Sirio Persichetti non è un “angelo”, non è un “bambino speciale”, ma è una persona. Un bambino di 7 anni, con un nome e un cognome che rivendica di poter usare. Sua madre e suo padre non sono “genitori coraggio” o “scelti dal cielo” per affrontare una “prova che nessun altro potrebbe sopportare”, ma sono persone, che si chiamano Valentina Perniciaro e Paolo Persichetti. Sirio, Valentina e Paolo sono individui che fanno parte di una famiglia e come tali hanno deciso di raccontare la loro storia, che si intreccia con quella della grave disabilità di Sirio.
Sirio è nato prematuro e, dopo un periodo trascorso in terapia intensiva, è stato dimesso dall’ospedale in anticipo rispetto ai tempi previsti, perché pareva stare bene. Poi la situazione è precipitata: Sirio è stato rianimato, ma ha subito un danno cerebrale che gli ha causato una tetraparesi. A dispetto delle previsioni che lo vedevano trascorrere i suoi giorni in stato vegetativo, Sirio oggi cammina, respira grazie a una tracheostomia e parla attraverso un tablet. Va a scuola, dove sta imparando a leggere e a scrivere e dove può socializzare con gli altri bambini. E, aiutato dalla madre, racconta la sua quotidianità attraverso il web e i social media, senza rinunciare al divertimento, ai sorrisi e all’ironia che dovrebbero essere parte della vita di tutti i bambini e di tutte le persone. “Tetrabondi” è il nome che la famiglia di Sirio ha scelto per raccontarsi: unisce la parte iniziale di “tetraparesi” e il concetto di “vagabondare”, perché la sua quotidianità dimostra che non si tratta di un ossimoro, ma di qualcosa di possibile, pur tra le molte e innegabili difficoltà.
L’esperienza di Sirio e della sua famiglia – oltre a papà e mamma c’è anche il fratello maggiore Nilo – contribuisce ogni giorno a scardinare la retorica sulla disabilità e ha di recente attirato l’interesse di prestigiose testate giornalistiche di tutto il mondo.
Abbiamo deciso di parlarne con la madre, Valentina Perniciaro, da cui è partita l’esigenza di raccontare e raccontarsi. «Questa esperienza – ci ha detto – nasce, innanzitutto, dal bisogno e dal desiderio di raccontare la propria storia, ma anche dalla necessità di colmare un vuoto. Avvertivamo il bisogno di parlare della vita delle persone con disabilità, ma soprattutto dei bambini con disabilità. Nel racconto della vita di queste persone si avverte spesso un pietismo che riteniamo insopportabile. Si parla di “bimbo speciale” o di “angelo”, sottolineando come riesca a sostenere una vita che viene presentata come fatta esclusivamente di sofferenze e priva di speranza. Di fatto, si tratta di un modo per privare questi bambini di una voce. Attraverso appellativi del genere, si toglie loro persino il diritto ad avere un nome».
Il primo passo è stato, innanzitutto, un cambiamento totale di paradigma: «Abbiamo cercato di rovesciare questo tipo di narrazione, in modo da raccontare la disabilità per quello che veramente è, avendo il coraggio di dire che si tratta certamente di una grave sfortuna, che può avere un impatto devastante su una vita, ma non per questo la annienta. E quindi abbiamo preso la decisione di raccontare la quotidianità di un bambino, per rivendicare il suo diritto inalienabile a una presenza nel mondo».
«Le persone con disabilità – continua – sono protagoniste delle loro vite e hanno il diritto di affermarlo. Per esempio, hanno il diritto di narrarsi in prima persona, anche bambine e bambini, senza la mediazione di un adulto che, accarezzandone il capo, parli al loro posto. Si tratta di persone che possono avere una grande voglia di vivere ed è importante offrire loro un microfono con cui far sentire la propria voce, raccontare di sé personalmente, parlando di una vita nella quale si può senza dubbio aspirare al raggiungimento della felicità, attraverso le emozioni, il divertimento, i colori… tutto ciò che di solito porta gioia ai bambini».
Com’è oggi la vita delle persone con disabilità in Italia? «La condizione della disabilità nel nostro Paese rimane molto difficile», sottolinea. «Chi nasce con una grave disabilità si trova continuamente davanti a una montagna di ostacoli da scalare. Ecco perché uno degli obiettivi del nostro impegno è quello di fare rete. La vita delle persone con disabilità richiede spesso un costante aiuto domiciliare. Per esempio, noi abbiamo dovuto combattere con tutte le nostre forze per vedere garantita a nostro figlio la necessaria assistenza domiciliare, che è un suo diritto imprescindibile. Secondo le prescrizioni dell’ospedale, mio figlio ha diritto a 12 ore di assistenza domiciliare e cure infermieristiche, ma in questi anni abbiamo sempre dovuto scontrarci con il gioco al ribasso delle ASL, che ce ne proponevano 2, un numero assolutamente inadeguato».
Ma Valentina Perniciaro rimarca anche l’importanza di scardinare la retorica dell’eroismo dei singoli genitori: «Nella nostra quotidianità – afferma – non c’è niente di “ordinario”, ma tutto quello che siamo riusciti a ottenere per garantire momenti di serenità e di gioia a Sirio è stato dovuto al fatto di non essere soli. Anche la narrazione stereotipata che vede nei genitori dei bambini con disabilità degli esseri straordinari che possono tutto non rispecchia assolutamente la realtà dei fatti, perché l’aiuto e l’assistenza sono necessari ed è per questo che noi abbiamo scelto di chiedere senza remore di non lasciarci soli. Serve, quindi, una rete enorme che consenta di fare un buon lavoro, come quello che è stato fatto con Sirio, che deve tutti i suoi progressi all’eccellente équipe che lo segue».
Ancora troppo spesso accade che molti diritti restino solo sulla carta e che la differenza tra la teoria e la pratica sia netta e stridente: «Il nostro Paese sarebbe all’avanguardia rispetto agli altri Stati, compresa, per esempio, la Francia, della quale si ammira spesso il welfare. L’inclusione scolastica garantita in Italia, per fare un esempio, non ha eguali negli altri Paesi, dove i bambini con disabilità sono confinati in “classi ghetto” oppure, nel caso di quelli gravi come Sirio, non hanno proprio accesso alla scuola e fanno didattica all’interno dei centri di riabilitazione, senza sentirsi mai pienamente parte della collettività. Ma questa situazione viene spesso ridimensionata nella vita di tutti i giorni, perché molti diritti rimangono pura teoria o vengono ottenuti al prezzo di costanti lotte con ostacoli di ogni tipo. Noi possiamo dirci fortunati perché Sirio va a scuola e lo fa con l’assistenza di un’infermiera che lo accompagna, poiché nel suo caso non sarebbero stati assolutamente sufficienti l’insegnante di sostegno e l’assistente, che oltretutto spesso non coprono neppure l’intero periodo dell’anno scolastico, per i noti problemi della scuola italiana».
Molto spesso mancano figure chiave per la piena realizzazione dell’inclusione: «Sicuramente in Italia c’è bisogno di potenziare il sostegno scolastico, che è fondamentale. Gli assistenti alla comunicazione sono pochissimi e mancano nella quasi totalità dei casi, e una simile carenza crea a questi bambini problemi nella socializzazione e nella manifestazione della propria personalità e del proprio vissuto interiore», conclude Valentina Perniciaro.
Parlandoci attraverso i molteplici canali che ha trovato, Sirio, insieme alla sua famiglia, ci ricorda che tanto resta ancora da fare e la sua voce rappresenta una chiamata alla responsabilità per tutta la collettività.
Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.