«Ci sono cose che mio figlio riesce a fare con grande abilità e creatività, altre in cui si perde: la lettura di una breve testo, la scrittura di semplici parole, oppure non riesce a imparare le tabelline che ha cercato di imparare mille volte. A scuola mi dicono che non si impegna abbastanza, che potrebbe fare di più perché è intelligente. Io lo so che è intelligente, ma so anche che non basta che si impegni di più. Ci sono cose che riesce a fare solo se si sforza e si concentra al massimo, e che quindi lo stancano molto, al punto che a volte non vuole più farle».
Questa, con qualche variazione sul tema, potrebbe essere una pagina del diario di ogni mamma e papà con un figlio con DSA.
Cerchiamo di dare una risposta ai tanti genitori che si trovano disorientati di fronte a una situazione del genere e di spiegare, nel modo più semplice possibile, cosa sono i DSA e cosa può fare una famiglia per supportare i propri figli qualora presentino questo particolare disturbo (o caratteristica, come spesso si preferisce dire).
Per dare una definizione dei DSA cominciamo col dire che l’acronimo si riferisce ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento. I DSA si manifestano nel corso dei primi due o tre anni della scuola primaria, quando il bambino si cimenta con i primi compiti, in particolare con l’apprendimento della lettura, della scrittura e delle competenze matematiche. Vengono definiti “disturbi” perché non dipendono da scarso studio o esercizio ma piuttosto dall’impossibilità nel consolidamento di alcuni apprendimenti. Se, ad esempio, un bambino non riesce a memorizzare le tabelline, non è esercitandosi di più che riuscirà in questo intento. I DSA infatti si caratterizzano per una difficoltà cronica nell’automatizzare alcune abilità, dunque lo stesso bambino che non riesce a imparare le tabelline, anche da adulto avrà bisogno di pensare a lungo per ricordare un risultato della tavola pitagorica. Ciò non significa che non si possa migliorare in alcuni apprendimenti e riuscire a sviluppare abilità scolastiche, accademiche o professionali di un certo livello. Allo stesso tempo, però, alcune caratteristiche dei DSA possono rimanere inalterate nel corso di tutta la vita.
I DSA vengono definiti “specifici” perché non compromettono il funzionamento generale del bambino, ma esclusivamente l’apprendimento della lettura, della scrittura e delle competenze matematiche. Ecco perché le persone con DSA hanno un’intelligenza nella norma e a volte anche particolarmente brillante, pur continuando, ad esempio, a scrivere “bagnio” piuttosto che “bagno”.
Si chiamano specifici anche perché non riguardano problemi sensoriali, psicologici o culturali. Infatti, le difficoltà del bambino con DSA non dipendono dal mancato utilizzo di occhiali o di apparecchi acustici, né da problemi nella sfera affettiva e familiare o dal fatto che la sua maestra non sia in grado di insegnargli a leggere e a scrivere, e neppure da scarso impegno o interesse verso la scuola. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, è semmai vero il contrario: infatti, molti bambini con DSA sviluppano nel tempo un rifiuto verso la scuola come conseguenza dell’enorme difficoltà e senso di frustrazione che provano nell’affrontare un compito scolastico.
I DSA non dipendono neanche da vere e proprie malattie neurologiche, benché siano stati classificati dall’American Psychiatric Association nel 2013 tra i cosiddetti disturbi del neurosviluppo. Cercando di spiegarlo in modo semplice, possiamo dire che i DSA derivano da un diverso processo di specializzazione e differenziazione di alcune zone del cervello dovuto a un numero molto alto e variabile di fattori: genetici, epigenetici (espressione dei geni), prenatali, perinatali o legati alle prime fasi di sviluppo.
Infine, i DSA vengono riferiti alla sfera dell’apprendimento perché si traducono in un’inabilità ad apprendere a leggere, scrivere e fare di conto con efficienza. Alcuni bambini presentano solo una di queste inabilità, altri le presentano in forma mista.
