«Supercalifragilistichespiralidoso, anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso, se lo dici forte avrai un successo strepitoso, supercalifragilistichespiralidoso!». Per accedere al mondo dei bambini e conoscerli da vicino bisogna intendersi un po’ di magia. Lo sanno bene i creatori dei cartoni animati o delle fiabe, che da sempre utilizzano personaggi magici e situazioni fantastiche per rapire e appassionare la mente dei più piccoli. La magia di cui parlo riguarda il cosiddetto “pensiero magico”, ovvero il modo in cui il bambino pensa, vive, conosce, interpreta e si relaziona con il mondo.
Conoscere questa modalità di pensiero, presente soprattutto nei primi sette anni di vita, può aiutare l’adulto a relazionarsi con il piccolo. Infatti, saper leggere i comportamenti infantili riconoscendone il significato profondo e senza sminuirli (ad esempio pensando che «sono cose da bambini») favorisce una relazione educativa ricca e improntata al rispetto reciproco.
Una delle manifestazioni del pensiero magico è il rituale, ovvero azioni e parole che vengono ripetute schematicamente dal bambino in determinate circostanze e senza un significato apparente, ad esempio spegnere e accendere gli interruttori prima di uscire di casa, non calpestare le righe, ripetere una certa parola inventata, e così via.
Ecco due situazioni reali che mi hanno raccontato due coppie di genitori:
I genitori di Gabriele e Matteo mi chiedono spiegazioni su quanto osservato: niente di cui preoccuparsi, anzi, siamo di fronte a un’espressione del “funzionamento” del mondo interiore dei bambini. A questo proposito, è importante distinguere questi rituali magici da altri comportamenti ripetitivi che invece diventano invasivi, bloccano lo svolgimento delle attività quotidiane e condizionano ossessivamente il bambino, perché potrebbero essere segnali di un problema e necessitano di una consulenza specialistica.
In modo diverso, con i loro comportamenti sia Gabriele sia Matteo cercano di controllare la realtà e intervenire su di essa. Nel farlo, pensano “in modo magico”, percepiscono cioè una relazione tra fenomeni che in realtà non esiste. Il gol di Matteo, ad esempio, non è causato dalla parola magica che lui sussurra al pallone, ma il bambino ne è assolutamente convinto; il suo è un rituale propiziatorio: desidero che avvenga una cosa e tramite la mia azione magica provo a farla accadere. Questo avviene perché i bambini interpretano la realtà attraverso specifiche categorie di pensiero: anche un pallone può “animarsi”; ogni cosa può succedere anche in base a volontà sconosciute; lo spazio e il tempo sono categorie molto fluide e poco vincolanti.
Un’altra funzione molto importante del rituale magico è quella difensiva e rassicurante, fondamentale in età evolutiva, specialmente per affrontare situazioni che provocano angoscia o insicurezza. Il rituale può servire a controllare una paura, ad esempio: «Prima di andare a dormire sistemo alcuni dei miei giocattoli uno accanto all’altro, a formare una linea perfetta, e non voglio che qualcuno li tocchi. Così il mostro non verrà stanotte». Tornando a Gabriele, il piccolo si trova in un momento delicato della sua crescita: sta affrontando il distacco dai genitori e la paura legata a nuove esperienze; non si sente ancora “al sicuro” nel nuovo ambiente. Il suo rituale all’uscita da scuola lo rassicura, gli trasmette la possibilità di poter dominare la realtà, lo fa sentire capace di controllare gli eventi.
Pensiamo per un attimo a quanto può essere complesso il mondo per un bambino: la realtà è sconosciuta, a volte paurosa, e le cose accadono spesso a prescindere dalla propria volontà. Quanto potere decisionale e di azione hanno i bambini rispetto agli eventi? Durante l’infanzia, il pensiero magico è uno strumento interpretativo fondamentale per “scoprire il mondo”. In questa fase, il rituale consente al bambino di entrare in contatto in maniera profonda e creativa con le proprie risorse personali e gli dà la sensazione di poter agire sulla realtà, di “domarla”. Quanto questa funzione sia importante ce lo dimostra il fatto che anche da adulti a volte continuiamo a ricorrere a diversi riti per abbassare il nostro livello di ansia rispetto a un evento (ad esempio indossando sempre la stessa maglietta per andare a fare un esame) o per cercare di far accadere “magicamente” qualcosa che in realtà non dipende da noi (ne sanno qualcosa i tifosi di calcio!).
«Bidibibodibibù, la ferita non brucia più!», dice serio papà Guido, agitando le dita sul ginocchio sbucciato della piccola Sara, che ora sorride di nuovo, si asciuga il naso con la manica e torna a giocare.Questi piccoli “riti di guarigione”, che accompagnano la crescita con un sorriso, creano momenti privilegiati di comunicazione tra genitori e figli. Gli adulti, infatti, possono utilizzare il linguaggio della magia per avvicinarsi emotivamente ai bambini. Nel caso del ginocchio sbucciato di Sara, spiegare scientificamente il processo di cicatrizzazione di una ferita non avrebbe risposto al bisogno della piccola, che chiedeva piuttosto conforto e vicinanza emotiva. Ciò non toglie che il papà, in un’altra occasione, potrà invece utilizzare con la piccola il pensiero “logico”, quando la vedrà pronta e desiderosa di ottenere informazioni e conoscenze riguardo a un evento come quello appena accaduto. Inventare e condividere con i bambini un rituale magico particolare, tra finzione e realtà, è un gioco da non perdere, che può essere particolarmente utile quando il piccolo deve affrontare un compito difficile e ha bisogno di riconoscere nel genitore un sostegno emotivo e motivazionale.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.