Alex è un bambino di 7 anni. Viene in ambulatorio per la prima volta. Ha cambiato casa e città. I genitori, in occasione di questo trasloco, hanno ritenuto meglio lasciare il bambino alcuni mesi dalla nonna, in un Paese dell’Est Europa. La mamma è preoccupata perché il bambino continua a tossire, «come per schiarirsi la voce», solo di giorno. La timidezza di Alex e la sua difficoltà a parlare italiano – in pochi mesi sembra aver dimenticato il nostro vocabolario – sono la cornice in cui si svolge la visita.
Martino ha 5 anni, è un bambino esuberante, chiacchierone, sempre il primo a tuffarsi nelle attività della scuola dell’infanzia. I fratelli più grandi sono formidabili compagni di gioco a casa o al parco. Sia a casa sia a scuola sembra andare tutto bene, tuttavia la mamma è preoccupata perché il bambino «da qualche settimana sbatte continuamente le palpebre».
Alex e Martino presentano dei comportamenti che vengono definiti tic o disturbi da tic.
I medici definiscono questi atti motori o vocali come ripetitivi, improvvisi e molto rapidi. Una particolare caratteristica dei tic è la mancanza di una “continuità di presentazione”: ci sono momenti della giornata in cui sono assenti e altri durante i quali si intensificano al punto da allarmare il genitore.
Un’altra peculiarità che li rende facilmente riconoscibili è il loro ripetersi secondo un modello fisso e prevedibile. Sbattere le palpebre, arricciare il naso, alzare la spalla, ruotare o flettere il collo, schiarirsi la voce o emettere un suono come per pulirsi la gola sono soltanto alcuni esempi di tic che possono accompagnare per settimane o mesi la crescita del bambino.
Questo disturbo colpisce soprattutto i maschi in età scolare. Probabilmente Alex e Martino non si accorgono di avere un tic, o forse avvertono l’urgente bisogno di schiarirsi la gola o di sbattere le palpebre senza riuscire a controllare volontariamente tali rapidi movimenti. I due bambini sono sani, non hanno assunto farmaci stimolanti, non hanno mai sofferto di malattie neurologiche.
La storia di Alex è significativa: ha cambiato casa e città, quindi dovrà ricostruire tutte le sue amicizie; è stato lontano da mamma e papà per alcuni mesi. Sappiamo che stress e forti emozioni possono intensificare o prolungare nel tempo una sintomatologia del genere, quindi riusciamo a spiegarci facilmente il tic di Alex, ma non quello di Martino, che non colleghiamo a esperienze stressanti o emotivamente impegnative. Ma è una conclusione giusta? Per andare avanti dobbiamo definire che cosa intendiamo per stress.
Lo stress non è una malattia, ma una normale risposta del corpo a uno stimolo ambientale. Possiamo dire che in ogni momento della vita siamo “sotto stress”, ossia assistiamo a dei cambiamenti che avvengono nel nostro corpo: si modificano gli ormoni, lo stato immunitario, la circolazione del sangue, i pensieri… a seconda di quello che succede intorno a noi e che ci coinvolge. Uno stress fisico, uno stress immunitario, uno stress emotivo legato alla gestione di una relazione d’amicizia sono normali momenti di vita quotidiana.
Un adulto, con tanta esperienza alle spalle, supera facilmente la maggior parte di questi stress, ma un bambino, durante le delicate fasi del suo sviluppo, può esprimere la tensione dell’adattamento o adeguarsi a nuove situazioni con un tic. Questi improvvisi, piccoli e rapidi movimenti, quindi, non sono la spia di una patologia, ma esprimono l’impegno di un bimbo che sta crescendo e che cerca di mettercela tutta mentre è sottoposto a uno sforzo di lunga durata, come ad esempio il dovere dei compiti a casa, il controllo delle relazioni sociali con gli amici oppure il rispetto di nuove regole fissate dai genitori. Il temperamento del bambino, la sua peculiare capacità di adattarsi alle trasformazioni che avvengono dentro e fuori di sé, sono alcune delle variabili che possono far emergere questi brevi, ripetuti movimenti.
