Molto spesso, tra gli esami previsti in gravidanza, capita che, facendo un’ecografia di routine, venga segnalata un’alterazione dei reni o delle vie urinarie. Sono queste le anomalie renali di gran lunga più frequenti nei feti, ma dobbiamo chiarire subito che nella maggior parte dei casi si tratta di alterazioni innocue, di nessun significato per la salute del bambino, né nell’immediato, né in futuro.
Quella che capita più di frequente è la dilatazione delle pelvi (o bacinetti) renali, che normalmente sono cavità virtuali, dove l’urina scorre senza fermarsi, ma che si possono dilatare quando viene prodotta più pipì di quanta riesca a passarne oltre, nell’uretere e poi nella vescica; si comportano cioè più o meno come un palloncino elastico. Perciò, se si fa un’ecografia, sia in utero che dopo la nascita, il diametro di questi bacinetti risulta di pochi millimetri; ma se c’è una grande produzione di urina le misure si possono dilatare fino a un centimetro o più.
È proprio questo limite di un centimetro quello che gli ecografisti considerano, nel feto, il confine fra normale e patologico, e così segnaleranno nel loro referto tutte le pelvi che appaiono più grandi. Attenzione, però: trovare dilatazioni anche più grandi di un centimetro non significa aver identificato una patologia; anzi alla stragrande maggioranza di queste dilatazioni non corrisponde alcun futuro problema per il bambino. È ancora più raro che delle vere malattie possano esistere con dilatazioni inferiori al centimetro.
Ma se il bacinetto renale è dilatato dobbiamo preoccuparci? Solo in una piccola percentuale di casi la dilatazione corrisponde a una difficoltà di scarico dell’urina in qualche punto del suo percorso. Ci sono cioè dei punti deboli, nei quali la pipì fa un po’ più di fatica a passare. Questo non sempre è dovuto a un’ostruzione lungo il percorso verso la vescica, ma spesso si tratta solo di un non perfetto coordinamento della muscolatura che spinge l’urina verso l’uscita; quasi sempre questo piccolo difetto tende a correggersi da solo con il passare del tempo.
Un primo ostacolo può esserci nel passaggio dalla pelvi all’uretere, si chiama stenosi pielo-ureterale. Sono certamente le alterazioni più frequenti, ma anche quelle che nella maggior parte dei casi non richiedono una correzione chirurgica. Un altro punto debole sta nel passaggio tra uretere e vescica. In questo caso sarà dilatato anche l’uretere e si parla di stenosi uretero-vescicale. Questa è la più benigna di queste anomalie, e ha di regola un comportamento molto simile a quello del reflusso vescico-ureterale. Può dare un quadro ecografico molto simile e comporta più o meno le stesse complicazioni di questo, cioè le infezioni urinarie. Anche la sua evoluzione, solitamente in meglio, la fa assomigliare al reflusso, e anche le decisioni da prendere sulla terapia e sulle indagini da fare, pertanto, non sono molto diverse.
Un terzo punto debole è l’uretra, che può essere sede, nei maschi, di una malformazione chiamata valvole dell’uretra posteriore. Questa è la malformazione più rara, ma più grave perché comporta spesso delle alterazioni del tessuto renale già nei primi mesi in cui avviene la formazione del rene (i primi quattro mesi della gravidanza, più o meno) e soprattutto perché solitamente interessa entrambi i reni, che appaiono quasi sempre già all’ecografia in utero dilatati e danneggiati. È questa l’unica situazione in cui ci si deve preoccupare per il futuro del bambino e fare qualcosa già nel periodo neonatale, nella maggior parte dei casi.
In tutti gli altri casi abbiamo tutto il tempo per pensarci, controllare, valutare l’evoluzione, sorvegliare la possibile insorgenza di infezioni, cercando di essere il più rispettosi possibile del bambino, evitando di eccedere in esami invasivi (come l’amniocentesi o la villocentesi) in questo caso inutili e pericolosi o ricorrendo a terapie ingiustificate. Basterebbe ogni volta chiedersi se gli esami noi medici li facciamo per la nostra curiosità, sia pure scientifica, o per il bene del bambino, se cioè quello che gli prescriviamo cambia la sostanza delle cose. È giusto infatti non dimenticarsi che la dilatazione c’è, e che va controllata nel tempo; ma è altrettanto giusto cercare il modo meno invasivo possibile per farlo. Per fortuna l’ecografia costa poco, non danneggia il bambino e non prevede l’uso di raggi X.
Ci sono anche esami più complessi e costosi, ma anche più precisi che il pediatra o il nefrologo potrà decidere, se necessario, di fare: primo fra tutti la scintigrafia, cioè l’iniezione endovena di una sostanza radioattiva, che ha la caratteristica di venir localizzata a livello dei reni ed eliminata con le urine. Questa ci dà anche indicazioni importanti sulla funzionalità dei reni.
Se un’ecografia in gravidanza o dopo il parto dovesse evidenziare un’anomalia del rene o delle vie urinarie, solo raramente si tratterà di un problema importante da affrontare con esami aggressivi e per cui prospettare il ricorso al chirurgo. E allora come facciamo a sapere quali bambini dovranno essere portati dal chirurgo e quali no? Ormai sappiamo che l’indicazione alla correzione chirurgica viene soprattutto dalla riduzione della funzionalità di quel rene. Se il rene infatti funziona meno, vuol dire che sta soffrendo perché l’ostacolato passaggio dell’urina provoca un aumento della pressione all’interno della pelvi stessa.
Ci sono poi bambini che mostrano in utero un’assenza o una posizione anomala di un rene: entrambe situazioni che non avranno alcuna conseguenza grave nella vita futura. C’è infine la cosiddetta displasia multicistica, la sostituzione cioè di parte o tutto il tessuto renale di un rene con cisti o tessuto fibroso. Dopo la nascita questo rene, che praticamente non funziona, andrà quasi inevitabilmente incontro a una scomparsa; ma non ci saranno conseguenze gravi, se non in qualche caso un’ipertensione arteriosa.
I reni per fortuna sono due e, se uno dei due funziona male, l’altro si ingrandisce, si rafforza e diventa capace di lavorare per due. Una sorveglianza ecografia nei primi anni di vita ve lo confermerà.
si laurea in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Padova, dove consegue anche la laurea specialistica in Pediatria. Successivamente, presso l'Università di Trieste, conclude il suo percorso di specializzazione in Nefrologia. È stato responsabile del Dipartimento materno-infantile dell’Azienda Ospedaliera S. Maria degli Angeli di Pordenone e responsabile del Dipartimento materno-infantile interaziendale della provincia di Pordenone. Dopo la pensione, ha collaborato con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano per la gestione dell’Area Giovani di questo IRCCS.