Negli ultimi tempi, i media si sono scagliati contro il pesticida più utilizzato al mondo, il glifosato. Il composto è entrato in commercio negli anni ’70, sviluppato dalla multinazionale Monsanto, e il suo impiego è talmente vasto che, solo per citare alcuni dati, in Germania è utilizzato nel 40% dei territori coltivati. In Italia, il monitoraggio delle acque parla di una positività al prodotto nel 31,8% dei punti di osservazione nella sola Regione Lombardia. Alcuni studi rivelano come sia presente anche in molti cibi, dai funghi alle lenticchie, dalle patate al pane.
Ma, il glifosato è pericoloso per la salute? Lo abbiamo chiesto al dottor Francesco Forastiere, dirigente dell’UOC di Epidemiologia Eziologica e Occupazionale della Regione Lazio. Potete ascoltare il nostro podcast oppure leggere la trascrizione dell’intervista qui sotto:
Dott. Forastiere, che cos’è il glifosato?
Il glifosato (o glifosate) è un erbicida e, in quanto tale, permette alle piante di crescere in modo pulito da vegetazione infestante. L’utilizzo più importante, soprattutto negli Stati Uniti, è nelle piantagioni di organismi geneticamente modificati (la cui coltivazione è vietata in Italia) che hanno la particolarità di essere resistenti all’erbicida. Da qui, ne deriva la sua importanza nel mondo dell’agricoltura. Non solo, il pesticida è usato anche quotidianamente nelle abitazioni, venduto con il nome commerciale di Round Up, utile nel giardinaggio e nella disinfestazione delle strade in ambito urbanistico.
In questi mesi il glifosato è al centro dei dibattiti politici e scientifici per essere stato dichiarato come probabile cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Il gruppo di lavoro della IARC ha classificato il glifosato come sostanza 2A, ovvero “possibilmente cancerogena”. Per capire esattamente cosa significhi, credo sia importante avere nozioni sulle procedure di classificazione che l’Agenzia si è data.
Innanzitutto, per la valutazione, la IARC seleziona attentamente scienziati esperti in tre ambiti: epidemiologia (studi sull’uomo), studi sperimentali (sugli animali) e esperienza nel meccanismo d’azione del glifosato. Gli scienziati pre-selezionati costituiscono dunque tre diversi sottogruppi che iniziano a lavorare un anno prima della riunione generale dell’Agenzia, momento decisionale che si tiene a Lione per una durata di circa 8 giorni. Il lavoro in questione consta di una revisione dettagliata di tutti gli studi pubblicati. Si tratta di un lavoro certosino di raccolta, valutazione e classificazione.
Inoltre, l’OMS si preoccupa molto di possibili conflitti d’interessi, motivo per cui si accerta che nessun membro IARC abbia legami di natura economica, o di altro tipo, con aziende o enti privati potenzialmente interessati alla valutazione finale. A ogni modo, in un’ottica di trasparenza del processo decisionale, al mondo dell’industria è concesso di poter assistere alla riunione generale della IARC, ma i rappresentanti delle aziende non hanno possibilità di contatto diretto con gli scienziati, né hanno diritto di voto.
Cosa emerge dal rapporto IARC?
Nel caso del glifosato, siamo di fronte a una situazione abbastanza particolare. Dal punto di vista epidemiologico, diversi studi indicano l’effetto cancerogeno del pesticida – il tumore indagato è il linfoma non Hodgkin – ma non possiamo escludere che gli studi possano essere affetti da elementi di distorsione, pertanto la valutazione di evidenza resta limitata. Nello specifico, quattro importanti studi caso-controllo sono risultati positivi, mentre un grande studio di coorte condotto negli Stati Uniti non ha messo in evidenza un’associazione tra l’esposizione al glifosato e il linfoma. Il gruppo di valutazione sugli animali e quello riguardante il meccanismo d’azione hanno invece dichiarato l’esistenza di una “evidenza sufficiente” per poter parlare di effetto cancerogeno del pesticida. La combinazione dei tre pareri scientifici, ha fatto sì che nel corso della riunione generale IARC, il glifosato sia stato classificato come 2A. C’è, quindi, una possibilità che il prodotto sia cancerogeno, ma non abbiamo la certezza. Non dimentichiamo che le valutazioni IARC godono di una elevatissima credibilità a livello internazionale e, difficilmente possono essere messe in discussione.
Laddove l’OMS lancia l’allerta, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) risponde in modo opposto, dichiarando che non vi è nessuna prova di cancerogenicità per quanto riguarda il glifosato. Viene naturale chiedersi come si possa essere giunti a due conclusioni così diverse da parte di due Agenzie importanti?
Indubbiamente, le valutazioni sono diverse e incostanti. È da precisare, però, che l’agenzia OMS non ha potere regolatorio, non fa legge. Si pronuncia, valutando scientificamente gli studi, ma sono poi gli Stati a dover prendere le decisioni. Diversamente, l’EFSA è l’agenzia regolatoria dell’Unione Europea, ovvero l’ente che deve fornire le indicazioni al fine di procedere in termini legiferativi. Nonostante questo, a caratterizzare l’operato di EFSA sul caso glifosato, due particolarità necessitano un’esplicitazione. La prima riguarda il conflitto d’interessi. Nella commissione di valutazione dell’agenzia europea, e differentemente dal gruppo IARC, sono presenti esperti nominati dagli Stati che in qualche modo sono comunque legati al mondo dell’industria e ne rappresentano gli interessi economici. La seconda particolarità riguarda l’errore metodologico che caratterizza la valutazione EFSA e che ne inficia sostanzialmente credibilità. Che sia stato voluto o meno, questo errore esiste e si somma al fatto che l’agenzia europea sta, di fatto, ignorando la valutazione degli studi fatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e che, riassumendo, indica una relazione dose-risposta tra la quantità di prodotto somministrata agli animale e la frequenza nella comparsa di tumori. Sul caso glifosato si sovrappongono perciò due valutazioni. Quella IARC è puramente e rigorosamente scientifica, al contrario il rapporto EFSA è influenzato da interessi altri, ma ha purtroppo un’importanza di natura regolatoria.
Al centro del dibattito tra le due agenzie, l’Unione Europea è chiamata a votare per il rinnovo della possibilità di commercializzazione del prodotto entro maggio 2016. Come finirà?
Per approfondire
Nello studio caso-controllo si mette a confronto le probabilità di esposizione fra i casi, persone malate, rispetto alla probabilità di esposizione fra i controlli, ovvero le persone sane. Si valuta se (e quanto) la probabilità di trovare soggetti esposti è maggiore fra i malati rispetto alla popolazione sana.
Tipo di studio che prevede l’osservazione di un gruppo di soggetti per un determinato periodo di tempo al fine di indagare il rapporto causa-effetto tra un determinato fattore ed una patologia. Si valuta se (e quanto) l’incidenza di malattia negli esposti è maggiore rispetto alla popolazione non esposta. Dunque, si differenzia dallo studio caso-controllo poiché non indaga la probabilità di esposizione a fattore patologico, ma la probabilità di malattia.