A scuola si va per imparare, questo lo sanno tutti. Ciò che ancora ci si chiede è invece quale sia il metodo migliore per farlo. Per poter rispondere a questa domanda è necessario ragionare sulla base degli studi e delle conoscenze scientifiche più recenti.
La lezione frontale, l’ascolto passivo, l’interrogazione utilizzata come strumento di verifica dell’apprendimento e una valutazione considerata assoluta (quindi fatta senza tener conto del contesto, della personalità del bambino, del suo punto di partenza e del suo sviluppo): sono tutti strumenti che per loro natura portano a selezionare e privilegiare un certo tipo di studente, quello che riesce a imparare secondo modalità precise e prestabilite. Tuttavia, questo modello che ancora pervade la cultura didattica italiana è fallito.
La mente dei bambini è come una spugna, Maria Montessori la definì infatti «la mente assorbente», perché è caratterizzata da una grandissima plasticità neuronale che le consente di assorbire ciò che riceve dall’ambiente circostante.
I bambini hanno il vantaggio di non essere ancora in grado di attivare, nei confronti di ciò che imparano, le forme di resistenza tipiche di ciò che Jean Piaget definì il pensiero logico-razionale, il quale arriva soltanto con la pre-adolescenza e che consente a ciascuno di noi di ragionare sui propri pensieri e quindi, eventualmente, di impedire a certe conoscenze di diventare parte del nostro patrimonio. Quindi, se il primo requisito per l’apprendimento è un ambiente favorevole e stimolante, il secondo è lasciare che il bambino faccia esperienza delle sue nuove conoscenze attraverso l’esplorazione pratica. Per imparare, infatti, ha la necessità fisiologica di sintonizzare le nuove conoscenze con quelle vecchie in suo possesso, e di avvicinarsi all’acquisizione di una competenza mettendo in gioco le proprie risorse.
Il processo di apprendimento è dunque un processo necessariamente lento e diverso per ognuno: può accadere che un alunno provi e riprovi, sbagli e, improvvisamente, capisca. Questi passaggi sono fondamentali ed è inutile, sconveniente e spesso pericoloso bloccarli continuamente con verifiche e valutazioni che definiscono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è corretto o ciò che è scorretto.
L’efficacia di alcuni strumenti valutativi, come le Prove Invalsi, che ritengono di poter stabilire il livello dell’apprendimento innescando dinamiche competitive, non hanno alcun fondamento scientifico e dimenticano che, sostanzialmente, è proprio sbagliando che si impara.
Inoltre, è importante tener presente che i bambini, più che dagli adulti, imparano dai coetanei. È il compagno, specialmente quello con una competenza leggermente superiore, che attiva l’imitazione permettendo ai bambini di riconoscersi in quello che è il loro potenziale di sviluppo: osservo un compagno che è in grado di disegnare un elefante e riconosco nella sua competenza anche un mio potenziale. Ci provo, magari sbagliando, ma alla fine ci riesco. Diversamente, può accadere che le competenze adulte siano troppo distanti dalle capacità cognitive infantili: il bambino cerca di adeguarsi, ma non impara.
Apprendere in gruppo, stimolare e attivare processi di interazione reciproca, anche conflittuale, consente lo sviluppo di dinamiche relazionali e sociali importantissime sul piano motivazionale, che favoriscono il successo didattico. Dunque, la competizione a scuola non soltanto è inutile, ma è anche molto dannosa.
Come hanno dimostrato i più recenti studi neurobiologici e psicologici, alla base di un apprendimento efficace ci sono processi che non c’entrano nulla con la competizione. Viceversa, la scuola efficace è quella che sa trasformare la classe in un laboratorio di interazione continua e sistematica fra i bambini, che lavorano, insieme, in funzione di un’esperienza concreta e condivisa. Questo metodo permette, attraverso la problematizzazione, di attraversare gli errori e utilizzarli ai fini dell’apprendimento, piuttosto che della competizione.
