Molti anni fa, c’era un paese contadino della Bassa Padania. Si chiamava Piadena. A Piadena c’era una classe elementare di soli nove bambini, a cui era stata assegnata un’aula vuota di 4 metri per 5, una specie di carcere senza luce. Il paese sbagliato di Mario Lodi racconta la storia di questa classe, del suo percorso di liberazione e di crescita.
È una storia fatta dalle parole dei bambini, dalle loro innumerevoli conversazioni, sempre sollecitate per imparare a esprimere e a organizzare il pensiero, a comunicarlo agli altri.
Parole di confronto e discussione che sempre preludono al fare, ma, soprattutto, al fare insieme. Parole che mutano l’esperienza di ognuno in esperienza di tutti, che trasformano la realtà in poesia, in teatro, in musica, in mille disegni colorati. Parole che liberano le mente e abbattono confini. E senza confini tutto diventa scuola, anche i canti improvvisati di Lorena che un giorno, in seconda elementare, arriva a scoprire che la musica si può scrivere e che le note musicali hanno un’altezza. Così, «per mettere a posto i suoi canti», insieme ai suoi compagni, disegna delle righe e scrive le parole, ciascuna su una riga diversa e, insieme, cantano.
Nella piccola classe di Piadena s’impara che la Natura è un libro straordinario e che a guardare un fiocco di neve si scoprono mondi infiniti. S’impara che l’osservazione è la base del pensiero scientifico e che ogni cosa, per essere compresa, ha bisogno di essere guardata, misurata, comparata alle altre. Le scoperte non finiscono mai e la meraviglia si rinnova ogni giorno. Si misurano le piantine di grano che crescono, il fagiano morto portato in classe, i banchi, l’aula e la scuola, si studia l’aria calda che sale e il vento che porta le voci e il cuore che batte. Non ci si stanca di ordinare, catalogare, studiare, tutto è sottoposto a un’interpretazione: si costruiscono tabelle per i fiori del prato, per le paghe degli uomini che lavorano nella cascina, per i sistemi di riscaldamento usati nelle case, per i cibi che si mangiano ora e si mangiavano in passato.
E poi, ancora, di ogni conoscenza si fa esperienza: si costruisce una mongolfiera, si disegna la pianta in scala del paese, si scrive un documentario, un film, il giornale di classe. Si scrivono lettere a tutti, ai maestri e ai compagni delle altre scuole, al sindaco, al ministro, al presidente degli Stati Uniti, al papa e s’impara a esprimere in modo democratico il proprio dissenso rispetto alle decisioni pubbliche. Così la vita entra nella scuola e la rende viva.
Il lavoro di gruppo è il metodo privilegiato, tutto ha una collocazione unitaria, d’insieme. Nulla inizia e finisce con se stesso.
E intanto la curiosità, l’intelligenza, la capacità di pensare dei bambini mettono radici profonde, durature.
Quando Mario Lodi scrisse questo libro era il 1970. Sono passati tanti anni da allora ma queste pagine mantengono intatta la portata rivoluzionaria delle loro proposte. Raccontano di qualcosa che poteva essere e non è ancora stato: una scuola per tutti, edificata sui valori della nostra Costituzione. Una scuola capace di formare dei cittadini uguali, liberi e solidali.