Comunicare coi nostri bambini è un bisogno primordiale che passa attraverso sguardi, gesti, azioni e modulazioni della voce. Si comunica anche senza averne l’intenzione, quando un’emozione modifica la mimica del volto o reagiamo con un comportamento automatico. Gli animali comunicano tra di loro attraverso particolari movimenti e versi che indicano una fonte di cibo, la presenza di un pericolo, la disponibilità al corteggiamento. Ci sono animali domestici che sviluppano comportamenti molto evoluti in risposta a certe parole del padrone, e i primati adeguatamente istruiti possono utilizzare decine di segni gestuali per richiedere qualcosa di loro interesse. È meraviglioso, ma niente a che vedere con la “doppia articolazione” che caratterizza il linguaggio umano.
Che cosa si intende per doppia articolazione? La capacità di combinare singoli suoni (foni) che in una data lingua hanno un valore distintivo (fonema) in una sequenza cui viene attribuito un significato (morfema, parola) e che può essere inserita in una frase. Si tratta di un meccanismo estremamente economico per produrre infiniti significati. Ogni lingua del mondo utilizza determinati suoni (alcuni condivisi con le altre lingue, altri peculiari) che il bambino impara a riconoscere già in utero, e delle specifiche regole di combinazione che il cervello del bimbo deriverà pian piano dai messaggi verbali ai quali verrà esposto, condividendo relazioni e significati.
L’italiano parlato ha trenta fonemi e i bambini dovrebbero possederli tutti e usarli correttamente entro i 4 anni e mezzo. Ciò non significa che sia necessario aspettare tale età per recarsi eventualmente dal logopedista: negli ultimi anni gli studi scientifici hanno chiaramente sottolineato l’importanza di una presa in carico precoce, soprattutto per alcuni problemi linguistici che vengono spesso sottovalutati. Infatti, non esistono solo i difetti di pronuncia, come la r moscia, la s sibilante o la difficoltà a produrre, per esempio, le c dolci o le z (si tratta, in questo caso, di difficoltà articolatorie determinate dai muscoli di una bocca non ancora sufficientemente forte o organizzata).
Oltre ai disturbi collegati a certe patologie, come le lesioni cerebrali (dovute a infezioni, traumi, danni ipossico-ischemici-emorragici, tumori…), esistono anche problematiche linguistiche che si collocano a livello del sistema nervoso centrale ma che non derivano da danni neurologici visibili (alcune teorie organicistiche inseriscono la balbuzie tra questi fenomeni, ne parliamo in questo articolo). Secondo le ultime stime sembrano interessare circa il 7% dei bambini di 5 anni, in prevalenza maschi, che presentano per altri aspetti uno sviluppo tipico, hanno avuto un’esposizione linguistica adeguata, hanno un funzionamento uditivo normale e una buona intenzionalità comunicativa di base. Fino agli anni ‘90 del secolo scorso tali problemi erano raggruppati sotto l’espressione di “disfasia evolutiva”, poi per anni si è parlato di Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL), da non confondere con altri disturbi del linguaggio o i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), ovvero dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Recentemente, infine, è stata proposta la denominazione Disturbo Primario del Linguaggio (DPL), per sottolineare che queste difficoltà non derivano da altri disturbi ma possono presentarsi insieme con diverse vulnerabilità, in particolare nel controllo motorio, nella memoria verbale di lavoro (vale a dire, semplificando, quante sillabe riusciamo a mantenere in memoria mentre processiamo informazioni) e nelle altre funzioni esecutive (attenzione, pianificazione, inibizione delle risposte errate).
I bambini con Disturbo Primario del Linguaggio hanno un quoziente intellettivo nella norma, non hanno evidenti deficit sensoriali, vivono in un ambiente adeguato, ma per loro imparare a parlare bene non è così semplice e naturale. Si va dalle problematiche lievi alle vere e proprie carenze che possono provocare un disagio nella comunicazione. Un bambino che non pronuncia correttamente alcune parole può far fatica a cogliere le differenze tra suoni simili: dice ad esempio «vompe» per “volpe” o «tella» per “stella”, ed è convinto di aver detto giusto. È importante non correggerlo mentre è nel vivo della produzione, ma trovare un tempo dedicato a fargli conoscere e sperimentare queste paroline dispettose.
Alcuni bambini confondono talmente tanti suoni mentre parlano da risultare poco comprensibili a chi li ascolta per la prima volta: può trattarsi di un disordine fonologico complesso (per cui la difficoltà sta nel discriminare e nel recuperare velocemente in memoria una sequenza di suoni) o di una “disprassia verbale“ (la difficoltà in questo caso è programmare la corretta e rapida esecuzione della sequenza, nonostante il bambino sappia esattamente come suona ciò che vorrebbe dire). Per questi bambini un intervento specialistico precoce può essere fondamentale.
Ci sono bambini che ancora dopo i 3 anni non accedono al livello frasale, sono poco sensibili agli elementi grammaticali, trovano difficile utilizzare gli articoli e i pronomi, usano i verbi all’infinito, tendono a parlare con frasi brevi e semplici perché faticano a ricorrere a preposizioni e congiunzioni, difficilmente riescono a spiegarsi in maniera efficace quando vogliono raccontare qualcosa.
Talvolta le difficoltà grammaticali non sono solo nella produzione ma anche nella comprensione, un aspetto spesso sottostimato perché si tratta di bambini che hanno capacità cognitive nella norma e possono dedurre il senso di una frase all’interno di una certa situazione pur avendone compreso solo alcune parole; per loro però è più difficile, rispetto ai coetanei, comprendere frasi complesse fuori dal contesto, spesso prestano poca attenzione alle storie perché un messaggio verbale lungo li affatica e sono più interessati alle immagini. Quando sono più grandi, potrebbero non cogliere il senso dei modi di dire, faticare con il linguaggio astratto o con le piccole differenze semantiche tra due vocaboli di significato simile. Anche per questi bambini è importante impostare per tempo strategie mirate di rinforzo fornendo modelli linguistici alla loro portata e ampliandoli per gradi.
Un bambino che a 2 anni ha un repertorio linguistico di meno di cinquanta parole e a 2 anni e mezzo non è ancora in grado di combinare almeno due parole insieme ha un ritardo del linguaggio. Anche se nel 70-80% dei casi il ritardo verrà recuperato spontaneamente, si possono tuttavia fin da subito consigliare al genitore delle strategie utili per favorire le attitudini comunicative; inoltre è possibile individuare precocemente alcuni fattori di rischio per i quali la presa in carico precoce risulta essenziale ai fini dello sviluppo linguistico.
A 3 anni si valuteranno ulteriormente il vocabolario, le abilità oro-motorie e alcuni aspetti morfosintattici del linguaggio, individuando i nuclei di fragilità e iniziando, se ce ne fosse bisogno, un percorso col logopedista, in collaborazione con i genitori e con i medici di riferimento (il pediatra ed eventualmente il neuropsichiatra infantile).
Se le difficoltà permangono si procederà a un’ulteriore valutazione con test specifici per arrivare, in caso, a una diagnosi, che resta il punto di partenza per un intervento ancora più focalizzato.