Prendiamo ad esempio i gemelli, i gemelli-gemelli, i cosiddetti “omozigoti”. Sono identici perché hanno un patrimonio genetico identico: sono in realtà una sola persona, raddoppiata. Eppure (qualche coppia di gemelli ciascuno la conosce) neanche i gemelli identici sono veramente identici, e dopo un po’ si possono distinguere uno dall’altro. Più passa il tempo più è facile distinguerli, anche se si continua a confonderli, perché la vita incide su ciascuna storia. Così, i due gemelli possono mostrare un’ombra diversa nello sguardo, continueranno a pensare in modo simile ma non identico, le loro scelte di vita si distanzieranno, uno avrà delle malattie che l’altro non avrà, uno potrà diventare un atleta e l’altro un uomo politico, i loro gusti si differenzieranno sulla base di due culture diverse, eccetera.
Differenze che sembrano di poco conto, dette così: ma per ogni carattere che venga preso in considerazione, si troverà che i gemelli omozigoti presentano una concordanza che non è del 100%, ma del 90%, del 80%, del 70%. La somma di queste concordanze o discordanze porterà alla conclusione che in moltissime variabili, l’uomo adulto è per metà quello che ha “voluto” il suo genoma e per metà quello che ha “voluto” la sua storia, la sua vita.
Anche la fisionomia e l’espressione sono fatte di mille particolari, e dei rapporti tra questi particolari. I fratelli sono diversi uno dall’altro; e uno potrà assomigliare alla mamma tra i 5 e i 10 anni, e al papà tra i 10 e i 15, e poi ricordare piuttosto lo zio, o il nonno, via via che la fisionomia subirà il rimaneggiamento delle varie parti del viso; e un sorriso rivelerà una parentela, e una smorfia un’altra, e un’espressione di tristezza una terza. Ma un’aria di famiglia resterà sempre: che sarà l’aria di quella famiglia, del mescolamento di quelle due fisionomie, imprevedibile, eppure guidato dalle regole ferree della natura.
Qui andiamo molto più sul difficile, perché il carattere di ciascuno di noi dipende da una combinazione di infiniti fattori, è imprevedibile. Un noto proverbio ci dice che il frutto non cadrà molto lontano dall’albero. Tutto si eredita. Come per i gemelli, il modo di pensare, le principali scelte di vita, i gusti, l’orientamento politico, restano molto simili, quali che siano state le esperienze vissute: dunque è certo che noi ereditiamo le qualità mentali e gli elementi materiali del nostro carattere.
È certo che l’educazione, le esperienze, le sofferenze, le circostanze faranno il resto, plasmando l’argilla del nostro sistema nervoso. Ma l’argilla è quella che il papà e la mamma ci hanno dato. Solo che gli elementi che costituiscono questa argilla sono molti, moltissimi, molecole di richiamo, molecole di trasporto, molecole strutturali, molecole che stimolano lo sviluppo e la proliferazione dei neuroni e delle loro diramazioni. Molecole che le limitano, molecole recettoriali, molecole trasmettitoriali, ormoni. Tutto questo si eredita per metà (quale metà?) dal padre e per metà dalla madre.
Tutta questa parte è oggetto di studio, anzi di una branca dello studio della genetica, detta genetica comportamentale. Osservando il modo di fare, di parlare, di proporsi, di scegliere, di avere o non avere successo, molto spesso a ciascuno di noi sarà accaduto di dire «quello è tutto suo padre» oppure «è tutta sua madre». Non dimentichiamo però che ciascuno eredita, oltre alle molecole con cui è fatto il suo cervello, anche l’ambiente che lo plasma nei primi anni di vita.