Accade a volte che le mamme siano impensierite dal modo in cui disegnano i propri figli: solitamente a preoccuparle è il confronto tra i disegni del proprio bambino e quelli dei coetanei. Il dubbio che sorge riguarda l’inadeguatezza delle capacità di rappresentazione: le immagini che i loro bambini tracciano sul foglio sembrano loro troppo semplici, poco evolute, povere. Così si chiedono se ci sia un nesso tra disegno e intelligenza, e come fare per aiutarli a migliorare.
Rappresentare graficamente un oggetto reale, tridimensionale, sulla superficie del foglio bidimensionale coinvolge processi interattivi complessi e abilità diverse. Il disegnatore ha bisogno di conoscere gli strumenti che utilizza e deve essere in grado di utilizzarli nel modo corretto, per esempio ha bisogno di sapere che la matita va utilizzata con la punta rivolta verso il foglio e che la si deve muovere controllando i propri movimenti.
Se gli viene chiesto di copiare un oggetto, deve possedere una buona coordinazione occhio-mano per armonizzare ciò che vede con quello che disegna. Se invece l’oggetto non è visibile, viene attivata la capacità mnemonica per consultare un modello interno. Dunque, anche per il disegnare, come il parlare, vale la regola che ogni bambino ha i suoi tempi.
Se ci riferiamo a bambini sani, in assenza di disabilità o ritardi, è importante sapere che, soprattutto attorno ai 4 anni, è molto frequente che ci siano diversità sostanziali nell’evoluzione della capacità di rappresentazione grafica, negli stili e nelle modalità che i bambini scelgono.
Già verso la metà degli anni ’70, lo storico dell’arte e psicologo tedesco Rudolf Arnheim affermava: «Si dovrebbe tenere ben presente il fatto che non esiste un rapporto fisso tra l’età del bambino e il grado di evoluzione dei suoi disegni».
Questo concetto è ancora attuale, e si collega alla variabilità intra- e inter-individuale: la variabilità inter-individuale è rappresentata dal fatto che bambini appartenenti allo stesso periodo evolutivo possono produrre disegni qualitativamente molto diversi; la variabilità intra-individuale, invece, spiega come mai un singolo bambino non disegni sempre e solo come ci aspetteremmo da lui: spesso nei suoi disegni, o anche nello stesso disegno, si possono trovare schemi ricorrenti, variabilità significative e addirittura elementi che potrebbero riferirsi a stadi evolutivi diversi. Tutte queste caratteristiche possono comparire una a fianco all’altra, senza apparente continuità o regolarità.
Nonostante l’esistenza di queste variabili, tutti i bambini, nelle diverse culture del mondo, seguono stadi analoghi nello sviluppo della rappresentazione grafica della figura umana.
Questi esempi evidenziano che la rappresentazione grafica è strettamente legata al processo di sviluppo individuale e non necessariamente all’età anagrafica. Possiamo dire quindi che disegno e intelligenza non sono necessariamente connessi.
I risultati di una ricerca condotta in Nuova Zelanda e pubblicata su un’autorevole rivista americana dimostrano che le differenze individuali nello sviluppo dell’abilità grafica infantile non riflettono differenze di intelligenza.
Si è visto infatti che, sebbene nel gruppo partecipante allo studio esistesse una debole correlazione tra l’abilità di disegnare la figura umana e il test di intelligenza, indagando attentamente i profili di ciascun bambino, è emerso che i bambini seguono una serie di stadi nell’apprendimento del disegno, ma il progresso attraverso queste fasi non è identico da un bambino all’altro. In conclusione, il disegno della figura umana non rappresenta una valida misura di abilità intellettiva per il singolo.