Mi scrive una mamma che fra un mese avrà un bambino con parto cesareo. Si sta preparando ad affrontare i grandi cambiamenti che l’evento porterà nella sua vita. Sarà il terzo figlio. Si sente tirata di nuovo indietro, fra pannolini e biberon, sonni disturbati, ulteriori rinvii delle aspirazioni professionali e sacrificio delle prospettive di allargare gli orizzonti del tempo libero e delle vacanze. È contenta, ma (è ovvio) anche ambivalente: conosce gioie e bellezza, ma anche peso, fatica e rinunce che la maternità comporta. I suoi pensieri vanno anche all’impatto che l’arrivo del nuovo bambino avrà sulle sue due figlie, di otto e quattro anni.
Certo, la più piccola andrà accolta anche con la sua rabbia e la sua gelosia… La risorsa più forte che ha è quella di essere una bambina estroversa e molto espressiva: tira fuori tutto, con moti spontanei irresistibili, a volte spiazzanti. Basta ascoltarla giocare ed è un libro aperto.
Qualche settimana fa la vedevo fare la mamma del suo Ciccio Bello: era tenerissima. Allora le ho detto: «Che mamma affettuosa sei! Proprio dolce…». E lei mi risponde, candidamente: «Non sono la mamma. La mamma era morta. Sono la sorella maggiore!». Touchée…
Allora abbiamo parlato un po’. M’ha detto che ha paura del “taglietto” che mi faranno nella pancia: non vuole che poi da grande glielo facciano anche a lei…
Poi le ho parlato di come sarà quando andrò in ospedale, di quando mi verrà a trovare e potrà prendere il fratellino sulle ginocchia… E di quando torneremo a casa e lui sarà un po’ piagnone, un po’ da sopportare… e qualche volta lei sarà un po’ stufa… Ma anche quella sera era un po’ inquieta, ed è stata mitica sua sorella che le ha detto: «Quando sei nata tu, anch’io avevo quattro anni ed ero arrabbiata, e a volte facevo delle cose brutte: pasticciavo col pennarello la culla, o nascondevo il cibo, invece di mangiarlo… Avevo paura che non mi volevano più bene come prima (sic!). Poi però, dopo un po’, ho capito che non era vero». La grande è la saggia della famiglia.
Sta per nascere un nuovo bambino e tutti, ciascuno a suo modo, stanno cercando di fargli spazio nella propria mente, non in un atto singolo una volta per tutte, ma attraverso un processo lungo, che richiede molto tempo: lavorìo assiduo, compiuto sia fra sé e sé nella propria mente, sia coinvolgendo le persone circostanti, con cui si scambiano rimandi e rispecchiamenti in modo circolare. È un grande compito di integrazione, un mettere insieme esigenze e prospettive contrastanti, per cercare di renderle tra loro compatibili.
La mamma giustamente si preoccupa di come potranno essere i nuovi equilibri familiari e nella propria vita. Nel momento presente, procede utilizzando sia i ricordi delle proprie esperienze precedenti (il passato) sia le fantasie su come potrà essere per lei la nuova situazione (il futuro): cerca di mettere insieme le esigenze portate dalla novità con le altre esigenze, sia proprie sia delle persone a lei affidate (le figlie). In questo processo di integrazione cerca di cogliere la verità del proprio sentire: non inibisce i sentimenti negativi, ma cerca di riconoscerli, di riconoscerne la sensatezza e di farli coesistere con i sentimenti positivi. Così come osserva amorevolmente sé stessa con sincerità senza imporsi atteggiamenti e senza proibirsi emozioni e sentimenti, nello stesso modo osserva amorevolmente le figlie, lasciando che vivano le loro emozioni e fantasie, senza nulla imporre o proibire.
Questa osservazione di sé e delle bambine dà un particolare tipo di piacere, che è connesso alla scoperta delle proprie e delle loro capacità di integrazione. Rabbia e gelosia le appaiono allora del tutto normali e prevedibili: da accogliere, non da ostacolare. Vede il gioco col Ciccio Bello come un tentativo di prepararsi alla nuova situazione, cogliendone aspetti dolci e affettuosi. A tutta prima, lo intende come un tentativo di mettersi a impersonare la mamma del neonato che verrà. Le viene da sorridere di fronte al gioco “che la mamma era morta”, intendendolo come espressione di rabbia verso di lei (gelosia, vendetta, rivalità, cioè invidia).
Non sembra invece del tutto consapevole della sua percezione (che mi trasmette col suo scritto) che il gioco “che la mamma era morta” rappresenta il vissuto della bambina, con la previsione che, per lei, la mamma amorevole non ci sarà più (è “morta”), tutta presa come sarà dal nuovo venuto: per riaverla, dovrà incarnarla in prima persona lei stessa verso sé stessa, così come nel gioco lo va facendo col Ciccio Bello e nella fantasia col “fratellino”, verso il quale sarà “la sorella maggiore”.
Impersonare la mamma nel gioco ha tre significati principali: un poco è un tentativo di risposta alla preoccupazione «…E adesso, che sarà di me? Dovrò fare io da mamma a me stessa»; un poco è il prefigurarsi «Come sarà quando da grande toccherà a me? Devo prepararmi»; un poco è un mettersi nei panni della mamma, caricandosi anche del peso, delle paure, delle ambivalenze e dei bisogni di rassicurazione di lei (per esempio, per il “taglietto”), per sollevarla.
Senza rendersene conto pienamente, ognuna utilizza anche l’osservazione dell’esperienza delle altre due per elaborare la propria. Quando la mamma pensa che la piccola andrà accolta anche nella sua rabbia e gelosia, di fatto, quasi senza accorgersene, in modo indiretto si avvicina ad accogliere anche la propria rabbia e il proprio disagio, riassunto nella parola «gelosia».
E quando le dice che, arrivato a casa, «lui sarà un po’ piagnone, un po’ da sopportare… e qualche volta lei sarà un po’ stufa», parla della figlia, ma sotto sotto pensa anche a se stessa. E così fa la piccola col suo Ciccio Bello; e così la grande, che, da brava “saggia della famiglia”, lo fa in modo quasi del tutto consapevole: confronta direttamente l’esperienza attuale della sorellina con la propria esperienza d’un tempo, riuscendo ora a padroneggiarla. Mettendosi consapevolmente nei panni dell’angosciata e ambivalente sorellina (e, in modo inconsapevole, nei panni della madre!), favorisce che entrambe (madre e sorellina) si mettano nei panni di lei, “saggia” che è riuscita ad arrivare a un’integrazione compiuta.
La sua “saggezza” sta nella meravigliosa sua capacità di percorrere contemporaneamente le proprie esperienze, quelle della sorellina e quelle della madre, favorendo un consolidamento dell’integrazione a un tempo personale e relazionale. Tutte e tre procedono nel contatto coi propri sentimenti genuini perché sanno che l’ambiente circostante è aperto ad accoglierli.