Che il pianto del lattante indichi un dolore o una malattia non è vero. Il pianto non indica dolore o sofferenza, se non di rado. Nelle varie casistiche pediatriche, meno del 10% dei bambini con una storia di colica, presentava uno stato di malattia.
Molto spesso, quando il bambino viene allattato con latte artificiale i genitori pensano a una intolleranza o allergia al latte, evento dimostratosi molto improbabile. Pianti persistenti sono stati associati a infezioni delle vie urinarie o a piccoli traumi dell’occhio (ad esempio un’abrasione della cornea) e talvolta a infezioni virali o a otite. La famosa “colica gassosa del neonato”, ossia la presenza di gas intestinali che provocherebbe il pianto, è più una presunzione che una certezza.
È più probabile che i gas intestinali siano la conseguenza del pianto che non la causa. Infatti, sia i farmaci che riducono i gas intestinali, sia gli interventi di manipolazione o di chiropratica, si sono dimostrati inutili, anche se non dannosi, per la cura di questo disturbo. Lo studio di oltre cento lattanti ricoverati in ospedale a causa di coliche che preoccupavano i genitori ha portato a un risultato apparentemente sorprendente: i bambini ricoverati miglioravano spontaneamente senza cure e i medici non facevano altro che rilevare dei normali comportamenti del pianto, sonno e alimentazione.
Tuttavia, in queste famiglie erano presenti delle esperienze difficili, come problemi di natura medica durante la gravidanza o complicazioni subito dopo la nascita, vicende che avevano messo a dura prova i genitori e che, forse, avevano caricato di ansia l’intera famiglia.
Una segnalazione a parte merita una “malattia” molto famosa e frequente nel lattante, il reflusso gastro-esofageo. Tutti i lattanti rigurgitano, chi tanto e chi meno. Il rigurgito fa parte della normalità nella vita dei neonati. Nonostante ciò, da qualche anno, il rigurgito è stato messo sotto accusa come responsabile del pianto dei bambini.
Il latte che refluisce dallo stomaco e risale nell’esofago potrebbe far male. A causa di questo dolore nell’esofago il lattante piange, si irrigidisce, si inarca, ha il singhiozzo ed ecco che si rivela a noi la malattia da reflusso gastroesofageo. Per questo motivo sono stati trattati migliaia e migliaia di lattanti sani con farmaci che hanno la funzione di bloccare l’acidità dello stomaco e di conseguenza ridurre l’acidità dei liquidi che risalgono l’esofago.
Il consumo di questi farmaci, chiamati inibitori della pompa protonica, è letteralmente esploso in età pediatrica, confermando la diffusione di questa nuova malattia. Però, c’è un però. Non c’è nessuna dimostrazione che la risalita del latte acido dallo stomaco sia associata al pianto e ai movimenti di fastidio del lattante. Anzi, si è osservato che non c’è assolutamente alcuna correlazione tra i due fenomeni.
Di più, è stato dimostrato che i farmaci contro l’acidità non funzionano nel lattante. Per essere più precisi questi farmaci hanno lo stesso effetto di un placebo. E, i bambini che li assumono, oltre a non trarre beneficio, cioè a non piangere di meno, rischiano di contrarre malattie infettive respiratorie, come la polmonite, a causa della riduzione dell’acidità dello stomaco, fondamentale per la sua funzione di barriera antibatterica. Insomma, la malattia da reflusso è una malattia di moda, purtroppo, molto conosciuta dai lattanti.
La vera malattia da reflusso gastroesofageo è molto rara e quasi sempre colpisce bambini che presentano gravi patologie croniche. Volete sapere come si cura con efficacia il rigurgito? Studi scientifici hanno dimostrato che un lattante preso in braccio spesso, a cui vengono offerti pasti frequenti e che rimane poco tempo sdraiato, che tutti i giorni fa una passeggiata fuori casa e ha genitori non fumatori soffre nettamente meno di episodi di reflusso. Quindi, non medicine, ma comportamenti di buona salute che dovrebbero essere offerti a tutti i bambini e ai loro genitori, sempre.