Quando il bambino presenta un’inabilità ad apprendere a leggere fluentemente, potremmo trovarci di fronte a quella che viene più comunemente chiamata “dislessia” o “DSA nella lettura”. La dislessia può manifestarsi con disturbi nella lettura ad alta voce o nella comprensione del testo. Il bambino dislessico con disturbi nella lettura ad alta voce presenta una lettura poco automatizzata, imprecisa, lenta e faticosa. Ad esempio, legge le parole lettera per lettera, o sillabando e talvolta tirando a indovinare. Il bambino dislessico con disturbi nella comprensione del testo, invece, ha difficoltà a comprendere il contenuto di ciò che legge. È possibile che i due disturbi si presentino insieme o separatamente. Quindi il bambino dislessico che legge in maniera poco scorrevole può comprendere poco oppure avere una buona comprensione del testo. E lo stesso vale per il bambino dislessico che legge ad alta voce in modo fluente.
Quando il bambino presenta un’inabilità ad apprendere a scrivere in maniera ortograficamente corretta, potremmo essere in presenza di quella che viene più comunemente chiamata “disortografia” o “DSA nella scrittura”. La disortografia si presenta infatti come un disturbo nell’acquisizione e nell’uso delle regole ortografiche. Il bambino può, ad esempio, aggiungere, omettere o sostituire vocali o consonanti quando scrive una parola o una frase, sia nella scrittura sotto dettatura sia nella libera composizione del testo. A volte unisce due parole tra loro o non rispetta le regole ortografiche relative all’uso delle doppie, dell’apostrofo, dell’accento o dell’acca.
I disturbi della scrittura possono anche riguardare l’esecuzione grafica. In questo caso il bambino scrive in modo molto disordinato, non rispetta lo spazio del foglio, presenta delle variazioni nella dimensione delle lettere presenti all’interno di una parola o di una frase e produce testi poco leggibili. In questo caso potremmo essere in presenza di quella che viene comunemente chiamata disgrafia.
Benché la disortografia e la disgrafia riguardino entrambe la scrittura, possono presentarsi in forma isolata o congiunta tra loro. Possiamo quindi osservare bambini con sola disortografia, che scrivono in maniera molto ordinata ma commettono numerosi errori ortografici, e bambini con sola disgrafia, che scrivono in modo molto disordinato e irregolare ma hanno una chiara rappresentazione dell’ortografia delle parole, dell’uso delle doppie eccetera. Chiaramente, la disgrafia aumenta la probabilità che il numero di errori ortografici sia sovrastimato. In alcuni casi, infatti, agli occhi dell’adulto che corregge l’elaborato, una parola può apparire scorretta quando invece è semplicemente scritta male. Inoltre, gli stessi bambini – anche quando sono più grandi – possono avere una difficoltà nel riconoscere ciò che hanno scritto e quindi nell’autocorreggersi in caso di errore.
Quando il bambino presenta un’inabilità ad apprendere semplici abilità matematiche, ad esempio i meccanismi di conteggio, non riesce a leggere o scrivere i numeri grandi correttamente, non riesce a memorizzare le tabelline o a eseguire calcoli scritti o a mente, potremmo essere in presenza di quella che viene più comunemente chiamata “discalculia” o “DSA in matematica”. Anche la discalculia, come gli altri DSA, può riguardare solo uno o più abilità matematiche e può presentarsi in forma isolata o insieme agli altri DSA.
Se un bambino presenta una delle difficoltà descritte sopra, non è detto che abbia un DSA. Potrebbe solo avere bisogno di più tempo, o avere altri problemi del neurosviluppo che compromettono il suo apprendimento scolastico.
Per capire se effettivamente siamo in presenza di un DSA è necessario effettuare un percorso diagnostico approfondito che, oltre a valutare gli apprendimenti della lettura, della scrittura e delle abilità matematiche, miri a valutare il profilo cognitivo del bambino per escludere la presenza di problemi generalizzati (situazioni di funzionamento intellettivo limite o di disabilità cognitiva). Inoltre, è importante un’approfondita anamnesi che consenta di verificare la storia clinica e scolastica del bambino, anche per escludere la presenza di possibili problemi sensoriali o di situazioni ambientali che possano aver ostacolato l’apprendimento.
