Con il termine “disgrafia” si intende un disturbo della scrittura corsiva (considerata come il naturale prolungamento del movimento umano) che può esprimersi in diversa misura coinvolgendo uno o più aspetti. Le cause della disgrafia vanno ricercate in ciascun bambino, andando a comprendere qual è l’alterazione e in quale area cognitiva è collocata, in modo da comprendere bene il disturbo grafico.
Nell’ambito dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) la disgrafia riguarda quindi l’abilità grafo-motoria e non deve essere confusa con la disortografia che invece, come vedremo in seguito, ha caratteristiche differenti. Di seguito approfondiremo quali sono i sintomi della disgrafia, con quali test viene diagnosticata al bambino e in che modo viene trattata.
Ma quali sono le cause della disgrafia? Perché alcuni bambini sono disgrafici? Iniziamo dicendo che nell’atto di scrittura, oltre al significato (il contenuto del messaggio che si intende condividere) è coinvolto anche il linguaggio, che diviene rappresentazione attraverso un insieme di segni detti “grafemi”. Vi sono inoltre delle componenti che possiamo definire esecutivo-motorie, ovvero:
Il rapporto tra movimento e strumento è mediato dalla prensione della mano, ma nell’atto di scrittura è coinvolto l’intero corpo. Infatti, per scrivere è necessario essere in grado di compiere una dissociazione tra:
Inoltre è necessaria la coordinazione tra movimento della testa e controllo visivo (in gergo tecnico “coordinazione occhio-mano), dovendo prendere punti di riferimento percettivo-spaziali sul foglio (righe e quadretti). La modulazione della forza e dell’impegno tonico, infine, consentendo fluidità e continuità del gesto, senza interruzioni o variazioni di velocità.
Nel bambino disgrafico l’integrazione delle componenti esecutivo-motorie è compromessa, e il risultato che ne consegue è una scrittura disordinata, scarsamente leggibile, nonostante lo sforzo che può richiedere la sua realizzazione. Non dobbiamo però commettere l’errore di intendere il bambino disgrafico unicamente come un “cattivo scrittore”, con una brutta impugnatura della penna e i quaderni frequentemente “disordinati”: sarà importante riconoscere quei segnali della motricità, della consapevolezza corporea, della conoscenza e gestione dello spazio e della coordinazione delle diverse funzioni percettivo-motorie che ci illustreranno la specificità del suo quadro.
La disgrafia del bambino, quindi, va affrontata andando a ricercare qual è l’alterazione in una o più aree coinvolte per poter riconoscere e precisare le origini di ogni specifico disturbo grafico.
Secondo le statistiche più recenti pubblicate sul sito del MIUR relative ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), durante l’anno scolastico 2017/2018 gli alunni con disgrafia hanno rappresentato lo 0,9% del totale (scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado). Le certificazioni di disgrafia rispetto all’anno scolastico 2013/2014 hanno visto un aumento del 163,4%. Inoltre, il MIUR segnala che tra gli studenti con DSA il 18,2% è in possesso di certificazione di disgrafia. [1]
Nell’ambito di DSA, un’equipe coordinata dal neuropsichiatra infantile si occupa di definire la diagnosi specificando quali sono gli ambiti prevalentemente compromessi nel bambino. Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni:
La dislessia è il disturbo nella lettura, intesa come abilità di decodifica del testo, mentre la discalculia è il disturbo nelle capacità di comprendere e operare con i numeri. Qual è invece la differenza tra disortografia e disgrafia, entrambi disturbi della scrittura? La disortografia consiste nella difficoltà di convertire in simboli grafici (le lettere alfabetiche) i suoni del linguaggio verbale, mentre la disgrafia riguarda, come descritto finora, l’abilità grafo-motoria. Specialista nella valutazione e nel trattamento del bambino disgrafico è il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, TNPEE (abbiamo spiegato cos’è e come funziona la psicomotricità in questo articolo).