Purtroppo l’Italia, in modo particolare con la riforma Gelmini che ha riproposto i voti nella scuola primaria e addirittura la possibilità di essere bocciati sulla base di un’insufficienza numerica, è regredita in maniera significativa. Valutare continuamente con dei punteggi numerici quello che l’alunno sta facendo significa interferire in modo arbitrario con quel flusso mentale, cognitivo, ma anche sensoriale, grazie al quale il bambino acquisisce una competenza. Le valutazioni negative non producono alcun miglioramento nel rendimento scolastico, costituiscono soltanto una modalità punitiva e mortificante.
Se vogliamo una scuola diversa, una scuola dove i bambini innanzitutto stiano bene e collaborino nell’apprendere, dove non si scatenino prepotenza e prevaricazione, è necessario ridurre drasticamente le valutazioni. Per essere efficace, infatti, la valutazione deve essere evolutiva, ossia considerare gli alunni sulla base dei loro progressi graduali e non in maniera assoluta sulla base di test. Quello che importa non è verificare se un bambino conosca o meno un determinato contenuto in un dato momento, ma se il suo apprendimento sta procedendo e crescendo in maniera armonica.
Una classe in grado di sostenere tutti i suoi alunni e di perseguire quello che dovrebbe essere il vero obiettivo della scuola, cioè l’apprendimento di tutti, richiede anche altri accorgimenti.
Non si può pensare di lavorare bene con gruppi superiori ai 25 alunni: le cosiddette “classi pollaio” non sono affatto funzionali all’apprendimento. L’ideale sarebbe lavorare con gruppi classe tra i 20 e i 25 alunni, perché la priorità per ogni insegnante deve essere quella di far funzionare la classe come gruppo. Quindi è importantissimo nei primi giorni di scuola costruire l’appartenenza al gruppo classe attraverso attività di carattere socio-affettivo che permettano agli alunni di riconoscersi tra loro, di costruire una coesione, un senso di appartenenza a una comune esperienza di apprendimento.
In tal senso sono particolarmente utili le attività di ritualizzazione: all’inizio della giornata scolastica è importante dedicare un momento per ritrovarsi come gruppo; mantenere uno spazio per la gestione dei conflitti; scandire l’anno scolastico con momenti significativi e comuni (come la gita, lo spettacolo, la festa) in cui i bambini siano coinvolti in prima persona. Esistono poi molti altri accorgimenti, come disporre i banchi in modo che prevalga la possibilità per gli alunni di lavorare insieme, di comunicare, di confrontarsi.
Per concludere, un appello finale: non cercate la scuola dove far vincere i vostri figli. Cercate la scuola dove gli alunni collaborano per imparare assieme.
Mentre l’Italia si affanna a emanare il progetto di riforma della Buona Scuola, imperniata sulla triade competizione-valutazione-merito, la Finlandia si affretta a riformare la sua di scuola che, a dire il vero, godeva già di ottima salute. Il modello scolastico finlandese è, infatti, uno dei più avanzati e più studiati al mondo. Il nuovo modello pedagogico, già partito da due anni e, secondo le stime, destinato a soppiantare completamente il vecchio entro il 2020, prevede la sostituzione delle classiche “materie” scolastiche con aree tematiche, o “argomenti” all’interno dei quali si affronta in modo trasversale lo studio di tutti gli aspetti che quel determinato tema coinvolge. Per esempio, gli studenti di alcuni licei finlandesi possono studiare “Unione Europea”, una materia che comprende princìpi basilari di economia, di storia degli Stati e delle lingue che si parlano nelle nazioni dell’UE.
La tradizionale lezione frontale, con il professore che spiega e gli alunni che ascoltano, finirà definitivamente nel dimenticatoio: gli studenti finlandesi verranno organizzati in piccoli gruppi che affronteranno problemi di diversa natura, facendo esperienza dei propri apprendimenti e lavorando insieme. La maggior parte degli insegnanti ha già ricevuto una formazione per poter lavorare secondo il nuovo modello scolastico e il governo finlandese si è impegnato a fornire un incentivo economico a tutti gli insegnanti che aderiscono volontariamente a questo nuovo modello.