La diagnosi di DSA può essere condotta da psicologi e neuropsichiatri infantili, anche in collaborazione con logopedisti e pedagogisti, e può essere svolta sia presso le sedi del sistema sanitario nazionale sia presso i professionisti che operano nel privato. I professionisti sono tenuti a rispettare, nel loro processo diagnostico, specifici criteri indicati nelle linee guida sui DSA (PARCC, 2011).
La scuola ha un ruolo fondamentale nell’individuazione precoce e nella tutela degli alunni con DSA. Infatti, gli insegnanti di scuola primaria sono i primi che dovrebbero accorgersi delle difficoltà dei loro alunni. In questo caso è giusto che ne facciano opportuna segnalazione alle famiglie suggerendo l’avvio di un percorso diagnostico e di certificazione. Si ricorda a tal proposito che mentre la diagnosi può essere svolta anche presso i privati, la certificazione di DSA può essere rilasciata solo dai servizi sanitari o dagli enti accreditati presso il sistema sanitario nazionale, ai sensi della legge 8 Ottobre 2010 n.170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”.
Poiché i servizi del sistema sanitario nazionale richiedono spesso tempi di attesa molto lunghi per l’ottenimento della diagnosi e della certificazione, e poiché i centri accreditati sono poco numerosi, in alcune regioni (come ad esempio la Sicilia) gli Uffici Scolastici Regionali hanno indicato alle scuole, con apposite circolari, di accettare le diagnosi dei privati nelle more dell’ottenimento della certificazione pubblica. In questo modo la scuola può iniziare a predisporre tutte le misure previste dalla legge per tutelare il diritto allo studio degli alunni con DSA.
La legge prevede che il consiglio di classe, sulla base di quanto riportato nella relazione diagnostica, predisponga per l’alunno con DSA un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che ha la funzione di mettere il bambino nelle condizioni di apprendere e di non essere penalizzato nella valutazione. Il PDP deve prevedere l’indicazione degli strumenti compensativi e di misure dispensative.
Gli strumenti compensativi hanno la funzione di compensare una o più funzioni deficitarie dell’alunno. Quindi, se ad esempio il bambino nei primi anni di scuola non riesce a memorizzare la tabelline, è previsto che possa sempre consultare la tavola pitagorica o anche la calcolatrice per i calcoli più complessi. Per il bambino che presenti problemi nella lettura, può essere suggerito l’uso della sintesi vocale, un software che riproduce con voce artificiale il testo scritto consentendo all’alunno di “leggere con le orecchie”.
Per il bambino che presenti problemi nella scrittura, può essere suggerito l’uso della videoscrittura, che supera il problema di eventuali disgrafie e che suggerisce l’ortografia corretta delle parole attraverso il correttore ortografico.
Questi sono solo alcuni esempi di strumenti compensativi, in ogni caso va sottolineato che l’uso di ogni strumento è subordinato alle caratteristiche di ciascun bambino e della sua particolare forma di DSA. È quindi molto importante che tali strumenti vengano indicati nella relazione diagnostica e che quindi la scuola tragga spunto da tali indicazioni.
Il PDP deve anche indicare le misure dispensative che verranno adottate per la valutazione dell’alunno. Ad esempio il bambino con difficoltà di lettura può essere dispensato dalla lettura ad alta voce in classe; per l’alunno con difficoltà di scrittura si può suggerire di valutare i compiti scritti senza tener conto degli errori ortografici ma considerando unicamente il contenuto; l’alunno con difficoltà matematiche può essere dispensato dallo svolgimento di parte degli esercizi di matematica nei compiti in classe o nei compiti per casa.
Per i compiti in classe o per le situazioni d’esame, generalmente si considera nella misura del 30% la percentuale di dispensa alla quale gli alunni hanno diritto. La riduzione del 30% dei compiti non va vista come una semplificazione o facilitazione, ma come una forma di aiuto necessaria e doverosa.
Gli alunni con DSA possono essere in grado di svolgere un compito correttamente, ma devono dedicarvi una concentrazione massima per controllare gli errori. Ciò determina maggiore lentezza oltre che una considerevole fatica e un calo di attenzione nei compiti più lunghi.
