Il corpo del bambino non è della mamma o del papà, non è della maestra e non è neanche del pediatra.
Il corpo del bambino è solo del bambino. Quando un adulto si avvicina a un bambino per il cambio del pannolino, per coccolarlo, per giocare con lui, per fargli il bagnetto o per curargli una ferita, entra inevitabilmente, verbalmente o fisicamente nella sfera della sua intimità. E, a volte, si entra in contatto con il corpo del bambino senza la dovuta attenzione, spingendolo, strattonandolo e spostandolo senza motivazioni giustificate: in questi casi il corpo del bambino diventa un oggetto, e da soggetto umano dotato di diritti, si trasforma in un manichino privato della sua personalità. Queste sono le occasioni in cui l’adulto, che dovrebbe avere un ruolo di protezione, conforto e guida, “abusa” della superiorità fisica per imporre la propria volontà.
Il bambino, sin dalla nascita, deve poter distinguere ed essere consapevole della proprietà del corpo, del proprio corpo, in modo da poter essere educato a rispettare sé stesso e a tutelarsi.
Violare e dirigere la mente e il pensiero del bambino è complicato (anche se non impossibile), mentre violare e dirigerne il corpo è relativamente semplice.
Il bambino, a volte, manifesta il proprio disappunto nell’essere spostato, lavato, spogliato senza troppa cura o preavviso, e se tale modalità viene reiterata più volte può succedere che il piccolo si abitui e smetta di protestare, lasciandosi prendere, spostare e dirigere di continuo. In questo caso il bimbo può arrivare a credere che gli altri possano “abusare” del suo corpo a discrezione. Sì, utilizzare il termine “abusare” può sembrare eccessivo, ma siamo certi di volere che nostro figlio non reclami e non desideri proteggere la proprietà del suo corpo?
Quando un bambino compie un gesto irruento nei nostri confronti (una spinta, uno schiaffetto, uno strattone, una tirata di capelli), non abbiamo la sensazione di essere violati? Spesso reagiamo immediatamente, anche con tono infastidito: «Tieni giù le mani!»; «Non ci provare!»; «Dai, lasciami!». Lo facesse un altro adulto, con intenzionalità, non potremmo accettarlo in alcun modo, anzi, probabilmente avremmo il desiderio di denunciarlo!
Nella vita quotidiana di genitori, però, ci sono occasioni, meno forti, in cui volendo educare alle buone maniere in realtà cadiamo in questa dinamica controproduttiva. Per esempio, quando un bambino tenta di ribellarsi a un’invasione del suo spazio da parte di un adulto, o di un altro bambino, spesso esordiamo con frasi del tipo: «Ma dai! Vuole solo abbracciarti!», oppure «Questa signora ti vuole solo dare un bacino, è un’amica della mamma e del papà!».
Il bambino può essere a disagio nel relazionarsi intimamente con un’altra persona e i genitori possono essere combattuti tra il sostenere la presa di posizione del bambino e tutelare la sua privacy, oppure forzare la sua espansività. Cosa è meglio fare quindi? Dovremmo lasciare che i bambini decidano come, quando e quanto aprirsi agli altri, senza forzare, ma invitandoli all’incontro. Le nostre intenzioni sono orientate a socializzare e la gentilezza è una competenza importante da trasmettere. Direi che, in prima battuta, dovremmo ripensare alle nostre interazioni con gli altri adulti. Provate a fermarvi un momento e pensate alla vostra giornata, domandatevi:
Cominciamo a fare da esempio e ricordiamoci che i bambini, proprio come noi, non hanno sempre voglia di entrare in confidenza con tutti. Rispettare il bambino significa anche entrare in relazione con discrezione, gentilezza e cautela, attendendo e accogliendo le sue legittime reazioni di disappunto o preoccupazione, ed educandolo a rispettare il proprio corpo, e quello altrui, attraverso l’esempio. Possiamo aiutare i nostri bambini a leggere l’emotività altrui, per educarli all’empatia e al rispetto dell’altro: «Vedi che non è felice se lo abbracci? Non vuole essere toccato adesso. Se sorride vuol dire che è felice, se non lo fa devi rispettarlo». Per educare i nostri figli in questa direzione dobbiamo prima di tutto fare questo lavoro su noi stessi, imponendoci di essere rispettosi dei nostri bambini, del loro stato d’animo e della loro sfera privata. Tale approccio può essere attuato sin dalla nascita, quando il contatto fisico è molto frequente, importante e inevitabile, anzi raccomandabile. Ma quando coccolare e per quanto tempo fa parte di una relazione in cui il protagonista è anche il bambino.
Durante le pratiche di cura personale del bambino dovremmo cercare di essere molto rispettosi del suo corpo, ricordandoci che è solo suo. Persino a un neonato possiamo comunicare ciò che stiamo per fare: «Ora ti slaccio il pannolino, ti sciacquo e ti asciugo», o «Posso aiutarti a infilare la maglia?», oppure «Ti aiuto a mangiare?», o ancora «Aspetta, provo ad aiutarti a bere. Ti tengo il bicchiere». Ciò ci guiderà anche nell’educazione all’autonomia della cura personale: appena il bambino potrà occuparsi anche solo di una parte del processo di cura di sé, avrà tutto il diritto di poterlo fare. Così un bambino che cammina potrà raggiungere autonomamente il luogo del cambio, potrà sedersi da solo, sfilarsi i calzini e forse anche i pantaloni. Dove il bimbo non può fare da solo a causa della sua immaturità, l’adulto si sostituisce a lui, e dovrebbe farlo con gesti che chiedano «permesso».
Proviamo ora a metterci dalla parte dei bambini e a immaginarci come ci sentiremmo noi se:
Succedesse a noi, ci sentiremmo violati nella nostra dignità? Probabilmente sì, e credo anche che sia facile educare bambini gentili e rispettosi di sé, e degli altri, facendo sperimentare loro il rispetto e la gentilezza sin dai primi mesi di vita.
formatrice, pedagogista e autrice, progetta e coordina servizi per la prima infanzia e svolge corsi di formazione per insegnanti e genitori sulla pedagogia montessoriana. Autrice del libro Qui abita un bambino edito da Uppa Edizioni, cura la rubrica "Tra il dire e il fare" su Uppa.