Il disturbo della condotta è una patologia del comportamento inserita all’interno del DSM 5, ovvero il manuale diagnostico curato dall’American Psychiatric Association per l’identificazione dei disturbi mentali.
Il termine “condotta” può confondere le idee: non si tratta, infatti, di un disturbo che emerge prevalentemente all’interno della quotidianità scolastica, quanto piuttosto di uno stile di comportamento che riguarda più in generale la quotidianità dei soggetti con questo deficit.
Quali sono le caratteristiche del disturbo della condotta? La tendenza all’uso della violenza e della prevaricazione sugli altri, episodi di crudeltà nei confronti di esseri viventi (si può arrivare fino a veri e propri abusi). Il disturbo può evolvere a partire da un disturbo oppositivo-provocatorio, le cui percentuali di insorgenza sono piuttosto alte (tra il 6% e il 16% dei bambini) e i cui aspetti evidenti sono rabbia, comportamenti vendicativi e irritabilità che perdurano per più di sei mesi.
Comportamenti dunque diversi dalla semplice “cattiva condotta” scolastica, e soprattutto caratterizzati, quando non da palese ed esplicita violenza grave, da una reiterazione nel tempo di episodi di rabbia incontrollata e profonde mancanze nel rispetto delle regole sociali.
Per un genitore o un insegnante può non essere semplice distinguere il disturbo della condotta da quello che Bruno Tognolini, in un suo bellissimo libro illustrato da Giulia Orecchia, definisce “il ghiribizzo”, cioè la semplice fuga – fisica o mentale – dalle regole imposte dal contesto, come il fatto di stare seduto al banco, fare i compiti, non urlare, non litigare con i compagni di classe.
Ma allora, come capire se ci troviamo di fronte a un disturbo della condotta o se si tratta di un semplice ghiribizzo, o magari di un periodo particolarmente complicato e da attenzionare in altro modo? Esistono dei “sintomi” del disturbo della condotta a cui bisogna prestare attenzione?
Per sostenere una prima valutazione del fenomeno, è bene tenere a mente quali possono essere le manifestazioni riconducibili a questa problematica, per poi rivolgersi a un professionista che avvierà l’iter diagnostico.
Innanzitutto, è necessaria un’osservazione attenta e duratura nel tempo. A prevalere in questi bambini e ragazzi (solitamente sono maschi in età preadolescenziale o adolescenziale) è infatti un atteggiamento aggressivo e rabbioso che, nei casi più estremi, può sfociare in una vera e propria violenza – verbale e fisica – e in potenziali comportamenti dannosi nei confronti di sé stessi e degli altri: prepotenze, minacce, risse, furti, danni a proprietà altrui o della comunità, maltrattamenti a esseri viventi.
Non basta però che questi eventi si verifichino, ma è centrale anche la frequenza con cui si presentano e l’apparente assenza di una causa scatenante.
Facciamo due esempi. Se capita che Karim, una volta ogni due settimane, picchi il suo compagno di classe Francesco durante la ricreazione, è opportuno prima scoprire se Francesco – o altri bambini della classe – non agiscano forme di violenza psicologica su Karim – magari prendendolo in giro per la sua provenienza, per il colore della pelle, per le difficoltà con la lingua italiana – scatenando quindi nel compagno un atteggiamento di frustrazione e rabbia che ha sicuramente bisogno di essere accolto e indirizzato, senza per questo parlare di disturbo della condotta.
Diverso è il caso di Giulio che, oltre a numerose segnalazioni di fragilità pregressa, nel corso dei primi sei mesi di scuola media: ha tentato di fuggire tre volte; a ricreazione, in cortile, ogni tanto sevizia e uccide le lucertole; picchia ciclicamente i compagni e le compagne di classe senza motivo apparente; non sembra in grado di provare empatia o di comprendere i sentimenti e i punti di vista altrui. In quest’ultimo caso, potrebbe essere assolutamente opportuno avviare l’iter diagnostico.
Ma l’insorgenza a cosa è dovuta? Perché si manifesta il disturbo della condotta? Come spesso succede quando si parla di deficit del comportamento, anche in questo caso le origini non sono ben definite e univoche. Si tratta infatti di un disturbo che dipende da fattori biologici, ambientali, genetici e sociali, compresa una bassa competenza emotiva.
Motivi scatenanti possono essere una serie di fattori di rischio, ovvero:
Alcune ricerche sulle cause del disturbo della condotta hanno inoltre identificato, nei soggetti affetti da questa problematica, un deficit nell’elaborazione dell’informazione sociale: significa che per questi bambini l’interazione con gli altri non avviene correttamente perché le espressioni verbali o del viso di compagni, amici, adulti e insegnanti vengono interpretate come ostili anche quando non lo sono, scatenando quindi più facilmente una reazione aggressiva o vendicativa.Parallelamente, altri studi segnalano come questi soggetti, le cui competenze socio-emotive sono particolarmente basse, abbiano difficoltà a percepire segnali di disagio nel volto altrui (paura, tristezza, dolore), ma non a percepire la rabbia, e come questo aumenterebbe in loro la percezione dell’ostilità di chi hanno di fronte.
Vediamo adesso concretamente cosa fare per il disturbo della condotta.
Se i comportamenti che abbiamo descritto si ripetono con una certa frequenza, per prima cosa è necessario rivolgersi al pediatra, il quale effettuerà una prima valutazione e, d’accordo con i genitori, si deciderà poi se procedere con una o più visite dal neuropsichiatra o presso un centro diagnostico specializzato in disturbi cognitivi e del comportamento. La diagnosi verrà poi presentata agli insegnanti assieme alla richiesta di un colloquio, all’interno del quale sarà possibile approfondire la situazione, possibilmente mettendo in contatto la scuola con il professionista che seguirà il piccolo.
Trattandosi di un deficit fortemente influenzato dall’ambiente educativo, per l’avvio di un trattamento per il disturbo della condotta sarà poi necessario che gli adulti di riferimento si rendano disponibili a condividere strategie, mettendo anche in discussione le modalità con cui si sono relazionati al bambino fino a quel momento. Si tratta, in questo caso, di un “trattamento multisistemico”, che focalizza l’intervento sull’adolescente, sulla famiglia, sulla scuola e sul gruppo dei pari.
Altro intervento per il disturbo della condotta riguarda gli insegnanti. Sia che nel gruppo classe si trovi un bambino con diagnosi di disturbo della condotta, oppure un bambino che non ha ancora terminato l’iter, è sempre bene unire l’aspetto formale (l’elaborazione di un PDP che sostenga e delinei l’intervento educativo e didattico) con quello educativo: il suggerimento è quello di parlare al ragazzo con un tono di voce calmo e non aggressivo anche di fronte a eventuali comportamenti provocatori di quest’ultimo, evitando di far ricorso a minacce di punizioni o note, sempre inutili di fronte a situazioni educative fragili.
Dal punto di vista della comunità di classe, infine, è certamente utile dedicare tempo e spazio alla creazione di percorsi adatti allo sviluppo degli aspetti emotivi ed empatici, fondamentali per costruire un clima di ascolto, rispetto e reciprocità di cui il ragazzo in difficoltà ha bisogno, sia per un contenimento personale sia come esempio di differente modello relazionale rispetto a quelli a cui è stato è stato abituato nel corso della sua crescita.