato mentale peculiare di quest’ultimo periodo della gravidanza, che si protrae fino al primo trimestre di vita del bambino: la “preoccupazione materna primaria”. Si tratta di una funzione adattiva che consente alla madre di mettere in primo piano i bisogni del figlio. Se però diventa una condizione prevalente e lo stato psicologico di apprensione favorisce un eccessivo ritiro dalla realtà, può associarsi all’insorgenza di disturbi depressivi e gravi ansie (ad esempio la preoccupazione di fare inavvertitamente del male al bambino).
Perché viene la depressione in gravidanza? Come abbiamo visto, la gestazione rappresenta un periodo estremamente critico. Il modo in cui affrontiamo un cambiamento così repentino e profondo può dipendere da una molteplicità di fattori, per cui risulta difficile isolare quelle che possono essere le cause di una depressione in gravidanza.
Sarebbe più corretto parlare di diversi fattori di vulnerabilità – ma anche, come vedremo, di fattori di protezione – che possono concorrere e interagire nel predisporre maggiormente allo sviluppo di questo disagio. Vediamo i principali:
È importante sottolineare che le cause non sono attribuibili a colpe o mancanze materne: la depressione in gravidanza non viene perché la donna è fragile, egoista, inadeguata o incapace di pensare al bene del bambino e della famiglia.
L’elevata incidenza della depressione in gravidanza suggerisce piuttosto la necessità di non limitare gli interventi alla cura e al sostegno di chi soffre di questa patologia in modo conclamato.
A volte la gravidanza arriva inaspettatamente, o segue il riconoscimento sociale di una stabilità di coppia (come fosse una tappa necessaria di un iter prestabilito). Potremmo quindi non aver avuto il tempo di domandarci se il desiderio di avere dei figli ci appartiene o meno, o se ci sentiamo pronti ad affrontare le responsabilità di questa scelta. Dedicare del tempo, individuale e di coppia, all’ascolto dei propri bisogni e dei propri desideri è fondamentale per avviare la gravidanza con consapevolezza e serenità.
Occorre ricordare che anche i futuri papà vivono un periodo di profondo cambiamento, stress e preoccupazioni, e che anche il loro benessere ha un ruolo fondamentale nel favorire lo sviluppo psicofisico del bambino. Si stima un’incidenza della depressione paterna in gravidanza tra il 6 e il 12%: il bisogno di ricevere sostegno e ascolto e di poter esprimere le proprie aspettative, paure ed emozioni senza il timore del giudizio non ha genere. Parlare del proprio vissuto favorisce la condivisione dell’esperienza e consente di affrontare insieme anche le emozioni più difficili e le preoccupazioni più pervasive.
In altri casi la gravidanza segue un percorso più lungo e tortuoso, costellato di speranze disattese, sentimenti di lutto e di perdita. Può quindi sembrare un traguardo da raggiungere, e accompagnarsi ad aspettative idealizzate di gioia e di realizzazione. Se non si dedicano tempo e spazio all’elaborazione del lutto, dando voce alle proprie emozioni e vivendole a pieno, l’esperienza passata può ostacolare il vissuto sereno di una nuova gravidanza. Questo percorso di elaborazione può richiedere il sostegno di un professionista, specialmente se sono mancati il rispetto e la legittimazione del dolore da parte di familiari, amici e operatori sanitari.
In aggiunta a quanto scritto fin qui, possiamo individuare altri fattori protettivi che aiutano ad affrontare una gravidanza in corso riducendo l’incidenza della depressione in gravidanza. Tra questi, i fattori protettivi sociali e familiari, ovvero:
La presenza di figure di riferimento (il partner, la famiglia estesa, una rete amicale o un professionista esterno) che accolgono le emozioni della donna in gravidanza con rispetto e senza giudizio, costituisce una ricchezza e un fattore protettivo fondamentale.
Esistono anche dei fattori protettivi psicologici e cognitivi, tra cui:
Altri strumenti semplici da mettere in campo per ridurre lo stress e migliorare il proprio benessere possono essere l’attività fisica moderata, un’alimentazione equilibrata e l’utilizzo di pratiche di rilassamento (yoga, meditazione, mindfulness).