In realtà, c’è una malattia che fa piangere tanto il lattante. Malattia che non colpisce il bambino, ma la mamma, la depressione post-partum. Questo disturbo compare nella mamma solitamente entro le prime settimane di vita del bambino esprimendosi come un semplice calo d’umore o una instabilità emotiva, fino ad arrivare a forme più gravi che possono comprendere profonda tristezza, disturbi del sonno, irritabilità, sensazione di inadeguatezza, pianto incontrollato, perdita del desiderio sessuale, stanchezza, senso di disperazione, difficoltà nell’interazione con il bimbo.
La frequenza è purtroppo molto elevata, una mamma su otto e un papà su dieci hanno esperienza di questo disturbo, una vera e propria invalidità nelle relazioni. Il lattante ha una speciale sensibilità nel percepire gli stati emotivi del proprio genitore. Se mamma o papà soffrono di questo disturbo, il bambino lo capisce e piange.
Tra i bambini con le coliche, cioè i bambini con un pianto poco consolabile, una mamma su tre presenta uno stato di depressione. Addirittura, è stata dimostrata una correlazione tra depressione del papà e pianto del lattante. Se infatti il papà soffriva di questo disturbo durante il periodo della gravidanza, il bambino, nei primi mesi di vita, piange di più. Se lo stato di depressione del genitore si prolunga nel tempo, il bambino continua ad avere le coliche anche dopo il terzo mese di vita quando, invece, di norma le coliche presentano una risoluzione spontanea.
Può sembrare incredibile, ma il lattante nel vederci soffrire, incapaci o in difficoltà a sorridergli, a tenerlo in braccio, parlare o cantare per lui, sente un profondo disagio e piange con l’intento di richiamare l’attenzione. Piange perché sente la mancanza di attenzione, affetto e interesse verso di lui, cure indispensabili per la sua crescita.
Un bambino ha bisogno di prossimità fisica e sensoriale per rassicurarsi. Deve poter toccare la pelle della propria figura di attaccamento così come annusarla, guardare il volto del genitore che fissa i suoi occhi, sentire quella voce che ha già memorizzato durante il tempo trascorso in utero, voce che costruisce una gioiosa melodia, e volentieri rimane in ascolto di una risposta, di un vocalizzo. La mancanza di queste esperienze sensoriali – potremmo anche definirle esperienze sociali o cognitive – crea un profondo malessere, un disagio che viene espresso con il pianto.
Non sappiamo ancora perché nasce la depressione in un genitore: fattori genetici, ormonali, ambientali concorrono a facilitarne l’insorgenza. Potrebbe essere anche il fatto che il bambino nasce con un carattere difficile. Ognuno di noi nasce con un carattere ben definito e lo esprime già dal primo giorno di nascita. Un lattante dal temperamento esigente, antipatico, portato per natura a piangere frequentemente per ogni minimo cambiamento di stato, può far esaurire le energie anche del migliore genitore.
Una frustrazione accompagnata da un eccesso di stanchezza fisica è un terreno fertile per la comparsa della depressione. Quindi, nel caso in cui il bambino piange tanto, guardiamo anche dentro di noi. Se sentiamo di avere sbalzi di umore, perdita di interesse o di piacere per quasi tutte le attività, non dobbiamo provare la vergogna di rivolgerci al nostro medico di fiducia o al pediatra.
La depressione non è un sentimento da disprezzare o una nostra mancanza di volontà da condannare, ma è una malattia. Come tutte le malattie può essere curata con efficacia, sia con la parola sia con appropriati farmaci assolutamente non dannosi, anche se si allatta al seno. Non si deve stare da soli con questa sofferenza, ma si deve riuscire a chiedere aiuto. L’obiettivo è il proprio benessere e soprattutto la salute del nostro bambino.
comasco di nascita, ha studiato a Parma, dove si laurea in Medicina e si specializza in Pediatria, e successivamente in Neonatologia e Patologia neonatale. È autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche italiane e internazionali peer-reviewed, e collabora con Uppa da diversi anni con articoli di divulgazione pediatrica.