In Italia già da diversi anni ci troviamo in una situazione sia di bassa natalità (numero di nati sul totale della popolazione) sia di bassa fecondità, per cui l’arrivo di un secondogenito è un evento che acquista maggiore rilevanza.
«Amore! Fra 9 mesi arriva un fratellino, sei contento?» dice la mamma.
«Ma cosa sono 9 mesi? E un fratellino? Mah…. Mamma però è tutta contenta, quindi: sì! Sono contento» pensa il bambino.
Mamma e papà ci provano a preparare i piccoli primogeniti all’arrivo del fratello, così come al cambio della casa o all’inizio dell’asilo: «Lo sai che fra un pochino andiamo ad abitare in un’altra casa?» oppure «Tra due settimane iniziamo l’asilo! Sei felice?».I genitori agiscono con le migliori intenzioni, spinti dal desiderio di aiutare il bambino ad affrontare al meglio il cambiamento, desiderosi di condividere con lui il dolce sapore dell’attesa così come ci insegna la volpe del Piccolo Principe. Ma la capacità di prevedere cosa succederà, come ci si sentirà dopo un cambiamento, nel bambino piccolo, ancora non si è sviluppata.
Egli vive nel qui e ora, vive il presente con tutto sé stesso. La consapevolezza di ieri e domani, come quella di sé e degli altri, cresce con lentezza. Ciò va considerato, rispettato e tutelato.
Mamma e papà hanno ben 9 mesi per prepararsi all’arrivo di un altro bambino: fantasticare su come saranno i bimbi insieme, la nuova vita, organizzare gli spazi di casa, i ritmi di lavoro, ecc. Per il bambino, però, il tempo di assestamento, di presa di coscienza, d’interiorizzazione e d’accettazione inizia dopo il lieto evento.
È un po’ come se qualcuno gli mettesse in braccio un neonato e dicesse: «Ecco, da oggi siete in quattro!». Anche in questo caso l’adulto sarebbe in grado di affrontare e gestire la situazione, perché dotato di abilità cognitive e di ragionamento tali da consentirgli di comprenderla, di scegliere strategie comportamentali e di gestire le emozioni. Queste sono competenze che il bambino non possiede, ma le sta costruendo.
Il nostro piccolo vive i cambiamenti con la pancia, con tutta la sua emotività e nel momento stesso in cui i cambiamenti sono in atto. Ecco perché è importante accettare, accogliere e rispettare qualsiasi manifestazione spontanea del bambino nei confronti del nuovo arrivato. Sono tutte espressioni sincere, pure e legittime: qualcuno vuole toccare il bambino di continuo, qualcuno ci sta un po’ a distanza, qualcuno prova il terrore di perdere mamma e regredisce (nella parola, nell’autonomia, nel sonno, nel controllo degli sfinteri) solo per ricevere nuove attenzioni.
Ogni manifestazione ci parla del nostro bambino e della sua personalità, offrendoci una preziosa occasione per conoscerlo un po’ meglio. Lo sviluppo di queste emozioni spontanee non può che avvenire all’interno dell’animo del bambino stesso: con il passare del tempo, con l’amore, il rispetto, la pazienza e la comprensione di mamma e papà. Ce lo suggerisce anche lo psicoanalista Paolo Roccato nel suo articolo Gelosia: come insegnare a essere fratelli maggiori.
Concediamo ai bambini la loro personale “gravidanza post nascita”, offrendo loro tutto il tempo necessario a prendere coscienza, a vedere il lato bello delle novità, a comprendere limiti, spazi, privilegi e occasioni di arricchimento.
Favorire e non ostacolare l’innamoramento tra fratelli è quindi possibile. Ecco cosa è bene fare e cosa, invece, è meglio evitare.
È bene
permettere al fratello maggiore di toccare, baciare, accarezzare il fratello più piccolo invitandolo a essere prudente e delicato come solo lui sa essere.
È meglio evitare
di tenere i due fratelli lontani, mandando il grande fuori casa nei primi giorni (da nonni, zii, ecc.)
È bene
che il “grande” venga preso in braccio spesso e che gli siano fatte tantissime coccole, anche e soprattutto materne, in tutti i momenti possibili.
È meglio evitare
frasi come «ormai tu sei grande, adesso è lui il piccolino!».
È bene
coinvolgere il fratello maggiore nell’accudimento del fratello più piccolo: togliere i vestiti, slacciare il pannolino, mettere la crema, lavarlo, aiutarlo a mangiare. Ciò lo farà sentire utile e partecipe.
È bene
quando il bebè cresce un po’, tutelare gli spazi e le attività del grande, proteggendo il suo lavoro e offrendogli i suoi spazi personali (per esempio ad altezza non raggiungibile per il piccolo) affinché non venga disturbato.
È meglio evitare
di riprendere il grande perché fa cose non adatte al bebè, ma dargli luoghi e tempi adeguati per farlo, intrattenendo il piccolo perché non vada a interferire.
È bene
attribuire al grande il ruolo di esempio e di guida per il piccolo, facendogli notare quanto tutto ciò che fa sia imitato e preso ad esempio dal piccolo.
È bene
aiutare il grande nella lettura dei bisogni del piccolo: decifrare il pianto, l’immaturità, l’essere maldestro e instabile. Ciò aiuterà l’educazione all’empatia. Ad esempio, quando il piccolo colpisce il grande, lo graffia o si mette a piangere per essere caduto, dovremmo far comprendere le motivazioni di tali manifestazioni al grande: «Vedi, le sue manine non sono ancora esperte come le tue, fa ancora fatica a controllarsi!» oppure «Piange perché vorrebbe tanto l’oggetto che hai in mano! Vuoi darglielo un po’? Ne sarebbe felicissimo» o ancora «Questo gioco non è ancora adatto a lui, mettilo più in alto e prova a proporgliene un altro».
Ciò che di meglio possiamo fare è aiutare il grande a gestire le sue emozioni e questa nuova convivenza, fornendogli strategie comportamentali e comunicative efficaci perché non si senta calpestato ed escluso, ma coinvolto e rispettato. La pazienza e l’amore che offriremo lui saranno i sentimenti che riserverà al suo piccolo fratellino.
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.