Negli ultimi 10 anni le risorse della scuola pubblica sono state tagliate senza alcun pudore. Ormai lo sanno tutti. Nel giro di pochi anni le sono stati tolti 7 miliardi di euro e 150 mila operatori. L’unica voce che si è salvata da questa distruzione è stata quella che riguardava il settore tecnologico, o meglio, il settore della didattica digitale.
Si è incominciato qualche anno fa con la cosiddetta LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) da far pervenire praticamente in tutte le scuole italiane. Avrebbe dovuto sostituire la lavagna tradizionale d’ardesia e introdurre, nella gestione delle lezioni frontali, elementi di arricchimento legati all’utilizzo di fonti non strettamente libresche. Una LIM costa in media 2000 euro, più le spese di installazione e di connessione, senza considerare la manutenzione. Ma la LIM vuole essere solo il primo passo. L’obiettivo ambizioso è quello di creare le cosiddette classi digitali, ossia LIM, tablet, connessioni e arredamento coerente con il nuovo ambiente.
Erano 416 le classi di questo tipo nell’anno scolastico 2012/2013. Il traguardo auspicato è quello di sostituire l’apparato didattico basato sul cartaceo, specialmente i libri, con un apparato didattico basato unicamente sugli schermi e sulle tastiere.
Una prospettiva che non porterebbe alcun risparmio. L’incredibile velocità con cui le tecnologie digitali cambiano, creerebbe un bisogno continuo di rinnovamento e di adeguamento in termini di strutture e di programmi che renderebbe difficile restare sempre al passo coi tempi. Se anche il problema non fosse questo e si dovesse andare verso la sostituzione della scuola libro-biro con la scuola tastiera-schermo, resterebbero comunque una serie di questioni non sormontabili.
Occorre ragionare in termini pedagogici e in termini di apprendimento. Ossia ancora una volta non tanto e non semplicemente chiederci qual è l’ultima moda, ma cosa possiamo fare per aiutare le nuove generazioni a imparare adeguatamente. Un dato assolutamente sorprendente riguarda proprio i fondatori dei grandi sistemi di connessione digitale, quelli che hanno inventato Wikipedia e Google. Da quali scuole arrivano? Nel numero di settembre 2011 la rivista Wired, che come dice il nome è per antonomasia la rivista dei fautori del digitale ovunque, rivelò che Larry Page e Sergey Brin (fondatori di Google), Jeff Bezos (inventore di Amazon), Jimmy Wales (creatore di Wikipedia) avevano in comune una caratteristica: provenivano dalle scuole montessoriane, dove il primato è totalmente della sensorialità pura e semplice, del toccare, del vedere, del sentire, dell’esperienza diretta e dove ancora elementi come i videoschermi risultano quasi inesistenti.
Cosa vuol dire? Per arrivare nella vita a una buona realizzazione personale bisogna passare la propria infanzia e il proprio tempo di apprendimento in contesti di esperienza diretta dove tutta la sensorialità viene sviluppata attraverso processi di libera scelta e di forte sviluppo delle creatività personali, partendo da problemi concreti. Niente di più diverso dalla virtualizzazione crescente a cui si vorrebbero sottoporre i bambini con l’uso di tablet fin dai primissimi anni di vita.
Dunque, per arrivare ad essere dei geni creativi del nuovo mondo digitale bisogna aver trascorso l’infanzia fuori dal mondo digitale. Ecco cosa ci dice l’esperienza di questi guru dell’informatica ed ecco quello che devono sapere i genitori per evitare una trappola che sembra soddisfare quel certo narcisismo delle famiglie, quel bisogno di vedere i propri figli sempre più avanti e, in un certo senso, sempre più consumisti.
Due ricerche recentissime hanno contribuito a sgombrare il terreno da facili illusioni. La rivista Mente e cervello, nel maggio 2013, riportava una serie di ricerche sviluppate in Francia, Inghilterra e Stati Uniti in cui venivano comparati i risultati dell’apprendimento realizzato su tastiera con quello realizzato con la comune biro o matita. Questi studi convergono su un’idea molto semplice, che la scrittura a mano, nella logica tradizionale dell’incidere il foglio con la penna, permette un coordinamento di motricità fine con componenti neurofisiologiche assolutamente uniche e che la tastiera non è in grado di garantire, al punto che i temi scritti a mano libera dai bambini delle scuole elementari risultano nettamente migliori rispetto a quelli che gli stessi alunni scrivono con la tastiera.