Un tic, in sostanza, è semplicemente l’espressione di uno stato di tensione nel bambino che cresce. Il piccolo non va sgridato e l’ingiunzione a controllare i tic non porterà ad alcun risultato, se non a una maggior tensione, forse anche alla frustrazione e probabilmente, quindi, a un prolungamento nel tempo di questi movimenti involontari.
I tic di cui abbiamo parlato finora sono definiti “transitori” perché si tratta di semplici gesti (lo sbattere delle palpebre, un unico breve movimento del collo o della spalla) che accompagnano la crescita del bambino per non più di un anno.
Ma esistono anche i cosiddetti “tic complessi”, che prevedono comportamenti più articolati: saltare, fare delle giravolte, toccare continuamente degli oggetti, tamburellare; oppure ripetere sillabe, parole o fare l’eco a quanto detto da un’altra persona.
Il persistere di queste manifestazioni per anni e la presenza contemporanea di diversi tipi di tic di tipo vocale e motorio, ossia di suoni o parole e movimenti complessi, definisce un disturbo specifico chiamato sindrome di Tourette. Questa sindrome, che porta il nome del neurologo francese che per primo la descrisse, è oggi inserita anche in un gruppo di malattie chiamato PANDAS, una sigla inglese che sta per Disordini neuropsichiatrici autoimmuni pediatrici associati alle infezioni da streptococco.
In questo gruppo di malattie alcuni studiosi hanno raccolto tutti i tipi di tic e disturbi in cui il bambino ripete ossessivamente alcune azioni, come ad esempio lavarsi le mani. L’elemento fondamentale della PANDAS, secondo tali ricercatori, è il fatto che i tic sarebbero scatenati da un’infezione da streptococco, ossia dalla faringotonsillite, attraverso un particolare meccanismo immunitario.
Perché racconto queste cose un po’ complicate? Talvolta si vede prescrivere una terapia antibiotica a un bambino che presenta un tic. C’è allora da chiedersi se questo comportamento sia corretto. Sembrerebbe di no.
La cosiddetta PANDAS attualmente non è una malattia riconosciuta, ma un’ipotesi in fase di studio e i risultati delle ricerche sono ancora molto controversi. La causa infettiva alla base dei tic non è stata dimostrata, così come non è stata dimostrata l’efficacia della terapia antibiotica. In realtà la causa e i meccanismi che provocano i tic continuano a essere in gran parte sconosciuti, anche se la storia familiare di chi presenta simili disturbi sembra indicare che ci sia una predisposizione ereditaria. Proporre una terapia antibiotica per un tic, allo stato attuale, non è comprovato da alcuna evidenza scientifica.
Alex e Martino, dunque, sono due bambini sani che presentano un tic semplice e i loro improvvisi movimenti non segnalano nessuna malattia neurologica o psicologica da affrontare con una terapia. I genitori devono semplicemente impegnarsi a essere un sostegno positivo per i ragazzi, evitando di rimproverarli o mortificarli per un disturbo che non possono controllare.
Tuttavia, un bambino con dei tic può avere qualche problema nelle relazioni con i compagni, può essere vittima di bullismo, oppure può soffrire di dolori muscolari a causa del tic o avere difficoltà a eseguire certi movimenti. Se il tic è persistente o incide in maniera significativa sull’umore e sulla vita del piccolo, sarà allora necessario discutere la situazione con il pediatra per valutare insieme la possibilità di un trattamento.
comasco di nascita, ha studiato a Parma, dove si laurea in Medicina e si specializza in Pediatria, e successivamente in Neonatologia e Patologia neonatale. È autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche italiane e internazionali peer-reviewed, e collabora con Uppa da diversi anni con articoli di divulgazione pediatrica.