Abbiamo visto alcuni strumenti di prevenzione, ma cosa possiamo fare per affrontare la depressione in gravidanza quando questa sembra evidente? Innanzitutto è bene verificare la fondatezza dei nostri sospetti, e ricordare che la tempestività nella valutazione specialistica e nell’intervento è fondamentale per evitare l’acuirsi del disturbo.
Come detto, spesso gli stessi operatori sanitari non sono a conoscenza dei sintomi o comunque ne sottovalutano l’entità: finché non sarà previsto uno screening di routine all’interno dei controlli periodici sulla salute in gravidanza, il rischio di ignorare il problema potrebbe essere elevato. Per questo è importante prendere consapevolezza dell’importanza del benessere psicologico per la propria salute e per quella del nascituro, parlare apertamente delle proprie difficoltà e soprattutto chiedere aiuto.
Ma a chi rivolgersi per la depressione in gravidanza? I consultori rappresentano senz’altro un primo interlocutore importante per chiarire eventuali dubbi sul proprio stato emotivo, esprimere il proprio malessere, conoscere i servizi a disposizione sul territorio e creare una rete di sostegno. I consultori offrono in genere anche corsi di accompagnamento alla nascita, di grande utilità dal punto di vista sia pratico sia emotivo, e possono offrire un sostegno e un accompagnamento in tutto il periodo perinatale, fin dal pre-concepimento.
Alcune strutture ospedaliere offrono un servizio di psicologia ambulatoriale durante il periodo perinatale (in alternativa è possibile contattare privatamente uno psicologo con una formazione specifica relativa a questo periodo). Avere la possibilità di parlare della propria esperienza senza essere giudicati, dare un nome alle proprie emozioni e ricevere informazioni e sostegno può aiutare a rafforzare le risorse personali e recuperare fiducia in sé e controllo. Questi aspetti saranno fondamentali anche per affrontare attivamente il parto e il periodo che segue la nascita.
Qualora venisse evidenziata la presenza di fattori di rischio o un sospetto clinico di depressione, o direttamente in caso di diagnosi pregressa, sarebbe inoltre opportuno prevedere un colloquio clinico di approfondimento con uno psicoterapeuta che valuterà l’eventualità di avviare un percorso terapeutico.
Un percorso di psicoterapia può essere sufficiente per affrontare una sintomatologia lieve o moderata. In caso di depressione più severa, invece, può essere necessario affiancare alla psicoterapia anche un supporto farmacologico.
Depressione in gravidanza e farmaci non sono necessariamente incompatibili: alcune categorie di antidepressivi hanno rischi minimi, quantificabili e contenibili. La paura di fare del male al bambino o di causare malformazioni, come abbiamo visto, rappresenta una preoccupazione ancora più comune per chi soffre di disturbi ansiosi e depressivi in gravidanza.
Sappiamo tuttavia che la sospensione di un trattamento antidepressivo, una volta accertata la gravidanza, espone a un maggiore rischio di aggravamento o recidiva, con conseguenze anche gravi. Un problema analogo si riscontra successivamente rispetto all’allattamento: molte donne decidono di non allattare o, al contrario, di sospendere il trattamento farmacologico ritenendo le due cose incompatibili. Nel considerare le diverse opzioni di trattamento è importante effettuare una valutazione che tenga conto dei possibili rischi legati all’uso del farmaco ma anche delle possibili conseguenze in termini di salute del mancato trattamento (e, in questo caso, anche del mancato allattamento).
Per chi soffre o ha sofferto in passato di disturbi dell’umore o depressione, è fondamentale pianificare e monitorare la gravidanza con il sostegno dello specialista curante, prestando attenzione al proprio stile di vita, selezionando per tempo le terapie farmacologiche che presentano un minore rischio e individuando i dosaggi minimi efficaci. A volte lo specialista curante può non avere conoscenze specifiche sulla sicurezza dei farmaci in gravidanza e allattamento, e suggerire dunque in via cautelativa di interrompere la terapia o di non allattare. In questi casi è possibile contattare telefonicamente il centro antiveleni di Bergamo o consultare il sito «e-lactancia.org» per avere maggiori informazioni da sottoporre successivamente al proprio specialista curante.