Conoscere, comprendere, scoprire è il lavoro prioritario di ogni bambino. Per questo i bambini interrogano il mondo, costantemente e incessantemente: perché questo è il loro modo per imparare a orientarsi nella vita, tra le persone, con le cose e, prima di tutto, con sé stessi. Per questo, farsi domande è per loro un’esigenza fondamentale, quasi come nutrirsi e respirare: un bisogno del loro cervello, certo, ma anche un bisogno del loro corpo, del loro cuore e della loro individualità.
Il modo in cui gli adulti concepiscono le domande è un modo innanzitutto verbale: per i grandi, le domande sono quelle fatte di parole e che finiscono con un punto interrogativo. Anche molte delle domande dei bambini sono fatte allo stesso modo, ma questa non è l’unica formulazione e, soprattutto, non è la prima.
Le prime domande dei più piccoli, infatti, sono fatte di sguardi che si spostano dalle persone alle cose come a indicare o a chiedere di avvicinarsi; di bocche che incontrano gli oggetti e danno in questo modo forma alle cose e al mondo; di mani che esplorano ciò che li circonda, misurando, soppesando, comparando, provando; di piedi che tastano terreni, che tentano equilibri, che affrontano salite o discese. Ognuna di queste azioni è una domanda sul mondo, un tentativo di mettersi in dialogo con esso, un’esplorazione orientata a comprendere le proprie possibilità e le risposte dell’ambiente. Pensare a queste azioni come a delle domande che i bambini pongono mette gli adulti nella posizione di dover pensare anche alle risposte più utili.
La prima tentazione degli adulti davanti a questi comportamenti-domanda dei bambini può essere quella di bloccare le loro azioni, di solito con l’intento di proteggerli da eventuali pericoli: in tal modo, però, si corre il rischio di ostacolare anche il naturale processo di apprendimento dei bambini. Per questo è fondamentale pensare a contesti che siano certamente sicuri, ma che contemporaneamente permettano ai bambini di muoversi in libertà: in quella libertà di movimento risiede la possibilità di esercitare la propria attenzione e la propria concentrazione; significa permettere di toccare, spostare, impilare, perché in quel giocare con le cose c’è una ricerca di comprensione che ha bisogno di esercitarsi; significa lasciar fare, ovviamente non tutto, ma molto, per permettere di imparare; significa, poi, permettere di sbagliare, perché l’errore è esercizio di comprensione.
A queste domande in azione si aggiungono poi quelle più familiari per gli adulti, cioè le domande messe in parole, dapprima una sola, quindi una frase, complessa come ogni questione che interroga con profondità e sete di sapere. Questo vale anche quando si tratta di domande che all’adulto appaiono ovvie o addirittura sciocche: in realtà, la loro formulazione diretta è spesso l’espressione di una questione fondamentale, che va al nucleo centrale delle cose.
Il fatto che siano domande espresse diversamente da come le formulerebbe un adulto non significa affatto che siano meno intelligenti, anzi. Se infatti l’etimologia della parola “intelligenza” può essere fatta risalire all’incontro tra l’avverbio latino intus, che significa “dentro”, e al verbo legere, che corrisponde al nostro “leggere” nel senso di comprendere, le domande dei bambini sono esattamente e propriamente intelligenti, in quanto tese a comprendere la realtà in profondità, per scoprire ciò che non è immediatamente evidente. Per tale ragione, esse sono sempre domande da prendere sul serio.
Il fatto che siano domande serie, da ascoltare seriamente, non significa che siano domande formulate sempre con seriosità. Le domande dei bambini, infatti, sono talvolta folgoranti, spiazzanti, irriverenti, anche perché dirette, non filtrate né orientate dai nostri stessi condizionamenti culturali; altre volte appaiono ingenue, magari anche scontate all’adulto che nel tempo ha maturato conoscenze e convinzioni che sostengono il suo modo di orientarsi nella complessità del mondo. In uno come nell’altro caso può essere difficile accoglierle e comprendere la rilevanza che possono avere per chi, come ogni bambino, abita questo nostro splendido, ma anche complicato pianeta da meno tempo di noi.
