Se riflettiamo sull’evoluzione del nostro approccio ai giochi dei bambini, è difficile credere a quanto le nostre abitudini siano mutate in appena una generazione. Comportamenti che negli anni ’70 sarebbero apparsi come paranoici, oggi sono la normalità: a nessun genitore, fino a pochi decenni fa, sarebbe passato per la testa di accompagnare fin sull’uscio di scuola i propri figli, oppure di impedire loro di giocare in un prato, così come nessuno avrebbe immaginato di stendere tappeti artificiali nell’area gioco di un parco o di imbottire ogni oggetto: oggi invece questi atteggiamenti rappresentano una conferma delle attenzioni di un buon genitore.
La ragione di quanto sta accadendo, che ha determinato e determina delle modifiche nella nostra percezione dell’infanzia, va ricercata nell’idea errata secondo cui i bambini debbano essere protetti da qualsiasi rischio di farsi male, anche minimo. Ma se è pur vero che evitare pericoli è un’azione coscienziosa e necessaria, una visione esasperata del bambino quale essere estremamente fragile e con un’intelligenza così poco sviluppata da non permettergli di saper valutare correttamente le situazioni di potenziale rischio, è sintomatica di una società in cui si è perduto il senso del reale (tanto da creare, per esempio, il cosiddetto “guinzaglio per bambini“).
Il mondo attuale è, purtroppo, pieno di rischi, non solo fisici, e nell’esasperato tentativo di proteggere i nostri bambini da qualsiasi eventualità non ci accorgiamo che stiamo impedendo loro un sano sviluppo. Il rischio è di crescere generazioni sempre più fragili, tuttavia domandarsi che cosa hanno perso e che cosa hanno guadagnato i nostri figli dalla nostra tendenza all’iperprotezione, aiuta a riscoprire il necessario senso di realtà, il buon senso forse, essenziale in una società ostile al rischio, per riscoprire quelle esperienze che non dovrebbero mancare nella vita di un bambino.
Gli spazi di gioco che l’infanzia di oggi ha a disposizione sono superfici assolutamente pianeggianti, prive di ogni asperità, con strutture che, seppur di aspetto, forme, colori diversi tra loro, ripropongono le stesse possibilità di movimento, con misure standardizzate da una normativa che le rende pressoché identiche. Dovremmo perciò immaginare di ampliare di nuovo i margini di libertà dei nostri figli, per permettere loro di riscoprire esperienze e modalità di gioco che, mettendo in campo competenze specifiche, allenino corpo e mente e li preparino al mondo reale, dove non tutto è ovattato.
Come ha osservato Paolo Mai nel volume Materie intelligenti, «se veramente vogliamo garantire la sicurezza del bambino, la strada peggiore è proprio quella di eliminare ogni situazione di rischio nella sua vita. Un bambino che vive in una superficie piana, con tutti gli angoli arrotondati, che calpesta solo superfici antinfortunistiche, con molta probabilità si farà male non appena sarà fuori da questi contesti. […] Perché invece non diamo loro fiducia? Perché non permettiamo loro di acquisire quelle abilità e competenze motorie ed emotive che saranno il vero e unico antidoto contro il farsi veramente male?».
Che cosa sta succedendo nella nostra società? Perché il grido «Stai attento!» è la reazione automatica più frequente che scatta quando vediamo bambini o ragazzi che compiono azioni, talvolta anche molto semplici, ma che vengono immediatamente percepite come pericolose?
È vero, talvolta possono anche sussistere ragioni per allarmarsi, ma se non c’è un pericolo reale, tale avvertimento può diventare controproducente, perché se è ripetuto incessantemente perde il suo valore, mentre dovremmo riflettere sul peso reale che diamo alla nostra percezione del pericolo, considerando un approccio alla sicurezza che sappia bilanciare i benefici delle esperienze che permettiamo ai bambini.
In natura le attività di gioco comprendono esperienze talvolta rischiose: si tratta di un importante aspetto di crescita che si manifesta tra tutti i mammiferi. Assumersi rischi nel gioco è un comportamento funzionale dal punto di vista evoluzionistico, perché favorisce lo sviluppo fisico e mentale, sia negli animali sia nei piccoli dell’uomo; il vero rischio, evitando ai bambini qualsiasi possibilità di danno per proteggerli, è che si limitino eccessivamente anche gli stimoli importanti per la loro crescita.