Secondo questi studi, la scrittura con la penna consente un apprendimento e uno sviluppo delle capacità migliori rispetto alla tastiera: redigendo i testi a mano libera i bambini gestiscono meglio il percorso che porta dai pensieri sciolti alla frase compiuta, dal punto di vista grammaticale e dei contenuti; inoltre, la scrittura a mano libera agisce anche come propulsore della memoria. In altre parole, come sosteneva più di un secolo fa Maria Montessori, in età infantile l’apprendimento è sempre connesso a esperienze tattili e sensoriali, a operazioni concrete e il più possibile basate sulla libertà di scelta.
Un’altra ricerca si sposta dal terreno infantile a quello più generale. Nel gennaio 2014 la rivista italiana Le Scienze, pubblicava un articolo in cui venivano riportate varie ricerche dove si rivelava la maggior facilità di lettura sul supporto cartaceo rispetto allo schermo: nei bambini di cinque anni i circuiti cerebrali dedicati alla lettura si attivano quando provano a scrivere lettere a mano, ma non quando premono i corrispondenti tasti su una tastiera. L’elemento più interessante è che viene confermata l’ipotesi che sostituire la carta con uno schermo già in tenera età comporti svantaggi difficili da recuperare e che la lettura su cartaceo favorisca l’apprendimento molto più di quella su video. Il cervello preferisce il cartaceo per leggere in maniera efficace.
Cosa possono fare allora i genitori? In che modo gestire una situazione che appare sempre più complessa e il senso d’impotenza cresce di fronte all’enfasi data da tutto e da tutti sulla necessità di portare in qualsiasi ambiente un video schermo con cui collegarsi? Come tutelarsi da un’invadenza commerciale volutamente cinica e arrogante? La scuola è una comunità sociale e non una comunità digitale: il vantaggio della scuola è di avere una classe di individui in carne e ossa che necessariamente devono entrare in relazione per sviluppare processi interattivi di apprendimento.
Non va dimenticato che l’imitazione è la base dell’apprendimento e che stare in un contesto sociale ci permette di raggiungere più facilmente gli obiettivi che ci siamo preposti. Perciò la scuola deve valorizzare al massimo non tanto la virtualità tecnologica, quanto il continuo, inesauribile, creativo confronto fra gli alunni, gli insegnanti e fra gli insegnanti e gli alunni stessi. In altre parole una classe va gestita come un’entità sociale e non come un insieme di singoli individui più o meno capitati lì per caso; questa entità sociale è una risorsa per la didattica, nella logica della cooperazione, del lavoro di gruppo e dell’imitazione.
Insistere sulla scuola digitale significa prefigurare l’inutilità della scuola: se quello che conta è stare connessi a un tablet, a un video schermo o anche a una LIM, fra breve potrebbe non essere più necessario andare fisicamente a scuola. Così gli economisti avrebbero chiuso il cerchio: non solo sarebbero riusciti nella malsana idea di risparmiare proprio sulla scuola, invece che sugli sprechi che ovunque registriamo, ma addirittura avrebbero abolito la scuola stessa in quanto comunità sociale di apprendimento che si organizza nella logica del lavoro comune. Per restare connessi a un video non è necessario essere presenti a scuola. Se questo è il vero obiettivo dei fautori della scuola digitale, non c’è che da preoccuparsi per i nostri figli.
Allora come possono le nuove tecnologie aiutare a vivere meglio la scuola, senza trasformarla in un ulteriore e penosissimo momento di nozionismo e di giudizio? Bisognerebbe valorizzarle non per sostituire l’impianto socio-didattico-cooperativo, ma per sostituire il momento nozionistico. Se riusciamo a valorizzare la presenza di questi strumenti in modo intelligente, possiamo finalmente liberare gli studenti da quella che è la necessità strettamente memorizzante e nozionistica: questi contenuti e queste conoscenze spicciole possono essere ricavati dalle nuove tecnologie, liberando la comunità scolastica dalle incombenze più routinarie e banalizzanti, ed esaltando la scuola come luogo di costruzione della conoscenza, della cultura, della ricerca, sempre, ovviamente, nella valorizzazione del gruppo e della socialità.
Se le nuove tecnologie ci libereranno dall’ossessione nozionistica, finalmente gli alunni potranno, insieme ai loro insegnanti, concentrarsi sull’apprendimento generato dal poter e dal saper affrontare problemi creativi. Se riusciamo a fare questo passaggio, se anche i genitori, invece di subire l’invadenza del marketing digitale faranno sentire la loro voce, si potrà costruire un futuro dove i ragazzi andranno a scuola per imparare qualcosa di nuovo, di inedito, per scoprire, per cercare, piuttosto che sorbirsi, invece del vecchio libro di testo, lo stesso vecchio libro di testo ma su supporto digitale.