I genitori, come gli educatori, devono parlare, tanto e bene. Spesso il bambino piccolo che ancora non verbalizza, inibisce l’adulto. Ma come il corpo necessita di cibo sano, ben cucinato, ben presentato, per essere nutrito e crescere, così l’ambiente linguistico in cui è immerso il neonato deve essere curato, pensato e nutriente (una strategia utile in questo senso è favorire il bilinguismo, ne parliamo in questo articolo). La lingua si sviluppa prima nella mente del bambino attraverso l’ascolto per poi divenire espressione. Intorno ai 30 mesi avviene quella che Maria Montessori definisce “l’esplosione del linguaggio”.
Più gli stimoli linguistici che offriamo si mostreranno ordinati, chiari, interessanti, migliore sarà l’organizzazione mentale del bambino e maggiormente ordinata e chiara si mostrerà l’esposizione linguistica quando si rivelerà. Pertanto parlare ai neonati bene e tanto si dimostra una scelta vincente per iniziare al meglio.
Quando siamo genitori di un bimbo neonato trovare di che parlare non è semplice. Narriamo allora ciò che accade: «Dobbiamo cambiarci! Ora ti sfilo i pantaloni… ti slaccio il pannolino… faccio scorrere un po’ d’acqua… senti com’è fresca? Ora ti asciugo…».
Oltre a essere un ottimo esercizio di sviluppo linguistico, è una perfetta strategia per rassicurare il bambino durante le operazioni di igiene personale che spesso lo intimoriscono: il suono tranquillo e dolce della voce di mamma e papà trasmette al bambino sicurezza e calma.
Ogni oggetto ha un suo nome. Quando porgiamo un oggetto al bambino, sia esso un mestolo, un pupazzo, una cordicella, un tappo di sughero, una pallina, nominiamolo lentamente, offrendo al bambino solo il nome dell’oggetto: «Pallina», invece di «guarda che bella! Una pallina! Ti piace? La vuoi prendere? Me la dai? La tengo io?».
Chiarezza e semplicità permettono al bambino di collegare immediatamente e con velocità oggetto-suono. Tutto il resto della comunicazione può avvenire attraverso il linguaggio non verbale.
Fin dalla primissima infanzia i piccoli adorano sentir parlare mamma e papà di cose vissute che devono rielaborare o dei programmi per il futuro prossimo.
Ad esempio, raccontare al bambino la giornata trascorsa per addormentarsi può essere una valida strategia per farlo rilassare, sentir nominare con cura tutto ciò che ha visto e rielaborare i vissuti.
«Stamattina mamma e papà si sono svegliati prima di te, sono andati in cucina e hanno apparecchiato la tavola per la colazione. Mamma ha riempito la caffettiera con acqua e caffè, papà ha fatto scaldare il latte. Poi papà ha sentito la tua voce chiamare “papà!” così è uscito dalla cucina, è venuto in camera tua, ti ha abbracciato forte e ha detto: “Buongiorno!”. Poi, dopo aver fatto la pipì, insieme siete andati in cucina, vi siete seduti al tavolo…».
È importante che il linguaggio che usiamo con i bambini piccoli abbia una struttura semplice. La semplicità non deve ricercarsi nei termini scelti, ma nella struttura: frasi brevi, con soggetto, predicato e complemento. Quale che sia il momento in cui ci si rivolge al bambino, i messaggi brevi e chiari sono più facilmente accolti e compresi. È meglio dire: «Esci dalla vasca: il tempo del bagno è finito», piuttosto che dire: «Adesso esci che non è più il tempo di stare nella vasca, sei dentro da un sacco di tempo, non possiamo più rimandare, è proprio arrivata l’ora di asciugarsi e vestirsi».
Se gli input sono troppi, complessi e confusi, il bimbo non pone l’attenzione su ciò che deve realmente fare in quel momento. Diamo un’informazione alla volta così che possa essere intesa meglio e ottenere più facilmente risposta.
I termini che usiamo per descrivere il mondo devono essere specifici e scientifici. L’energia impiegata per memorizzare “albero” è la stessa necessaria per memorizzare “quercia”. Ma dicendo “quercia” offro al bambino un’informazione più precisa, ricca e interessante. Il suo vocabolario può crescere e arricchirsi velocemente e ordinatamente.
Il “bau” che diventa “cane” è un meccanismo confuso che impone al bambino una continua messa in discussione di ciò che sa, una traduzione inutile e che fa sprecare energie preziose.
Il periodo immediatamente precedente l’esplosione linguistica, intorno ai 24 mesi, è un periodo di grande frustrazione per il bambino, perché il suo pensiero è ormai preciso, i collegamenti oggetti-suoni corrispondenti sono sicuri e chiari ma la produzione linguistica non è ancora all’altezza del pensiero.
Penso “acqua” e dico “aca”. Questa discrepanza può generare frustrazione nel bambino ed è importante accogliere il suo disagio pronunciandogli sempre bene le parole e permettendogli di osservare il nostro labiale, in modo da aiutarlo.
Chiniamoci sempre al suo sguardo quando parliamo, ciò gli permetterà di rinforzare il messaggio uditivo con l’osservazione della nostra pronuncia.
Mai correggere direttamente un bambino che non pronuncia correttamente, mai chiedere a un bambino di parlare quando non si sente pronto a farlo. Il nostro intervento non deve mai essere diretto, ma sempre nei termini di un aiuto indiretto. Il nostro bambino pronuncia male certi termini o balbetta o parla molto poco? Allora noi potremo offrirgli maggiori e migliori occasioni di ascolto, leggiamo di più, chiacchieriamo con semplicità e con maggior frequenza. «Voio aca, mama!», «Vuoi acqua? Ecco: acqua».
A costo di faticare un po’, pronunciamo bene le parole, scandendo con calma ogni sillaba, e rallentiamo il parlato quando ci rivolgiamo ai bambini. Questa modalità favorisce la concentrazione e i bambini così sono più attenti mentre parliamo loro. Inoltre un messaggio chiaro, semplice, e ben esposto è più facile da comprendere, da archiviare nella mente così come da elaborare.
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.