Proviamo a digitare “gravidanza” su Google: appariranno 20.400.000 articoli. Se ripetiamo la ricerca digitando “salute in gravidanza” raggiungeremo a stento 157.000 risultati.
La differenza tra queste cifre merita una riflessione: l’argomento “gravidanza” è molto popolare, attira l’interesse di tantissime persone, raccoglie milioni di click e di conseguenza è utile per incrementare la pubblicità e le vendite; la salute in gravidanza, invece, è un argomento marginale, forse ritenuto troppo noioso per i siti web, le testate giornalistiche e i blog.
Quando un argomento è poco popolare in rete i motivi possono essere vari. Potrebbe essere un tema troppo di nicchia e interessare poche persone; non sembra questo il caso della gravidanza, con i suoi milioni di siti. Potrebbe essere troppo specialistico e non rivolto alla popolazione generale; ma la salute in gravidanza, sia quando è fisiologica sia quando presenta delle complessità, è ovviamente un argomento cardine delle agenzie di salute pubblica, che negli anni hanno promosso numerose campagne di sensibilizzazione. Potrebbe essere una questione nota e stranota, per cui non è più necessario discuterla e diffonderla sui media e sui social; ma la salute perinatale (per semplificare, teniamo a mente la formula “meno nove mesi più nove mesi”, dal concepimento all’esogestazione) è un argomento per il quale manca ancora una cultura realmente condivisa e trasversale a tutte le fasce d’età. Eppure trovare informazioni affidabili e complete sembra un’impresa difficile.
La salute in gravidanza si situa in rete a margine dei prodotti per l’infanzia, degli abiti premaman e dei servizi fotografici con il pancione, che invece i social propongono copiosamente grazie agli algoritmi. Questi ultimi, ogni tanto, vengono sfruttati anche per solerti inserzioni pubblicitarie di test genetici o di centri per l’infertilità. In generale, molto di quello che troviamo in rete, anche per quanto riguarda la salute perinatale, serve a promuovere un prodotto, e di questo occorre tenere conto quando si cercano approfondimenti sulla propria salute o su quella del proprio bambino. Orientarsi in questa babele di informazioni è difficile e un po’ insidioso. Non è sempre banale e immediato distinguere tra una buona informazione e una cattiva informazione, tra una pubblicità e un articolo scientifico, e purtroppo anche quando si parla di salute, un argomento che dovrebbe rimanere fuori dalle logiche di mercato e di consumo. Scegliere le fonti con cura e verificarle è un modo per non cedere a timori e ansie ingiustificati.
Tenere conto dello stato emotivo proprio della gravidanza può aiutare a individuare la giusta distanza tra le nostre domande e le risposte che troviamo in rete, tra le informazioni che ci servono e quelle che invece non fanno per noi. Sappiamo che la gravidanza, soprattutto quando è la prima e quindi tutto ciò che avviene è nuovo, rappresenta un importante momento di trasformazione nella vita di una donna e di una coppia: è un’esperienza complessa perché coinvolge tutto il corpo, la psiche e le relazioni sociali, e la donna ha bisogno di una buona “base sicura” per riuscire a godersi il percorso senza uscirne stremata. In quest’ottica, contenere l’infodemia (cioè la valanga di informazioni, non di rado inappropriate, su salute, malattia e gravidanza) è prioritario. L’effetto stressogeno della disinformazione sulle donne in attesa è stato d’altra parte evidente proprio durante la pandemia di COVID-19.
La “base sicura” è un concetto che solitamente usiamo per descrivere la relazione del neonato e del bambino con il suo caregiver: ha a che fare con lo sviluppo di un legame di attaccamento sicuro, appunto, e con la conseguente possibilità di esplorare il mondo non ancora noto a partire da quella base, sapendo che, in caso di necessità, è sempre possibile tornarvi.
La donna in attesa ha un grande bisogno di individuare le proprie basi sicure, sia dentro di sé sia all’esterno: la corretta informazione, sui media e sui social network, dovrebbe contribuire a questo scopo, e non essere, invece, un ostacolo.
Medico psichiatra e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Si è perfezionata in psicologia clinica perinatale e in linguaggi narrativi e letteratura per l'infanzia e l'adolescenza. Ha un Master Universitario in Disturbi alimentari in età evolutiva e un Master Interuniversitario europeo in Neuroscienze dell'umore. Attualmente è dottoranda di ricerca in Neuroscienze con un progetto sulla salute mentale in epoca perinatale.