Le diverse condizioni appena citate possono presentarsi singolarmente oppure coesistere nel bambino e influenzarsi a vicenda nei processi di apprendimento. La disgrafia può influenzare in modo negativo la fase di consolidamento delle diverse competenze, ad esempio di quelle ortografiche – uno sforzo eccessivo nel movimento può far perdere l’attenzione del bambino alla costruzione corretta della parola – ma anche di quelle legate al calcolo: sul quaderno di matematica la scrittura dei numeri deve essere adattata al quadretto e le operazioni vanno incolonnate.
Di frequente nel bambino con disgrafia si presentano disturbi correlati, tra cui il Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), con cui si intende una difficoltà nelle abilità di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e di regolazione del livello di attività, ovvero un quadro associato di ipercinesia (un eccesso di movimenti).
Inoltre, considerata la stretta relazione tra scrittura e movimento, sarà necessario valutare anche la possibile associazione al Disturbo di Sviluppo della Coordinazione Motoria (Developmental Coordination Disorder, DCD) e/o alla disprassia, ovvero la difficoltà di compiere gesti coordinati e diretti a uno scopo.
Occorre precisare che nei disturbi del neurosviluppo descritti, in cui è incluso il caso della disgrafia, il quadro clinico si presenta in assenza di un deficit cognitivo (Q.I. nella norma) e di altre patologie mediche che possono in altro modo giustificare la presenza delle caratteristiche evidenziate.
L’eziologia è multifattoriale, il che vuol dire che a una predisposizione neurobiologica del bambino a esprimere il disturbo concorrono le variabili definite dall’ambiente.
Anche se la diagnosi di disgrafia può essere fatta solo alla fine della seconda elementare, ovvero nel momento in cui il processo di apprendimento della scrittura corsiva dovrebbe essere consolidato, possiamo notare eventuali segnali di rischio nel comportamento motorio del bambino anche prima.
Osservando il comportamento spontaneo del bambino piccolo (3-4 anni di età) si deve in primo luogo considerare l’equilibrio fra le attività motorie globali e quelle manuali, importante perché indice di uno sviluppo armonico.
Un indice di disequilibrio si può riscontrare sia nei bambini che non riescono mai a stare fermi, che si muovono senza uno scopo preciso e spesso cadono, sia nei bambini che prediligono attività sedentarie, anche se, a un’attenta osservazione, potrebbero risultare ripetitivi nelle azioni con abilità manuali povere e di scarsa precisione.
Nell’osservazione si terrà conto, in relazione all’età, dello sviluppo delle coordinazioni motorie (correre, saltare, arrampicarsi, superare gli ostacoli, lanciare e ricevere la palla, eccetera) e dell’evoluzione degli “schemi d’azione manuali”: infilare e sfilare (perline, anelli, bottoni, pasta…) da supporti rigidi (ad esempio bastoncini) e/o flessibili come corde e laccetti; mettere dentro-fuori; aprire e chiudere (scatole, barattoli, cerniere…); rovesciare e travasare; avvitare e svitare; appallottolare (la carta, il pongo, fazzoletti di tessuto…), strappare, piegare, raccogliere; far rotolare.
Si osserverà, inoltre, se il bambino riesce ad adeguare correttamente la prensione in relazione alle forme diverse degli oggetti, fino ad arrivare allo strumento grafico.
Nell’età successiva, l’attenzione al movimento terrà conto anche dell’aspetto qualitativo che caratterizza la maturazione del bambino. Durante l’ultimo anno della materna e il primo della scuola primaria la capacità del piccolo di conservare l’attenzione su un compito, mantenendo anche, per un certo tempo, la posizione seduta, diventa molto importante per predisporsi all’apprendimento.
Quanto descritto, a questo punto dovrebbe essere anche ben integrato con l’evoluzione del linguaggio, ma può accadere che a una difficoltà nel movimento corrisponda un atteggiamento iperverboso o una prevalenza di interesse verso il gioco di tipo simbolico (il bambino gioca prevalentemente a “far finta che” per evitare di attivare le abilità d’azione; l’uso della fantasia gli permette infatti di controllare la realtà attraverso il linguaggio).