Tuttavia, ognuna di quelle domande (anche quella più scomoda) ha senso, legittimità, diritto di accoglienza, perché dichiara una curiosità che ha radici profonde: accoglierle è il modo con cui i grandi possono mantenere viva la curiosità come attitudine nei confronti della conoscenza, ma anche della vita stessa, mentre ignorarle o respingerle può contribuire a ridurre quell’atteggiamento indagatore. È nostra responsabilità, sia in famiglia sia ancor più nei contesti educativi, preservare quella curiosità, perché è una delle competenze più preziose che abbiamo.
Facendo domande, i bambini si esercitano in una competenza che, più avanti, sarà oggetto di studio durante la scuola, cioè quella del fare ricerca. Attraverso ogni domanda, i bambini assumono un atteggiamento investigativo nei confronti del mondo, si dispongono alla sua osservazione, si impegnano nella sua esplorazione, tutte azioni che costituiscono una premessa per ogni ricerca. Gli adulti che se ne occupano, dentro e fuori casa, hanno quindi il compito di creare le condizioni perché questa ricerca si possa realizzare.
Si tratta in primo luogo di fare spazio all’ascolto, sia delle azioni sia delle parole, ma anche di fare in modo che resti viva la tensione a continuare a cercare, anche crescendo e incontrando contesti, come talora sono quelli scolastici, che per loro natura possono tendere più a offrire risposte che a coltivare interrogativi. Certo, le risposte sono importanti, ma molto di più lo è esercitarsi nella ricerca, con adulti disponibili a ricercare insieme, mettendosi in gioco senza paura di stare nel dubbio e senza il bisogno di correggere per dare la risposta giusta, ma lasciando sbagliare e ritentare. Peraltro, spesso le supposizioni dei bambini nascondono ipotesi che affondano nella storia del pensiero umano e che sono per questo tutt’altro che infondate; dunque vale sempre la pena di seguirle con attenzione perché potrebbero riservarci sorprese.
Permettere di indagare le differenti possibilità di risposta a una domanda consente ai bambini di trovare soluzioni plurime a problemi per cui i grandi ne vedono sovente una sola. Si tratta di una capacità che non può essere persa né sprecata, soprattutto in un tempo come il nostro, in cui trovare risposte originali a questioni inedite è una delle competenze maggiormente richieste anche agli adulti. Ma se insegniamo ai bambini a dare sempre e solo le risposte giuste, quelle che si trovano alla fine dei libri e che non bisogna sbirciare, questa competenza sarà a rischio.
Per i bambini, le domande che si fanno sulle cose, sulle persone, sul mondo sono prima di tutto domande su sé stessi: esse, infatti, rappresentano per loro un modo per conoscersi, per imparare chi sono, per poter esplorare chi possono ma anche chi vogliono essere, proprio attraverso il mettersi in relazione, il confrontare e il comparare che ogni interrogativo presuppone.
Rimanendo accanto ai bambini sarà facile osservare che le loro domande crescono e quindi cambiano con il tempo, assumendo forme e articolazioni diverse, divenendo in apparenza più complesse, orientandosi a progressivi approfondimenti; tuttavia, a ogni età, in ogni loro espressione, esse sono manifestazioni da preservare, da coltivare, da rilanciare, perché in esse è custodita la nostra capacità di interrogare l’esistenza e, con questa, la nostra specificità in quanto esseri umani.
Ogni domanda, allora, è una possibilità di esercizio creativo, a patto che le risposte possano essere personali e anche divergenti: attraverso esse è infatti possibile sperimentare l’assunzione di più punti di vista, provare a guardare le cose e le persone da diverse angolazioni, imparare a non dare nulla per scontato, costruire le proprie idee e formare la propria rappresentazione del mondo, del suo funzionamento, dei fenomeni che lo attraversano.
Ogni domanda è come una luce che si accende intorno a una questione: grazie a essa si porta l’attenzione su qualcosa, dandole importanza e dedicandole tempo. Del resto, la radice di “attenzione” è la stessa di “attesa”: entrambe indicano l’azione di volgersi verso qualcosa, entrambe suggeriscono che per farlo occorrono cura, lentezza e dedizione. E dunque adulti disposti a dare tempo e spazio.
Ogni domanda è la possibilità di ricreare il mondo lasciandosi affascinare e stupire: per questo, per gli adulti che stanno accanto ai bambini, le loro domande sono una straordinaria occasione per osservarlo di nuovo e da capo, scoprendone aspetti trascurati o riscoprendone altri dimenticati, e dunque per farsi nuove domande.