In passato diverse teorie psicologiche hanno affermato che nelle prime fasi dello sviluppo i bambini non sono in grado di distinguere sé stessi dagli altri. Alcuni sostenitori di questa prospettiva si sono spinti a formulare posizioni piuttosto estreme: il bambino, almeno inizialmente, vive in uno stato simbiotico con la madre, sperimentando un’“indefinitezza” dei confini corporei in cui il corpo del genitore è una sorta di estensione del proprio.
Sebbene si tratti di una visione dubbia, non è sufficiente liquidare la questione sostenendo che è improbabile che i bambini piccoli non riescano a percepire i confini del proprio corpo. Abbiamo bisogno di qualcosa di più convincente.
Negli ultimi tre decenni si sono accumulate diverse evidenze scientifiche che ci hanno permesso di dare sostanza all’ipotesi che, in qualche modo, i bambini “sanno” di avere un corpo.
Per entrare nel merito dell’argomento permettetemi però di partire dal mondo degli adulti.
Per un adulto è ovvio che “essere nel mondo” significa possedere un corpo. Non esisterebbe nessun senso di sé, nessuna vita interiore, senza la percezione del proprio corpo. Sebbene questa sensazione sia perlopiù al di fuori della consapevolezza, ci accompagna costantemente.
Se così non fosse vivremmo la spiacevole percezione di trovarci “fuori” dal nostro corpo o di “confonderci” con il corpo degli altri: il fatto di avvertire chiaramente i nostri confini corporei ci permette di rappresentarci come un’entità separata dalle altre persone, di distinguere noi stessi dagli altri.
Negli adulti la percezione del corpo deriva da una miriade di segnali trasmessi continuamente al cervello dagli organi di senso, dal sistema vegetativo, dai muscoli, dalle articolazioni. Attraverso un processo di integrazione multisensoriale, il cervello non solo elabora le informazioni su come il corpo si muove o sul suo stato di benessere, ma può identificarne i confini e generarne una rappresentazione unitaria: un “sé corporeo”.
A questo punto la domanda è scontata: quand’è che il bambino comincia ad avere una percezione dei propri confini corporei? Quando inizia a “sapere” di avere un sé corporeo?
Diversi studi scientifici documentano che l’elaborazione delle informazioni corporee è già presente a partire dal primo anno di vita, e questo sembra suggerire che, anche se in una forma rudimentale, i bambini molto piccoli hanno già una percezione del loro sé corporeo.
Ma com’è possibile esaminare questa percezione? Una delle strade percorse dai ricercatori è stata quella di “imbrogliare” benevolmente il bambino, mostrandogli una parte del suo corpo in un modo diverso da come è effettivamente.
Immaginate un bambino di 5 mesi su un seggiolino. Di fronte a lui si trova un monitor che, attraverso un sistema video, acquisisce e proietta in tempo reale le immagini delle sue gambine. In una metà dello schermo vengono proiettate le gambine nell’orientamento soggettivo (ossia come le vede il bambino); in contemporanea, nell’altra metà del monitor, attraverso una manipolazione delle immagini, vengono proiettate le gambine orientate al contrario rispetto al punto di vista del piccolo (ossia come le vedrebbe una persona posta davanti a lui).
Di conseguenza, mentre il bambino sgambetta, le due immagini gli restituiscono una diversa informazione visiva: la prima è congruente con i segnali che i muscoli e le articolazioni degli arti inferiori trasmettono al suo cervello (input propriocettivo), la seconda invece è in totale contrasto. Come reagiscono i bambini di fronte a questa situazione? Percepiscono qualche diversità tra l’immagine congruente e quella non congruente? O non colgono alcuna differenza?
Philippe Rochat e Rachel Morgan, i due ricercatori che nel 1995 organizzarono l’esperimento, cercarono di dare risposta a queste domande registrando i tempi di attenzione con cui i bambini osservavano le immagini. Una quantità simile di attenzione rivolta a entrambe le immagini avrebbe voluto dire che né la situazione di congruenza né quella di incongruenza attivavano nel piccolo un interesse particolare.
Tuttavia i risultati evidenziarono che i bambini tendevano a guardare più a lungo l’immagine delle proprie gambe che si muovevano in modo incongruo rispetto a quanto sperimentato a livello propriocettivo.
Il fatto che i bambini fossero sorpresi da queste strane immagini è spiegabile solo se si ipotizza che il loro cervello sia in grado di integrare le informazioni provenienti da diversi canali sensoriali, producendo quindi una qualche rappresentazione del corpo.
In altre parole, quando nel corso dell’esperimento osservavano le immagini incongruenti, le informazioni propriocettive e quelle visive risultavano non sintonizzate, e i bambini reagivano con più attenzione a qualcosa di inatteso, che si discostava dal loro seppur abbozzato schema corporeo.
Questa spiegazione è in linea con quanto abbiamo detto a proposito degli adulti: l’integrazione multisensoriale è il requisito per generare una rappresentazione unitaria del corpo (il sé corporeo, appunto).
A partire dall’esperimento di Rochat e Morgan sono stati fatti diversi altri studi di questo tipo, addirittura con bambini di appena qualche giorno di vita. Tutti portano a una conclusione simile: la capacità di cogliere la sincronia e asincronia multisensoriale è un’abilità cruciale per lo sviluppo del sé corporeo e i bambini sembrano, almeno in parte, possederla.
Quindi, fin dai primi giorni di vita, i bambini hanno competenze specifiche con le quali elaborano le informazioni relative al corpo. È ragionevole ritenere che questa capacità permetta al bambino piccolo di distinguere sé stesso dal resto del mondo, per cui sembra improbabile che sperimenti una qualche “indefinitezza” dei propri confini corporei.
La potenzialità di percepire così precocemente il proprio sé corporeo è senza dubbio un aspetto fondamentale dello sviluppo del “sé psicologico”. Per noi adulti, percepire di “essere nel mondo” come individui separati, con una propria soggettività, è possibile nella misura in cui “sappiamo” di possedere un corpo.
La cosa interessante è che fin dalle prime fasi della vita anche i bambini “sanno”, a modo loro, di avere un corpo con cui essere pienamente nel mondo.