La rivista specializzata «The Lancet Series on Midwifery» definisce l’ostetricia come «assistenza qualificata, competente e compassionevole per donne in età fertile, neonati e famiglie durante tutto il percorso che va dalla gravidanza, alla nascita, al post-partum e alle prime settimane di vita. I suoi obiettivi principali sono l’ottimizzazione dei normali processi biologici, psicologici, sociali e culturali di riproduzione e dei primi anni di vita; la prevenzione e gestione tempestiva delle complicanze; la consultazione e il rinvio ad altri servizi; il rispetto delle circostanze e delle opinioni individuali delle donne, lavorando in collaborazione con le donne stesse per rafforzare la loro capacità di prendersi cura di sé e della famiglia» [1] .
L’ostetricia, dunque, è una disciplina ben definita, che nel corso del tempo ha modificato i propri valori e la propria filosofia, andando incontro alle diverse aspettative delle donne e alle loro richieste. L’importanza di una scelta informata su parto e post-parto (ancor più necessaria in caso di parto gemellare) e del coinvolgimento attivo della donna durante tutto il percorso sono oggi considerati elementi fondamentali, e l’obiettivo è la creazione di una vera e propria “alleanza terapeutica”, in cui siano adeguatamente presi in considerazione i bisogni di salute e benessere della donna e dei suoi familiari.
Da tempo, quindi, si è cercato di superare l’atteggiamento di paternalismo benevolo, per lasciar spazio al principio di autodeterminazione basato sul rispetto di scelte e valori delle singole donne, e concentrandosi piuttosto sugli strumenti necessari per essere una “buona ostetrica” [2] . Questi ultimi sono spesso quelle soft skills (competenze “morbide”, di tipo relazionale) che in passato erano considerate qualità cosiddette “minori”, ma che in realtà hanno un ruolo determinante nell’offrire una risposta adeguata ai bisogni delle future mamme (come ad esempio il confronto e l’informazione a proposito di contraccezione in puerperio, fisiologia del desiderio sessuale e nuove dinamiche e nuova sessualità dopo il parto).
Oggi, nei protocolli di formazione per le ostetriche, è esplicitamente previsto che acquisiscano abilità professionali che consentano di offrire cure «sicure, competenti, gentili, compassionevoli e rispettose».
Chi è, allora, una “buona ostetrica”? Questa definizione viene applicata in letteratura a una professionista che abbia determinate competenze in ambito non solo cognitivo e psicomotorio, ma anche affettivo. La competenza in campo affettivo si manifesta attraverso l’affinamento dell’intelligenza emotiva e dell’empatia, lo sviluppo di una personalità premurosa e la capacità di ricorrere a emozioni e sentimenti come la gentilezza e, soprattutto, la compassione, considerata fondamentale per un’assistenza infermieristica e ostetrica di qualità [4] .
Esistono già diverse ricerche che si occupano del concetto di “compassione” nell’allattamento, mentre ancora poco si è riflettuto sulle caratteristiche specifiche di una cura compassionevole in ostetricia, indispensabile per ridurre l’incidenza di abusi e della mancanza di rispetto dei diritti delle donne in gravidanza e partorienti, situazioni purtroppo ancora molto frequenti, come segnalato a più riprese dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [5] . Ed è sempre l’OMS a fornire indicazioni sul significato di “compassione”, ribadendo come sia proprio la sua promozione a garantire un’assistenza di qualità: la compassione deve essere un «sentirsi insieme, in compagnia di qualcun altro» e al contempo un «agire ed eseguire azioni di gentilezza, per fornire sollievo alla sofferenza o al dolore». Si tratta tuttavia di definizioni generiche, e il modo in cui la compassione si manifesta concretamente nelle cure ostetriche non segue uno standard uniforme, ma differisce da operatore a operatore e muta in ogni singolo contesto sociale e culturale.
In Italia, valorizzare lo strumento delle cure compassionevoli è certamente il primo passo per andare incontro alle necessità manifestate dalle mamme e dalle loro famiglie nei percorsi di gravidanza, parto e post-parto. In che modo? Innanzitutto favorendo una comunicazione efficace e “positiva” tra tutti coloro che partecipano al processo – la donna, il personale sanitario, i familiari. Una comunicazione che funziona migliora gli esiti di tutte le pratiche di assistenza e condiziona in modo significativo l’esperienza della donna, influenzando la sua salute mentale e fisica e la futura relazione con il bambino.
Quanto possa incidere un sostegno attivo e una comunicazione aperta nell’assistenza materna è evidenziato dagli eccellenti risultati che si ottengono garantendo la presenza del partner durante il travaglio: una revisione sistematica mostra che si riducono i tassi di parti cesarei, i parti operativi, l’uso di analgesia e, in generale, i sentimenti “negativi” riguardo alla nascita.
La comunicazione è poi indispensabile per assicurarsi che ogni donna sia consapevole dei propri diritti: la possibilità di scegliere il tipo di assistenza e di parto, la persona da avere accanto, il rispetto della privacy. È quindi compito dell’ostetrica usare un linguaggio che “responsabilizzi” la donna in questo senso, che sia chiaro ed efficace.
“Compito” della donna è invece quello di sentirsi in diritto di esprimersi liberamente senza remore, né filtri. La comunicazione ha una struttura circolare, che coinvolge sia chi fornisce informazioni sia chi le riceve, e nell’ambito delle relazioni d’aiuto “fornitore” e “ricevente” si scambiano continuamente ruolo. Nel dettagli, ecco le fasi che identificano una buona ed efficace comunicazione:
Scegliere le parole da non dire è altrettanto importante che scegliere quelle da usare, e la cura del linguaggio è il primo passo attraverso cui si manifesta il rispetto nei confronti dell’interlocutore.
Niente è più rivoluzionario che l’uso corretto e attento delle parole, che definiscono ciò che siamo in tutte le nostre azioni e relazioni. Andranno quindi maneggiate con cura, in modo che la “comunicazione gentile” diventi il perno del rapporto tra donna e ostetrica, e il punto di partenza per una maternità serena e consapevole.
Ostetrica presso i presidi ospedalieri di S. Donà di Piave (VE), Policlinico Universitario a gestione diretta di Udine e Azienda Ospedaliera e Universitaria di Careggi di Firenze. Nel corso della propria formazione ha approfondito in particolare la fisiologia della nascita, la cultura della sicurezza, gli strumenti della comunicazione efficace in ambito sanitario, l’intelligenza emotiva e il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro.