C’era una volta un bambino che passava spesso i pomeriggi in casa a giocare, assieme alla sorella, con le bambole di pezza cucite dalle zie: «Ce le facevano di cenci, e queste bambole mi sembravano straordinarie». Sono parole tratte dall’autobiografia di Lev Trockij, il celebre rivoluzionario bolscevico che fu presidente del Soviet di Pietrogrado durante le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917. Trockij fu un personaggio forte e deciso, eppure da piccolo giocava con le bambole. E il suo non è un esempio isolato. A scorrere le biografie di personaggi famosi si scopre spesso che da bambini alcuni maschi giocavano “al femminile” e viceversa. Virginia Woolf, ad esempio, andava ai giardinetti di Kensington con la sua amica e battagliava con altri bambini che «talvolta combattevano contro di noi e talaltra erano nostri amici».
Queste narrazioni ci aiutano a comprendere come la distinzione tra “giochi da maschi” e “giochi da femmine” non vada presa troppo alla lettera. Il nostro patrimonio genetico è composto da elementi maschili e da elementi femminili, e l’idea di una divisione netta fra i due sessi, da un punto di vista scientifico, si sta rivelando superficiale. Quello che sappiamo con certezza è che gran parte dei comportamenti e delle scelte personali deriva dal contesto in cui un individuo si trova a vivere.
Indipendentemente dal genere, i giochi consentono di misurarsi con gli altri e con sé stessi, di sperimentare situazioni e ruoli “facendo finta di” essere qualcun altro senza esserlo davvero. Permettono inoltre di misurarsi con gli altri giocatori per capire fin dove si può arrivare e quando invece occorre fermarsi per non farsi del male, di costruire mondi immaginari che riempiono i vuoti lasciati dal mondo reale. Senza questo continuo esercizio nessun bambino può crescere bene.
Come già anticipato, i giochi dei bambini sono molto influenzati dal contesto in cui si svolgono. A La Roja, ad esempio, provincia autonoma della Spagna, una bambina imparerà presto il gioco all’aperto delle bocce con i birilli, attività alla quale i maschi di quel luogo non partecipano. Se la stessa bambina nascesse in un Paese diverso, è probabile che si troverebbe a considerare lo stesso gioco come un’attività più adatta ai maschi.
Anche il gradimento dei giocattoli dipende dal contesto. Da noi per acquistarli si va nei negozi specializzati, dove il venditore chiede spesso: «È per un bambino o per una bambina?». Una recente ricerca ha analizzato i cataloghi dei giocattoli delle ditte europee più importanti, rilevando che, nella maggior parte dei casi, i giochi “maschili” vengono distinti da quelli “femminili”. Per i maschi vengono indicati i supereroi, le automobiline, le classiche costruzioni (parliamo delle migliori costruzioni in questo articolo), i flipper a punteggio, i giochi di intelligenza; mentre per le bambine, le valigette rosa con i trucchi, il phon, lo specchio, il pettine e le spazzole per capelli, le cucine giocattolo più o meno arricchite di tegami per preparare cibi finti.
Chi compra si adegua spesso – anche senza guardare i cataloghi – al sentire comune e agli stereotipi legati alle differenze di genere. Si tratta di una forzatura, e le forzature creano gabbie. In più, quelli di genere sono stereotipi falsati. Le identità, oggi, vivono profondi cambiamenti, e proporre alle bambine solo ruoli casalinghi o destinare i giocattoli avventurosi esclusivamente ai maschi è un clamoroso “falso storico”.
I messaggi impliciti dei giochi e dei giocattoli spingono anche a ricercare sempre il “più”: il giocattolo più costoso come sinonimo di migliore, il più colorato sarebbe il più divertente, il più tecnologico varrebbe per “più intelligente”. Un buon “più” corrisponderebbe invece a scegliere giochi e giocattoli che diano ai bambini l’occasione di avvicinarsi l’un l’altro – maschi o femmine che siano – per sperimentare gli interessi di ognuno e assorbirne le diversità.
La vita di oggi avrebbe bisogno di un’educazione “arcobaleno”, che permetta cioè di sperimentare giochi che sono tradizionalmente legati al proprio o all’altro sesso. Un bambino che cucina o che riordina una casa di bambola non dovrebbe scandalizzare più nessuno, anche perché probabilmente da grande quel bambino dovrà condividere con un/una partner i compiti necessari alla vita quotidiana. E una bambina deve essere libera di poter scegliere anche giochi e attività sportive che, per tradizione, vengono considerati “maschili”, senza per questo essere definita un “maschiaccio”. Lev Trockij è diventato un rivoluzionario anche giocando con le bambole, Wolfang Goethe è diventato poeta e drammaturgo anche se da piccolo utilizzava delle pentoline per far finta di preparare le pappe per un immaginario neonato.
Come comportarsi dunque di fronte alla scelta di un giocattolo da offrire a un bambino o a una bambina? Meglio sceglierne uno che rafforzi la distinzione di genere o uno “neutro”, che vada bene sia per maschi sia per femmine? La risposta è che, come per altri aspetti della vita quotidiana, non occorre essere rigidi. Ci sono giochi e giocattoli che attirano più l’interesse dei bambini e altri che vengono scelti più frequentemente dalle bambine.
Le scelte di genere sono importanti perché rafforzano l’identità biologica, ma è altrettanto importante consentire a maschi e femmine di dedicarsi, se lo desiderano, a giochi e attività considerati comunemente più confacenti all’altro sesso. Bisogna anche ricordare che regalare un giocattolo non serve soltanto al bambino. Le bambole di pezza utilizzate dal piccolo Trockij e da sua sorella erano state realizzate in famiglia, erano cioè un regalo amoroso: gli adulti vi avevano dedicato un po’ del loro tempo e delle loro competenze. Non stavano dunque regalando solo un gioco, ma anche un po’ di sé stessi; in questo modo, usando quelle bambole, i due bambini potevano percepire l’assenza/presenza dei genitori. Un giocattolo comprato non sempre manda questo messaggio.