Sul numero 4/2014 abbiamo pubblicato uno speciale dedicato alla celiachia che ha causato molte polemiche. Abbiamo ricevuto numerose lettere, tutte sullo stesso tono. Ne trascriviamo una (sintetizzata per motivi di spazio) con le risposte degli autori dello speciale che potete leggere qui:
Ho l’urgenza di segnalare un articolo a proposito di celiachia e contaminazione che riporta pericolose affermazioni in merito al fatto che la contaminazione sia una leggenda, quando la contaminazione è il principale motivo per cui tanti celiaci non riescono a normalizzare i propri esami e stanno costantemente male, pur seguendo una dieta a base di alimenti senza glutine.
Si tratta di un’informazione sbagliatissima, dannosissima: se penso alle tante mamme che dopo averlo letto avranno abbassato la guardia e avranno iniziato a contaminare i propri bambini, mi si gela il sangue! La celiachia si vive e si affronta con serenità pur prestando costante attenzione e pur dovendo necessariamente cambiare alcune abitudini, l’unico vero problema è la cattiva informazione che ci crea continui problemi nei rapporti con gestori di locali e con parenti o genitori di amici dei figli.
(Lettera firmata)
La dottoressa Elena Uga, autrice dello speciale di Uppa, d’accordo con il professor Luigi Greco (pediatra e gastroenterologo che da molti anni si occupa di celiachia), risponde così:
La disputa sulle contaminazioni che ha suscitato alcune reazioni, direi molto sentite, purtroppo è una delle questioni che innalzano muri fra pediatri, medici e celiaci stessi. La medicina non sarà una scienza esatta, ma attualmente la scienza medica si basa sulle evidenze e non vi sono evidenze che le famose “contaminazioni” creino danni irreparabili. La stessa AIC (Associazione Italiana Celiachia), nel suo sito, segnala che la letteratura scientifica a riguardo non è univoca e che per raggiungere la tossicità bisognerebbe assumere fra i 10 e i 50 milligrammi al giorno di glutine: questo quantitativo, se assunto per almeno 90 giorni consecutivi, ha un effetto tossico rilevabile sulla mucosa intestinale.
L’obiettivo dello speciale pubblicato su Uppa era proprio quello di far capire che la celiachia non è un’allergia e, seppur resta indubbio che il celiaco non debba mangiar glutine in nessuna quantità e forma, l’assunzione di una briciola non ha mai ucciso nessuno, mentre un approccio troppo rigido può rendere veramente difficile la gestione di una condizione del tutto particolare, che però non è una malattia. Aggiungo che io stessa, pediatra, celiaca e socia AIC, mangio senza glutine dove credo e senza cercar spighe sbarrate, e non ho mai avuto problemi. Il nostro messaggio non voleva essere permissivo, ma semplicemente riportare quelle che sono le evidenze scientifiche e dare gli strumenti per vivere la diagnosi di celiachia con la serenità che merita.
Il quantitativo massimo giornaliero di glutine che oggi si ritiene non dannoso è 10 mg. Si tratta di una quantità estremamente piccola e per questa ragione è consigliabile prestare attenzione nel consumo degli alimenti, per evitare che fonti “nascoste” di glutine possano far raggiungere e superare questa soglia. Sono ancora pochi gli studi che hanno indagato la tossicità di piccole tracce di glutine per il celiaco, ma proprio questo impone a maggior ragione cautela. Secondo alcuni studi, in quasi il 50% dei soggetti celiaci che seguono una rigorosa dieta senza glutine sono presenti lievi lesioni della mucosa intestinale che derivano da contaminazioni inconsapevoli. L’obiettivo del celiaco deve essere, quindi, quello di evitare il più possibile ogni fonte nascosta di glutine, anche se non sempre ciò sarà possibile. Questo atteggiamento non deve diventare ossessivo, ma va vissuto con serenità e consapevolezza.
Con questi obiettivi, la nostra Associazione ha stilato, ha diffuso e diffonde delle semplici linee guida distinte per la famiglia e per gli operatori del settore alimentare. Anche il Ministero della Salute offre alcune indicazioni in merito alla gestione della dieta senza glutine e al pericolo delle contaminazioni nel portale celiachia del sito del Ministero della Salute.
La normativa italiana ed europea sulle informazioni ai consumatori impone l’obbligo di dichiarare la presenza di allergeni negli alimenti, compreso il glutine, se sono aggiunti volontariamente come ingredienti. La dicitura “può contenere tracce di…”, utilizzata da molte aziende, non è normata e non è obbligatorio utilizzarla, anche se c’è un potenziale rischio di presenza di un allergene. L’assenza del termine “glutine” (o frumento, orzo, ecc.) tra gli ingredienti, quindi, non costituisce una piena garanzia per i celiaci circa l’idoneità dell’alimento. Si consiglia perciò di consumare quei prodotti che riportano la dicitura “senza glutine”, che garantisce con certezza un limite massimo di 20 parti per milione di glutine, cioè non più di 20 milligrammi per ogni chilogrammo di alimento.
