Privacy significa “diritto alla riservatezza”. Da quando i bambini possono vantare il diritto di veder tutelata la propria privacy? Come si può educare il tal senso? Affinché una persona maturi il desiderio di privacy dovrebbe avere ben chiaro il limite di sé e degli altri, sia a livello fisico sia psichico. Educare al pensiero autonomo, all’idea di individuo come persona unica e alla libertà può essere un’ottima base di partenza per crescere adulti rispettosi della propria intimità e di quella altrui. Anche mamma e papà hanno diritto alla tutela della loro privacy e dovrebbero richiederla fin da subito con gentilezza. Ciò che viene manifestato all’interno della famiglia acquista, per il bambino, importanza e concretezza. Se in casa si parla di riservatezza, questo concetto sarà introiettato naturalmente dai bambini e crescerà con loro.
«Come stai? Sei arrabbiato?»
«Non ho voglia di parlarne».
Se riflettiamo con calma, spesso anche noi adulti non vogliamo condividere alcuni stati d’animo, forse perché ancora poco chiari, forse per non mostrarci in difficoltà, forse per la paura del giudizio o per vergogna. Vedere un bambino triste o sofferente spinge il genitore amorevole e preoccupato a indagare sulla fonte del malessere così da poter aiutare il piccolo a recuperare la serenità. Se trova delle “barriere” si sente impotente e rischia anche di offendersi per questa esclusione. Ma potrebbe essere necessario riporre fiducia nelle competenze dei bambini e mostrarsi sempre pronti ad accogliere. I genitori dovrebbero fornire ai bambini le strategie per risolvere i problemi o affrontare le situazioni difficili, e la condivisione delle proprie emozioni è una di queste. Una volta sicuri di aver educato nell’ascolto e nell’accoglienza, dovranno fidarsi del bambino.
«Mi daresti del cartone, per favore? Devo fare una scatola con le cose che non voglio che le mie sorelle prendano»
Tutti noi possediamo alcuni oggetti per i quali abbiamo un affetto particolare e che soffriremmo se venissero persi o danneggiati. Ciò non significa essere egoisti, ma affezionati a qualcosa. La mia libertà finisce dove inizia la tua: è una frase che sottintende che io posso agire liberamente, secondo la mia volontà, fino a quando non offendo, invado, ferisco o limito l’altro. La richiesta di questo bambino è lecita ed è volta a tutelare, oltre alle sue cose personali, anche le sorelle dagli eventuali litigi che nascerebbero se dovessero impossessarsi dei suoi “tesori”. I genitori hanno la responsabilità di mostrare la strada, mentre la meta, i bambini, ce l’hanno quasi sempre ben chiara. Se la modalità che il bambino sceglie per raggiungere il proprio obiettivo (tutelare alcuni oggetti) non è violenta, socialmente inaccettabile o pericolosa, i genitori possono sostenerla; in caso contrario, hanno il dovere di indirizzare la modalità d’azione.
«Siediti un po’ più lontano, mi sento soffocare!»
Il limite fisico di accettazione dell’altro è soggettivo: esistono persone estremamente espansive e altre meno, che patiscono un’“invasione” del proprio spazio vitale. Una stretta, un abbraccio prolungato, un bacio sulla guancia, una carezza sui capelli: la percezione di tali semplici gesti può essere vissuta in modi molto differenti. Il genitore avrà la propria soglia di accettazione e così il bambino, come ogni persona. La responsabilità del genitore sta nell’educare i bambini a leggere le situazioni, i bisogni altrui e a regolarsi di conseguenza ascoltando e ascoltandosi. Se il viso o il corpo di chi abbiamo di fronte comunica “fastidio” sarà opportuno indietreggiare, se un bimbo tende le braccia per essere coccolato sarà opportuno farlo. Nessun gesto affettuoso è necessario, ma possibile se gradito da entrambe le parti. Molte volte ci sono bambini infastiditi dall’eccesso d’affetto di un coetaneo: il bambino super espansivo andrebbe aiutato a percepire la sua invadenza, non tale di per sé, ma nel contesto: «Vedi che non è felice? Non ha voglia ora di essere abbracciato. Se vuoi puoi abbracciare me!».
«Hai bisogno di un aiuto per lavarti?» «Faccio da sola, chiudi la porta!»
L’autonomia nella cura personale si accompagna alla maturazione del bisogno di privacy. Prima i bambini saranno autonomi nel prendersi cura del proprio corpo, prima desidereranno intimità. Non è dato sapere in che momento non vorranno più ospiti al bagno o durante il cambio d’abito, ma se sapranno di poter esternare serenamente i loro bisogni in famiglia, lo comunicheranno con naturalezza: accostando la porta, chiedendo di attendere prima di entrare, fino all’affissione sulla porta della loro camera dell’immancabile cartello “vietato entrare”, “parola d’ordine”.
Il ruolo di guida responsabile proprio del genitore non deve mai venire meno, ma a volte il bambino preferisce (soc)chiudere la porta della condivisione ed è un gesto che mamma e papà devono rispettare, anche se con fatica. A questo punto lo sguardo deve seguire il figlio da lontano, le braccia farsi trovare aperte quando e se il bambino vorrà essere accolto. Nella privacy il bambino potrà sviluppare e affinare la responsabilità di sé e del proprio intervento sul mondo circostante. Sarà lui a comunicare spontaneamente quando sentirà il bisogno di riservatezza; fino ad allora i genitori possono preparare il terreno rispettando in ogni occasione i suoi tempi, il suo corpo, il suo parere e le sue emozioni, tutelando la propria privacy e cercando di essere i più discreti e delicati possibile nella relazione.
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.