Scarse competenze motorie favoriscono il prolungamento di una dipendenza dall’adulto per quanto riguarda attività come vestirsi, lavarsi, allacciarsi le scarpe, eccetera. Parliamo ad esempio di bambini non ancora in grado di infilare i bottoni nelle asole o di aprire e chiudere le cerniere. Spesso sono particolarmente lenti, oppure tendono a concludere frettolosamente azioni come lavarsi i denti, mettersi il pigiama, infilarsi i calzini. Difficoltosa potrebbe essere anche la gestione del cibo con le posate.
A scuola, questi bambini incontrano facilmente difficoltà nella cura e nell’ordine del proprio materiale (ad esempio l’astuccio e lo zaino), o nell’organizzazione dello spazio del banco. Spesso non amano disegnare o preferiscono realizzare forme “astratte”, per evitare la frustrazione legata al non sentirsi capaci di “far bene” come gli altri in questa attività. Sono bambini che faticano anche nelle attività che prevedono l’utilizzo di forbici e righello, o nella gestione dell’attività fisica, soprattutto di quegli sport di coordinazione con la palla e in cui vi sia l’aspetto della competizione.
Un’attenta osservazione di questi primi segnali che riguardano il movimento consentirà di condurre precocemente il bambino all’attenzione dei professionisti per attivare, nei casi in cui vi fosse la necessità, un intervento specifico.
Il TNPEE effettuerà una valutazione utile a definire il profilo soggettivo di ciascun bambino. In particolare osserverà la qualità e l’organizzazione del movimento espresse nelle coordinazioni nello spazio, nelle attività con la palla, nel controllo posturale in situazione statica e dinamica, e infine nella motricità fine e nell’attività prassico-manuale.
L’attenzione del TNPEE è rivolta anche a osservare e registrare come il bambino conosce, percepisce e rappresenta il proprio corpo, e la sua capacità di orientarsi nello spazio.
Fondamentale sarà considerare l’abilità di riprodurre modelli, tra cui anche quelli grafici. Già in questa occasione, quindi, anche nel caso del bambino in età pre-scolare, vi sarà modo di registrare quegli aspetti che possono essere coinvolti nella disgrafia, ovvero: la qualità del tratto grafico e l’eventuale presenza di tremori, cambi di rotta o interruzioni nel segno; la capacità di copiare una forma rispettandone dimensioni e proporzioni, l’organizzazione spaziale generale nel foglio; la capacità di orientare il gesto grafico prendendo punti di riferimento spaziali.
Ulteriori esami forniranno una valutazione sulla percezione visiva, sull’integrazione visuo-motoria e sull’eventuale presenza di un Disturbo di Sviluppo della Coordinazione Motoria o di disprassia.
A partire dalla fine del secondo anno della scuola primaria, l’intervento del TNPEE sarà utile per confermare e supportare la diagnosi di disgrafia attraverso l’utilizzo di test specifici strutturati per valutare la scrittura corsiva.
Tra i test per diagnosticare la disgrafia e valutare la scrittura del bambino citiamo il BHK (Scala sintetica per la valutazione della scrittura in età evolutiva) e il DGM-P (test per la valutazione delle difficoltà grafo-motorie e posturali della scrittura). Sono prove che, in modo diverso, considerano:
Complessivamente, la valutazione consentirà di individuare le aree di compromissione e fragilità che concorrono alla definizione del disturbo, mettendo in luce le differenze soggettive ed evidenziando non solo se il bambino è disgrafico o no, ma anche in che misura si esprime la sua disgrafia.
Quali sono i trattamenti per un bambino disgrafico? In che modo si può aiutare il piccolo? A partire da queste basi il TNPEE costruirà l’intervento riabilitativo, “cucito” come un vestito su misura in base alle caratteristiche del bambino.