La contaminazione con glutine di utensili o stoviglie non va trascurata: può rappresentare una fonte di glutine e va evitata con il minimo accorgimento di un corretto lavaggio prima dell’uso.
La ristorazione può rappresentare un rischio per i celiaci, quando il ristoratore non sia adeguatamente formato sulla celiachia.
L’AIC suggerisce di controllare sempre le etichette (per gli alimenti dietetici, da sempre è obbligatorio riportare il profilo nutrizionale) e prestare attenzione nella scelta e nel consumo degli alimenti.
In ultimo, per quanto riguarda le quattro ricette tradizionali riportate nello speciale, segnaliamo che, per alcuni ingredienti, il nostro suggerimento è di verificare sempre la presenza in etichetta del claim “senza glutine”, perché si tratta di alimenti che potrebbero contenere tracce di glutine: amido di mais, fecola di patate, lievito per dolci, cioccolato fondente, cacao in polvere, zucchero a velo, farina di ceci.
Caterina Pilo – Direttore Generale dell’Associazione Italiana Celiachia.
Il prof. Luigi Greco ci fa notare che, in 37 anni, sulla letteratura medica non è stato riportato mai alcun caso clinico che descriva un soggetto celiaco che sia stato male per effetto di “contaminazioni”. La dose minima “presunta” (mai chiaramente dimostrata) di glutine tossico, se assunto giornalmente per 90 giorni (mai per consumo occasionale), è stata definita dal professor Carlo Catassi in 50 mg.
Nessuna stoviglia, strumento, forno, che non sia totalmente infarinato (molto evidentemente) contiene contaminazioni pericolose. La soglia di 20 parti per milione stabilita dalla Comunità Europea è di tipo commerciale, non scientifico; nazioni all’avanguardia come la Finlandia adottano una soglia di 100 parti per milione. Le lesioni residue negli adulti messi a dieta non sono mai ascrivibili a contaminazioni, bensì a complessi meccanismi di immunità cellulare.
Ho letto e riletto e riletto ancora l’interessante articolo di Elena Uga. Non posso che esserle grata perché ho scoperto cose che nemmeno io (medico e celiaca) sapevo. Rientro nella categoria dei diagnosticati in età adulta e sono un soggetto particolarmente sensibile: un contatto anche minimo scatena attacchi di mal di testa atroci e sintomi intestinali inequivocabili. Allo stesso tempo sono ben consapevole che ciò non ha nulla a che vedere con lo shock anafilattico e i rischi che corre chi è allergico. È un fastidio transitorio e che non lascia danni, se non l’antipatico ricordo. Quindi, dall’articolo mi è stato chiaro che per avere un vero danno dovrei consumare un cucchiaino di farina di grano al giorno per 90 giorni. Molto davvero, anche pensando di mangiare quotidianamente fuori in posti dove non fanno attenzione alle contaminazioni.
Come tutti coloro che hanno ricevuto la diagnosi di celiachia ho il buono per acquistare gli alimenti speciali per celiaci. Su questo punto concordo pienamente: i cibi “artificiali” sono tendenzialmente pessimi: intanto perché sono preconfezionati, poi perché contengono molti ingredienti che li rendono “collosi” (olio di palma, nella stragrande maggioranza dei casi, e gomme varie). Mi sembrano indicati per un uso occasionale, mentre sarebbe opportuno puntare sui prodotti naturalmente privi di glutine: riso, mais, miglio, grano saraceno, quinoa, tutte le verdure, tutti i frutti e tutti i legumi e i prodotti di origine animale (per chi li consuma, io sono anche vegana). Infine, vorrei dire che ci sono altri punti da affrontare:
Luisa Mondo
Questa polemica, o meglio questo scambio di vedute, nasce dal concetto di “contaminazione”, cioè l’aggiunta involontaria e incontrollabile di farine contenenti glutine a un piatto consumato da un celiaco. Una “parte per milione” equivale a un milligrammo, cioè a un milionesimo di chilogrammo. Si tratta di milligrammi di glutine, non di farina di grano: il glutine è infatti una proteina contenuta nella farina di grano (e di altri cereali), ma la farina contiene anche molte altre sostanze.
Esistono in commercio molti alimenti confezionati appositamente per essere consumati da soggetti celiaci (biscotti, pasta, merendine, farine per pane e pizza, ecc.), sono contraddistinti dal simbolo della spiga sbarrata e sono dispensati a spese del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta generalmente di prodotti costosi, il cui consumo però può essere facilmente sostituito da alimenti “naturalmente” privi di glutine, reperibili dappertutto, più economici e, come testimoniano gli stessi celiaci, più gustosi.
pediatra, lavora presso l’ospedale S. Andrea di Vercelli e si occupa nello specifico di allergologia, allattamento e ambiente. Dal 2011 collabora come autore per Uppa.
nato a Napoli nel 1947, è laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Neurologia e Pediatria. È professore ordinario di Pediatria alla facoltà di Medicina dell’Università di Napoli Federico II, autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche e uno dei massimi esperti di ricerca in genomica e post-genomica della malattia celiaca, ed è impegnato nella ricerca di nuove terapie per malattie croniche e invalidanti del bambino.