È necessario ridare fiducia ai nostri bambini, alle loro capacità, e riconoscere loro un diritto fondamentale: quello di poter giocare liberamente, in spazi dove sia possibile mettersi alla prova. Giocare all’aperto, anche in ambienti un po’ selvaggi, dovrebbe essere una componente essenziale delle azioni di prevenzione che mettiamo in atto. La ricchezza sensoriale, l’ampia gamma di competenze che sono messe in gioco in uno spazio naturale non hanno infatti paragoni: non esiste struttura, palestra o gioco progettato che si possa paragonare al design che la natura mette in campo. Gli ambienti naturali sono interessanti e coinvolgenti, alla componente ludica affiancano sempre quella dell’apprendimento, circondano i bambini di fantasia e colore stimolando la loro capacità immaginativa, sono ricchi di spunti creativi e, attraverso sfide psicologiche e fisiche, aiutano i bambini a sviluppare equilibrio, coordinazione e motricità.
L’ambiente naturale è dunque la migliore palestra che si possa offrire ai bambini: stimola i sensi e propone continue sfide che promuovono la capacità di adattamento, dando al bambino in crescita la possibilità di costruirsi un bagaglio completo di competenze. Essere esposti a una molteplicità di sensazioni e ricevere continue sollecitazioni all’adattamento porta indubbiamente a costruire un sistema neuronale più “allenato” e complesso e, di conseguenza, pone le basi per maggiori possibilità di successo.
Per contro, trascorrere il tempo in ambienti standardizzati, caratterizzati dalla povertà di stimoli, porta l’individuo a un rallentamento progressivo del processo di sviluppo, e determina una sempre minore necessità di progressione la quale, da elemento essenziale per la crescita, diventa un elemento secondario. È lo squilibrio che porta l’individuo a cercare soluzioni per risolvere un problema, generando così un progresso, mentre, al contrario, una situazione di calma e passività non invita alla “tensione evolutiva”.
Il pensiero che guida le nostre azioni educative dovrebbe essere quello di un “approccio equilibrato al rischio” che, nelle pratiche quotidiane, porti a predisporre spazi di gioco e a immaginare proposte che bilancino la sicurezza con altri effetti benefici, offrendo ai bambini possibilità che incidano positivamente sulla loro salute.
Lo scopo non dovrebbe più essere quello di eliminare completamente ogni eventualità di rischio, ma quello di fare corrette valutazioni tra rischi e benefici. È bene permettere attività di gioco complesse, offrire varietà di ambienti, rendere accessibili occasioni di sfida delle proprie capacità e di sperimentazione delle abilità acquisite, concentrando le nostre attenzioni di adulti sulla valutazione dei pericoli reali, senza escludere a priori la possibilità di sperimentare in nome del «potrebbe accadere che…».
Affinché ciò accada occorre anche che ci si renda conto che non tutte le situazioni sono fonte di vero pericolo, sfuggendo alle possibilità di controllo fino a portare a danni irreparabili: la maggior parte delle occasioni di gioco in cui i bambini si sperimentano altro non sono che azioni che comportano una certa dose di azzardo, che può però essere calcolata e conteggiata nelle previsioni.
Perché se i bambini sono inclini a giocare in modo rischioso, sono anche molto bravi a stimare le proprie capacità ed evitare rischi che non sono pronti a correre, fisicamente o emotivamente.
Nelle scelte che noi adulti facciamo per loro occorre non lasciarsi comandare dalla paura, consapevoli dell’importanza evolutiva del rischio e della sua componente educativa, poiché preparerà il bambino a percepire e contenere il pericolo quando ne avrà davvero bisogno.
Crescendo bambini capaci di cavarsela da soli anche in situazioni difficili, avremo futuri adolescenti capaci di affrontare da soli il mondo; non possiamo pensare di essere sempre al loro fianco per spianare la strada da eventuali ostacoli, sorvegliando i loro passi per un tempo illimitato, costruendo intorno a loro armature che li proteggano: possiamo però adoperarci per dare loro gli strumenti giusti per misurarsi con la complessità del mondo di domani.