Il cartone animato della generazione touchscreen (i bambini nati dopo il 2007, anno di diffusione dei primi smartphone) è sicuramente quello che gli inglesi, con immancabile sense of humor, hanno chiamato Peppa Pig.
Un nome azzeccato ed efficace che rimbalza allegramente sulla bocca di tutti, genitori, nonni e bambini, dai 6 mesi ai 66 anni, quasi un codice comunicativo per entrare in connessione con la cosiddetta lallazione (di cui abbiamo parlato in questo articolo), quando i più piccini cominciano a produrre sillabe a ripetizione con le prime consonanti, la “m” di mamma, ma anche la “t”, la “d” e, soprattutto, la “p” di “pa-ppa” e di “pa-pà”. Ecco perché, subito dopo, arriva lei, la “pe-ppa” dei nostri tempi. Il primo segreto è dunque questo, un nome che funziona o, come diceva Oscar Wilde, citato nel titolo di questo post, che “procura delle vibrazioni”, con un suono che scalda il cuore a sentirlo pronunciare.
Tutti i bimbi cominciano a vibrare nel loro primo ballo quando parte il loop di note della frenetica sigletta che incornicia episodi brevi, tarati sul giusto intervallo di concentrazione di un bambino così piccolo e sul tempo di carico di una lavatrice, per esempio, qualora si volesse indagare anche questo tipo di risvolto pratico. Piccole pause per rifiatare senza sentirsi in colpa, essenziali per una mamma che in cinque minuti riesce a riconquistare la solitudine del bagno. Un sereno relax con Peppa Pig, programmata per ricominciare un attimo prima che il bambino stesso possa chiederlo, un pacchetto di episodi brevi tenuti insieme dall’inesorabile sigla a soddisfare il più importante dei requisiti: la ripetitività, in un’età insaziabile, in cui le richieste di bis sono potenzialmente infinite.
Molti si sono chiesti in questi ultimi mesi il perché di tanta peppamania. Genialità del nome a parte, i motivi si possono analizzare e sono semplici.
Peppa Pig è nata in Inghilterra nel 2004. Arrivata in Italia nel 2010, è il primo cartone modello Ikea che propone il mondo edulcorato del cake design, un fai da te sognante, monotono e ripetitivo. L’arredo, le cornici al muro, il tavolo, il letto a castello in ferro laccato della cameretta, persino il dinosauro di pezza, giocattolo preferito di George, è un must della famosa catena svedese. Non ci sono giochi elettronici, ma se manca qualcosa, Mamma e Papà Pig la ordinano via Internet. Peppa e il fratellino giocano con le cose semplici che hanno a disposizione, persino il saltellare nelle pozzanghere nell’era dell’iPad, è un tornare alle origini e ai giochi di strada di un tempo.
Infine, i grugniti. Devo ammettere che qui mi fermo, ma sono 3 gli elementi che fanno di Peppa una maialina: il naso, il verso, il fango, e guarda caso sono proprio le cose meno gradevoli di tutta la storiella, edulcorata, dolciastra, ma dolcemente irriverente. “Il grugnito arriva dalla colonna sonora internazionale”, mi spiega Tatiana Dessi, la doppiatrice che ha dato l’anima a Peppa e che all’inizio non avrebbe mai scommesso sull’esito brillante e fortunato della nuova serie animata. Da circa 4 anni, Tatiana e gli altri doppiatori della famiglia Pig lavorano in isolamento e non più insieme come agli inizi, quando avevano tutta l’energia e l’assetto di un Quartetto Cetra. Si chiama “colonna separata”. Così, ciascuno di loro, in un solo turno, riesce a registrare episodi per non so quante puntate: “da soli si macina di più che in compagnia, non hai motivi di distrazione, chiacchiere o commenti, e le righe da leggere scorrono velocemente”.