Imparare a mettere in fila i suoni di una parola è un’operazione naturale e gratificante per la maggior parte dei bambini. La lallazione, che in genere inizia tra i 6 e gli 8 mesi, costituisce un’ottima palestra: muovendo liberamente la bocca mentre l’aria esce, il bambino trae piacere sia dalla percezione cinetica del movimento sia dall’ascoltare i suoni prodotti. Capisce di essere proprio lui il creatore di tale meraviglia e continua, tanto più se il genitore lo guarda e gli risponde, instaurando una sorta di dialogo. In questo modo, nel cervello del bambino si compie gradualmente un vero e proprio “mappaggio” tra la posizione degli organi articolari e il suono prodotto.
Questo periodo della vita del bimbo è ricco di cambiamenti importanti: il piccolo impara a stare seduto; la laringe si è abbassata e ha lasciato più spazio alla lingua la quale ora può sperimentare meglio la cavità della bocca; il bambino agita gambe e braccia, sbatte l’oggetto che tiene in mano e ripete «ma-ma-ma», «pa-pa-pa», introducendo via via sempre più suoni. Talvolta questi discorsetti, fatti di consonanti e vocali accostate miste a urletti, proseguono a lungo (decine di minuti) con un buon volume di voce e un’ampia gamma di combinazioni (che aumenteranno verso i 9 mesi).
Esiste una variabilità individuale nella sequenza di acquisizione dei suoni, ma di solito i primi a essere disponibili sono le vocali (a livello fonetico ne abbiamo sette, perché la e e la o hanno la variante chiusa e aperta: “e”/“è”, “o”/“ho”), le consonanti prodotte accostando le labbra (m–p–b) e quelle che nascono dal dorso della lingua che tocca il palato (t–d–n–l). Entro i 2 anni l’80% dei bambini è in grado di produrre anche le consonanti gutturali (c di “casa”, g di “gatto”) e il soffio della f, facendo incontrare gli incisivi superiori col labbro inferiore. Successivamente di solito arrivano la v, la s (prima la sorda come in “sole”, poi la sonora come in “casa”; la differenza tra sorda e sonora sta nell’apertura o chiusura delle corde vocali), la c dolce di “ciao” e la g dolce di “Gino”. Le ultime consonanti a essere realizzate in genere sono la r, piuttosto complessa dal punto di vista neuromotorio, e la z (sorda e sonora), meno rappresentata nelle parole che usiamo abitualmente. Il suono sci può maturare anche dopo i 4 anni, mentre il suono gli talvolta non si padroneggia del tutto neanche da adulti.
L’abilità di articolare velocemente una certa successione di suoni matura gradualmente (ne parliamo anche nel nostro articolo sulla balbuzie). I bambini parlano a un ritmo più lento rispetto agli adulti e le loro abilità di coarticolazione si sviluppano man mano che incontrano le diverse occorrenze di un suono. Produrre una s in mezzo a due vocali, ad esempio, è più semplice che produrre una s vicino a un’altra consonante. Mentre parliamo, i passaggi da una lettera all’altra sono fluidi e ogni suono viene leggermente modificato da quello che lo precede e da quello che lo segue. La buona riuscita di questo prodigio dipende dal tono e dalla coordinazione del distretto pneumo-fono-articolatorio (mantice polmonare, corde vocali, velo palatino, mandibola, labbra, lingua) oltre che, primariamente, dall’aver compreso e memorizzato la corretta successione dei suoni, eventualmente con un percorso di prova-errore-riprova.
Cosa osserva un logopedista quando i genitori gli chiedono un consulto per un bambino che, verso i 4 anni, confonde ancora alcuni suoni tra di loro oppure non riesce a pronunciarli? Lo specialista distinguerà innanzitutto tra l’articolazione imprecisa di un suono, per la quale è sufficiente allenare i muscoli della bocca, e la sostituzione di un suono con un altro, l’omissione o la “migrazione” di un suono, fenomeni per i quali sarà invece necessaria un’analisi dei “processi fonologici” del bambino attraverso la raccolta di alcuni campioni di linguaggio.
Dopo la valutazione iniziale, dunque, in caso di necessità il logopedista guiderà i genitori e il bambino nei passaggi successivi, proponendo diversi giochi ed esercizi che potranno essere ripetuti anche in famiglia.
L’attenzione del piccolo si attiva se lo si pone di fronte a un conflitto cognitivo attraverso quelle che vengono chiamate “coppie minime”. Mettiamo il caso di un bambino che sia in grado di produrre il suono s, ma non lo utilizzi nei gruppi consonantici (dice correttamente la parola “sole” ma invece di “stella” dice «tella»): lo faremo giocare con coppie di parole per le quali quel suono cambia totalmente il significato (ad esempio: “palla-spalla”, “tira-stira”), disegnandole, commentandole e facendogli sentire più volte la differenza. Quando il bambino comprenderà l’importanza di quel piccolo suono sarà più disposto a cercare di modificare la propria produzione.
È fondamentale tenere presente che esiste un gradiente naturale di difficoltà nell’apprendimento delle nuove combinazioni articolatorie, per cui dovremo dare al bambino il tempo di provare più volte le sillabe, prima lentamente, poi più velocemente.
Solo quando saranno diventate facili da pronunciare potremo organizzare dei giochi con le parole che iniziano in quel modo (gioco dell’oca, tombola, memory…). Dopo vari momenti di gioco, quando il piccolo dimostrerà di non avere difficoltà a pronunciare “stella-spugna-scale…”, cominceremo a inventare insieme delle frasi che contengano alcune di queste parole e le eserciteremo finché saranno fluide (in genere ci vuole almeno una settimana), in modo che vengano ben assimilate.
A questo punto passeremo a occuparci dei gruppi con s in mezzo alle parole, riproponendo figure di coppie minime (ad esempio “butta-busta”, “fetta-festa”) e poi giocando con “castello, pasta, bosco…”. Alcuni bimbi a questo punto potrebbero confondersi e dire «ssscattello» anziché “castello”: significa che è necessario rallentare, spezzettare la parola e provarla più volte, lentamente. Avere fretta è controproducente, meglio attendere che ogni step sia ben consolidato prima di passare al successivo. Solo quando tutte queste parole verranno utilizzate con facilità durante il gioco, e solo dopo aver ripetuto più volte frasi e scioglilingua che le contengono, il bambino potrà usarle autonomamente nell’eloquio spontaneo.
La progressione che abbiamo illustrato (1. suono isolato 2. sillabe 3. parole che iniziano con quel suono 4. parole che contengono quel suono 5. frasi 6. scioglilingua 7. automatizzazione) vale per ogni suono su cui vogliamo lavorare. Ci sono bambini che automatizzano nel giro di alcuni giorni, altri che impiegano varie settimane; è del tutto normale.
Ricordiamoci di dedicare una piccola parentesi quotidiana al “giochino delle parole”, basteranno anche dieci minuti al giorno. Il bambino saprà che sta lavorando per imparare a parlare meglio ma che non è in discussione la sua abilità di comunicatore. Non mettiamolo in imbarazzo chiedendogli di correggersi o di “ripetere bene” quello che ha detto se prima non abbiamo consolidato la pronuncia attraverso il gioco, per tutto il tempo necessario.