Per tutti i tipi di esperienze della vita c’è una prima volta. Quasi mai ne siamo consapevoli, preparati, e molto spesso non si tratta di esperienze scelte da noi, ma di eventi che il caso ci pone di fronte o che qualcuno ha deciso per noi. Quest’ultima eventualità è quella che si verifica più frequentemente durante l’infanzia. Così, gli adulti compiono le scelte che segnano il percorso del bambino fin dai primi giorni e determinano le “prime volte” in tanti aspetti della sua vita. Da quali cibi assaggiare, ai tempi della giornata, alle persone che lo circonderanno, ai luoghi da frequentare, al nido in cui andare, il bambino è indirizzato nel come, nel quando e nel dove compiere le proprie esperienze.
Nella primissima infanzia, l’adulto ha la responsabilità piena e totale del benessere del bambino, ed è con questa finalità che opera molte scelte al posto suo. Molte, ma non tutte. La relativa competenza del bambino non autorizza l’adulto a sovrapporsi all’espressione delle sue inclinazioni, alla manifestazione dei suoi desideri e dei suoi talenti; non lo autorizza a tenere chiuso il canale dell’ascolto e della disponibilità a comprendere i tentativi di scelta che il bambino cerca di comunicare.
A onor del vero, va detto che gli adulti stessi si trovano, talvolta, nella necessità di compiere scelte che non presentano soluzioni alternative e non possono farsene una colpa. Quel che più conta, in questi casi, è aiutare il bambino ad affrontare le nuove situazioni, fornendogli un bagaglio di sicurezze e un sostegno empatico che lo rendano pronto all’evento e gli facciano sentire l’appoggio di una “base sicura”.
Il caso più emblematico, e complesso, di una prima volta è l’ingresso al nido, il primo evento di una lunga serie di distacchi dal luogo sicuro della famiglia, con cui si entra per la prima volta in una situazione sociale: bambino tra i bambini, in una condizione di parità, dove l’adulto non ha più la funzione genitoriale, dove tutti gli affetti sono da costruire ex novo.
Al nido, il bambino viene accompagnato per mano da un adulto di cui si fida e al quale è legato affettivamente: una persona che è la garanzia della bontà di quell’esperienza, il passaporto per il viaggio che sta iniziando e che rappresenta un’avventura dalle proporzioni inimmaginabili, un’esplorazione temeraria oltre le colonne d’Ercole del mondo conosciuto. Quell’adulto che lo accompagna e lo tiene per mano è consapevole di assumersi tutta la responsabilità di quel gesto, che consiste nel trasmettere al bambino un messaggio molto preciso: «Qui puoi stare anche senza di me, questo è un luogo sicuro che io ho scelto per te. Tu sei pronto per allontanarti da me, io so che tu puoi farcela e io sarò, comunque, al tuo fianco. Qui ci sono altri bambini che saranno i tuoi compagni, ogni giorno». Un tale messaggio è rassicurante e il bambino lo recepirà; a condizione che l’adulto che lo accompagna abbia preparato il terreno su cui queste parole, idealmente, andranno a cadere.
Le emozioni del bambino, anche del bambino più tranquillo e fiducioso, saranno comunque in tumulto dinanzi a un evento così sconosciuto e potenzialmente minaccioso come l’essere portato (e lasciato solo?!) in uno spazio mai visto e con persone del tutto nuove. Il tumulto emotivo del bambino può essere placato soltanto da due elementi, in quel momento così delicato. Da un lato, la calma e la tranquillità dell’adulto che lo accompagna, il quale non manifesta fretta di andarsene e di lasciarlo lì, ma, al contrario, si mostra desideroso di scoprire, conoscere e condividere con lui gli spazi e gli abitanti di quel luogo. Dall’altro, il sentire che l’adulto non sottovaluta e non sminuisce i suoi timori di bambino, ma lo conforta e lo incoraggia con la forza e l’entusiasmo di una convinzione maturata intorno alla bontà di quell’esperienza.
I bambini non hanno parole per definire e comprendere le loro emozioni: è compito dell’adulto porsi accanto al bambino e trovare “per” lui, e soprattutto “con” lui, le parole e il tono di voce che possano contenere paure e inquietudini.
Nelle situazioni in cui si affacciano dei timori nell’affrontare esperienze nuove o inquietanti, non si possono improvvisare, né inventare, modalità di conforto e sostegno, bensì si mettono alla prova – proprio in queste occasioni – la fiducia, l’autorevolezza e l’empatia che l’adulto, nel tempo, è riuscito a costruire col bambino. Nell’emergenza del tumulto emotivo non si costruiscono sicurezze, si possono solo tamponare (forse, rimediare alla meno peggio) le crisi dovute al sentimento di inadeguatezza del bambino, al suo probabile senso di abbandono, al suo non sentirsi veramente compreso nella manifestazione dei suoi timori e delle sue paure.
La costruzione più solida e profonda di quelle sicurezze che gli permetteranno di non sentirsi perso, spaesato e spaventato, di fronte a situazioni nuove, è una costruzione lenta, meticolosa, costante, coerente e appassionata, giorno dopo giorno, con una vicinanza che non intralcia ma lascia la sicurezza dell’esplorazione personale, accanto a un adulto non giudicante e non spaventato a sua volta.
Indicare a un bambino la sua strada è un appassionante percorso che l’adulto deve compiere parallelamente al bambino stesso. Si tratta di porre una continua attenzione alle proprie parole e, contemporaneamente, al linguaggio del proprio corpo. Occorre fare i conti con i propri timori di adulto, per non essere un blocco per il bambino. È necessario ascoltare tutto ciò che il bambino dice, osservarlo con interesse e intelligenza, per capire anche quello che le sue parole non dicono, ma il suo viso, il suo corpo e il suo comportamento sanno esprimere.
Non ci si deve allarmare o spaventare se un episodio, come quello dell’inserimento all’asilo nido, ci segnala un disagio inatteso, una fragilità non vista prima, un rifiuto che sembra mettere in discussione tutto il nostro impegno educativo di adulti attenti. La paura e il senso di colpa non sono buoni compagni di viaggio, né buoni consiglieri. Si può e si deve correggere il tiro, mettendo in conto una vicinanza più attenta, una maggiore autosorveglianza, coltivando, soprattutto, una maggiore serenità nel rapporto educativo. Regalandosi quel tempo che scopriremo essere prezioso e irripetibile.
La serenità dell’adulto è qualcosa che il bambino respira a pieni polmoni e per lui è l’equivalente di una forza tranquillizzante che permette di aprire, senza timori, qualsiasi porta.