In alternativa alla dispensa del 30% dei compiti, è possibile prevedere il 30% di tempo aggiuntivo per lo svolgimento delle prove.
Frequentemente, infine, si suggerisce anche la previsione nel PDP delle interrogazioni programmate, cosa che consente agli alunni di pianificare meglio le loro attività e di vivere la situazione di valutazione con minore stress.
A partire dal 2012 il MIUR ha pubblicato una serie di circolari e direttive ministeriali sulla tutele che la scuola deve attuare per tutti gli alunni, bambini o adolescenti, con Bisogni Educativi Speciali (BES), ovvero che presentino condizioni tali da ostacolare, anche transitoriamente, l’apprendimento scolastico.
La categoria BES include tutti gli alunni con forme di disabilità, disturbi del neurosviluppo, o altre situazioni che compromettono il successo nell’apprendimento, comprese le situazioni di svantaggio socioculturale, gli ostacoli linguistici (per gli alunni stranieri), o i problemi di natura emotiva anche transitori.
Chiaramente quindi, un bambino con DSA è anche un bambino con BES, laddove un bambino con BES può avere vari tipi di disturbi o difficoltà (anche transitorie e non croniche) diverse dal DSA.
Per tutti gli alunni con BES è previsto un trattamento simile a quello degli alunni con DSA, e quindi la stesura di un PDP e la definizione di strumenti compensativi e metodi dispensativi. Queste misure, diversamente dal caso dei DSA, possono essere attivate anche solo in presenza di una diagnosi o quando il consiglio di classe ne ravveda la necessità (ad esempio per gravi situazioni di svantaggio socioculturale) e non necessitano di una certificazione da parte del SSN.
I compiti a casa possono diventare un’impresa assai ardua in quanto fonte di frustrazione e fatica non solo per il bambino o ragazzo con DSA (o con BES) ma anche per i suoi genitori, che non sempre hanno il tempo o le competenze per seguire al meglio il figlio. Inoltre, se gli insegnanti hanno messo a punto un particolare metodo per supportare l’alunno, i genitori possono involontariamente ostacolarne l’applicazione perché a casa usano un metodo del tutto diverso, magari basato sui loro personali ricordi della scuola. In questo modo, i compiti a casa rischiano di diventare un campo di battaglia nel quale la disfatta è certa: i genitori non riusciranno ad aiutare i figli e il tempo trascorso assieme a loro sarà ricco di tensione e stress.
Se i genitori sono entrambi impegnati per lavoro è opportuno che il bambino venga seguito presso i numerosi centri privati di supporto allo studio di bambini con DSA. È molto importante, in questo caso, accertarsi che gli operatori siano adeguatamente qualificati e formati per lavorare con gli alunni con DSA. Gli operatori dovrebbero essere preferibilmente psicologi, pedagogisti, educatori, logopedisti, terapisti della riabilitazione o insegnanti; per il solo supporto allo studio possono essere anche semplici diplomati che abbiano però svolto un corso per diventare tutor di alunni con DSA.
Se invece i genitori hanno del tempo libero e possono dedicarsi personalmente al supporto allo studio del bambino, una seconda possibilità è che essi stessi seguano un corso per diventare tutor DSA, così da imparare le principali metodologie di supporto ed essere certi di poter effettivamente essere d’aiuto al figlio. Va però tenuto presente che nel caso si verifichino situazioni di tensione che possano compromettere la funzione genitoriale, sarebbe opportuno cercare supporto al di fuori della famiglia. A tal proposito, bisogna anche valutare attentamente il rischio che un supporto troppo assiduo del genitore al figlio possa creare un rapporto di dipendenza reciproca, ostacolando il suo percorso di crescita verso l’autonomia.
Se vi sono invece condizioni relazionali favorevoli ed equilibrate, il supporto allo studio può anche diventare un momento di ulteriore coesione della relazione genitore-figlio ed essere particolarmente utile e gradito ai bambini. In questo caso… buon lavoro!
Ph. D. in Psicologia, è ricercatrice e Professoressa Aggregata presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo. Da diversi anni si occupa di Intelligenza Emotiva ed è autrice di diversi articoli di ricerca e libri sul tema.