La diffusione di canali televisivi per bambini di età inferiore ai 6 anni e il generale aumento di contenuti multimediali per l’infanzia rischiano di produrre un malinteso: è infatti sempre più condivisa l’idea secondo cui sarebbe possibile lasciare da solo il bambino davanti allo schermo del televisore, del computer o del tablet. Se certamente è giusto che un genitore, dentro e fuori dalle mura domestiche, cerchi di ritagliarsi dei momenti per sé, è importante sottolineare che la fruizione dei cartoni animati (e in generale l’uso degli schermi) non dovrebbe mai avvenire in “isolamento”, e che non andrebbero delegate ai dispositivi tecnologici quelle funzioni che invece spettano all’adulto.
Bisogna considerare infatti una serie di rischi che prescinde dal cartone animato specifico e dalla sua qualità: ad esempio, la difficoltà per il bambino di comprendere da solo il contenuto, l’esposizione senza filtri a una lunga sequenza di spot, l’alterata percezione del tempo e dello spazio, e la difficoltà nella gestione degli stati emotivi.
Si tratta di rischi che riguardano la “forma” del cartone, a cui andranno accostate le analisi del contenuto dei testi per la prima infanzia, in modo da far emergere le criticità e le potenzialità. Tra le criticità c’è ad esempio lo stretto legame tra i cartoni animati e il “mercato”: molti personaggi sono ormai usciti dai confini dello schermo per entrare nella vita quotidiana dei bambini sotto forma di gadget di tutti i tipi, che vanno dai giocattoli all’abbigliamento e all’alimentazione. Inoltre, nei cartoni vengono spesso presentati modelli di infanzia e di genitorialità che, oltre a farsi specchio della realtà esistente, tendono anche a confermarla e a rafforzarla. Pensiamo a Peppa Pig, così simile a una “bambina tiranna”, a Masha (la vivace protagonista di Masha e Orso), tanto dinamica quanto egocentrica e poco incline a valutare le conseguenze delle proprie azioni, oppure ai PJ Masks, che già prima dei 3 anni “combattono il male” incarnato da tre perfidi nemici.
Ciascun testo, però, presenta anche significative opportunità: consideriamo la semplicità del linguaggio in Peppa Pig, la dimensione reciproca di cura tra la bambina e il suo amico orso, l’importanza della collaborazione per risolvere i problemi. Non serve tentare di distinguere tra cartoni “buoni” e “cattivi”; è utile invece procedere a un’analisi critica di tutti i contenuti, individuando quegli aspetti su cui è possibile discutere con i propri figli dopo la visione.
Gianni Rodari, in un articolo del 1980, dichiarò di schierarsi «dalla parte di Goldrake»: un invito a non focalizzarsi sugli aspetti negativi dei media, e in particolare dei cartoni animati, ma a riconoscere come quei testi fossero entrati nella vita dei ragazzi e rappresentassero un materiale con cui la scuola e gli adulti avrebbero dovuto entrare in contatto, per comprenderlo meglio e far sì che ampliasse, invece di circoscrivere, l’esperienza dei bambini.
Le potenzialità educative dei cartoni animati sono legate a quattro caratteristiche, ciascuna delle quali sarà ancora più significativa con un adulto che accompagna e spiega:
Per affrontare in maniera adeguata i rischi e allo stesso tempo sfruttare le potenzialità dei cartoni, i genitori possono agire su tre dimensioni: la scelta, la problematizzazione e il gioco.
Prima di tutto è necessario scegliere quali cartoni mostrare al bambino: può essere utile informarsi e cercare anche fuori dal “flusso televisivo”, selezionando ad esempio cortometraggi di animazione dall’alto valore estetico, o cercando qualche produzione particolarmente sensibile a temi educativi (come il cartone italiano dei Minicuccioli). In generale, tra i criteri che possono guidare nella scelta, andrà considerata la corrispondenza tra l’età dei personaggi e l’età dei bambini, la chiarezza e la comprensibilità delle storie, il modo in cui vengono affrontate le emozioni, il collegamento con le esperienze concrete, la capacità di divertire, la rappresentazione di valori positivi come l’amicizia, la solidarietà, la valorizzazione delle differenze, l’autonomia, ecc.
Il secondo compito che spetta ai genitori è problematizzare: guardare i cartoni animati con i bambini non dovrebbe significare lasciar scorrere gli episodi uno dietro l’altro, ma dedicare un po’ di tempo alla verbalizzazione dopo ogni puntata. In questo modo i bambini si abitueranno fin da piccoli a parlare di quello che hanno visto, a collegarlo alle proprie esperienze quotidiane, a descrivere il personaggio che hanno preferito, a riflettere sui luoghi e sulle situazioni rappresentate, sviluppando così a mano a mano la propria capacità critica.
Infine, vi è la dimensione ludica e creativa: per rendere un cartone animato realmente educativo, non bisognerebbe considerare la visione come il fine in sé, ma trasformarla piuttosto in uno stimolo iniziale, un “pre-testo” da cui avviare nuove attività. Al termine della puntata, possiamo proporre al bambino di disegnare qualche particolare che lo ha colpito, di immaginare un finale alternativo, oppure di realizzare un’attività manuale collegata all’episodio (che preveda magari l’uso delle dieci dita della mano e che metta in gioco i cinque sensi).
I cartoni animati non sono nemici, ma elementi ormai radicati nella nostra cultura che devono essere “letti” e padroneggiati in modo consapevole, anche dai bambini in età prescolare. Sono dunque da incentivare quelle esperienze laboratoriali organizzate da nidi e scuole dell’infanzia in cui è prevista una collaborazione tra educatrici, insegnanti e genitori per far sì che l’adulto impari ad accompagnare la visione dei cartoni. L’obiettivo è renderli dei prodotti che arricchiscano l’esperienza dei bambini, favorendo al contempo il dialogo in famiglia e promuovendo un approccio critico e creativo alla realtà.