Da un punto di vista generale, in ambito terapeutico neuro-psicomotorio è prioritario costruire, assieme al piccolo, la sua disponibilità emotiva all’apprendimento e la sua consapevolezza di potersi mettere in gioco con serenità nei compiti che gli vengono affidati. Questo significa accogliere il bambino e i suoi vissuti, accompagnandolo verso una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità e difficoltà.
Il bambino viene così progressivamente guidato dal terapista verso attività che richiedono un adattamento alle richieste dell’ambiente esterno, come ad esempio saper imitare, seguire delle consegne verbali esercitando un’attenzione stabile sul compito fino al suo esaurimento e avere la capacità di tollerare le eventuali frustrazioni che possono derivare dai possibili fallimenti incontrati. Durante il percorso si esercita la motricità nelle sue diverse componenti attraverso l’integrazione di altre funzioni dello sviluppo (attenzione, linguaggio, memoria, eccetera).
Il grafismo sarà affrontato a partire dalla pittografia (utilizzo dello strumento del pennello per mediare l’attività grafica), fino a strutturare percorsi mirati e soggettivi per recuperare la scrittura.
Può essere utile, quando necessario, condividere con il contesto scolastico e con la famiglia del piccolo l’utilizzo di alcuni ausili, che devono rispecchiare i bisogni individuali di ogni bambino disgrafico e che vengono scelti dopo un’accurata valutazione e concordati con l’ambiente di vita (ad esempio quaderni, facilitatori per la prensione, penne o matite specifiche, eccetera).
Una possibilità può essere quella dell’uso di quaderni per la disgrafia con righe e quadretti evidenziati in presenza di disturbi visuo-percettivi.
Esistono degli esercizi per migliorare la disgrafia? È importante sottolineare che non ci sono rimedi “fai da te” o esercizi applicabili in modo generico a qualsiasi situazione: per ogni bambino disgrafico sarà necessaria una valutazione specifica. Vi sono però delle attività che possono avere uno scopo preventivo e che potrebbero essere proposte fin dalla scuola dell’infanzia. Tra queste, le attività di movimento di gruppo favoriscono nel bambino lo sviluppo della capacità di prestare attenzione alle indicazioni esterne e il controllo del movimento spontaneo. Il gioco con la palla consente di sperimentare l’inibizione del movimento, attivando solo gli arti superiori, dando al bambino la possibilità di regolare la forza e il tono nel loro utilizzo.
Vi sono poi i giochi che richiamano l’assunzione di posture diverse, oppure il trasporto di oggetti sulla schiena o sulle braccia tese o sulla pancia stando attenti a non farli cadere, o quelli in cui si deve spostare o spingere un oggetto con una sola parte del corpo (in questo modo, il bambino dovrà trovare la posizione idonea per svolgere il compito).
Tra gli esercizi da fare per prevenire l’evoluzione di un disturbo del movimento, che esiti nella disgrafia, saranno da considerare tutti quelli relativi alle abilità manuali. Oltre a favorire l’attivazione di tutti gli schemi d’azione e delle loro possibili combinazioni, utili sono quelle attività che sollecitano la forza e la percezione di ogni singolo dito (ad esempio: tirare la pallina ogni volta con un dito diverso, prendere in mano dei fagiolini e farli cadere uno alla volta, eccetera).
Per quanto riguarda il gesto grafico, saranno invece utili le attività che stimolano:
Tutti gli esempi descritti costituiscono una parte integrativa fondamentale del processo che prepara il bambino all’inserimento alla scuola primaria e quindi all’apprendimento della scrittura, pertanto dovrebbero essere considerati nei percorsi educativi di tutti i bambini.
Per un maggiore approfondimento rimandiamo agli articoli di Elena Ravazzolo Sbagliando si impara: la scoperta dell’errore e Scoprire il mondo senza paura.
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva presso il Centro RTP e professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano. Svolge attività di terapista anche presso l’Opera Diocesana Istituto San Vincenzo e diversi studi privati, e collabora presso asili nido e scuole materne del capoluogo lombardo con progetti di tipo educativo-preventivo nella prima infanzia.