Negli ultimi anni nel corso della gravidanza viene dato sempre più spazio alla decisione fatidica del dove andare a partorire. Si sono moltiplicate le offerte strutturali e organizzative da parte degli ospedali, tanto che gran parte di questi si sono in qualche modo specializzati offrendo parto in acqua, parto “dolce”, parto in analgesia, ecc. A queste offerte si aggiungono quelle delle organizzazioni per il parto a domicilio, in numero sempre crescente, e il fiorire delle Case da parto. Può risultare davvero difficile per una coppia riuscire a orientarsi tra le tante offerte e arrivare a decidere in modo cosciente e obiettivo cosa per loro sia meglio (a tal proposito, vi consigliamo di seguire il nostro corso preparto online).
In Italia, nel 1932 partoriva in ospedale una donna su venti; nel 1958 una su tre e nel 1990 più del 99% dei parti è avvenuto in ospedale: questo ha permesso una forte diminuzione dei problemi connessi al parto (per la madre e il neonato), ma ha dato il via anche a un’eccessiva medicalizzazione che snatura e disturba un evento che di per sé è naturale e fisiologico. Da qui la richiesta crescente di una maggiore libertà e partecipazione da parte della coppia e di un’assistenza al parto che dia più spazio alla libera espressione degli aspetti relazionali e alla componente emozionale dell’evento. Proprio per soddisfare questo bisogno, dagli anni ’80 si sono moltiplicate le esperienze alternative, dal recupero del parto domiciliare alla creazioni di spazi più o meno protetti.
Si tratta di realtà fra loro anche molto diverse: ne esistono di private e di pubbliche, possono essere localizzate all’interno dell’ospedale o all’esterno, ed essere a questo funzionalmente collegate o no. Quando sono realizzate all’esterno di una struttura ospedaliera in genere assumono una valenza più vicina al parto a domicilio; all’interno dell’ospedale sono invece strutturate cercando di unificare tutto il percorso travaglio-parto-postpartum in ambienti che risultino quanto più possibile simili a una camera da letto, mimetizzando quanto di tecnologico può essere necessario avere a portata di mano.
La filosofia che le sostiene è di offrire alla donna e alla coppia la massima libertà di scelta e di movimento, in uno spazio protetto e rassicurante, una via di mezzo tra la casa e l’ospedale: lontane, come a casa, dagli eccessi della medicalizzazione che spesso l’ospedale comporta, ma con una sala operatoria e una terapia intensiva neonatale accessibili facilmente. L’opportunità o meno di scegliere queste strutture per il parto quindi è legata all’andamento della gravidanza: appositi protocolli di screening individuano le gravidanze fisiologiche che possono accedere in sicurezza a questi spazi.
Da tempo si è chiaramente delineato anche il desiderio di poter tornare a partorire in casa (in questo articolo, la testimonianza diretta di una mamma a proposito di questa esperienza). Per questo sono nate numerose organizzazioni (prevalentemente private, ma non solo), che assistono il parto della donna al suo domicilio. Per quanto riguarda il vissuto della donna e della coppia (in questo caso anche il ruolo del padre risulta decisamente amplificato) si tratta sicuramente della scelta che offre il massimo dell’intimità e del coinvolgimento affettivo relazionale: nel proprio ambiente, nei propri spazi, senza forzare le proprie abitudini, il parto risulta un momento collocato all’interno della propria vita, in un fluire di continuità, e non un qualcosa che si pone al di fuori, un periodo di sospensione: ricordiamo che partorire in ospedale vuole spesso dire rinunciare ai propri ritmi, agli orari (sveglia alle 6, pranzo alle 12…), addirittura al nome (“la 25 vorrebbe…”), insomma alla propria identità.
Non pochi però gli ostacoli che si incontrano sul cammino del ritorno a casa: difficoltà ambientali, strutturali, ma anche storiche e politiche. I costi che questo tipo di parto in genere comporta e la necessità di operare drastiche selezioni sulle gravidanze che possono o no accedervi, rendono questo percorso praticabile solo da una fascia di popolazione molto ristretta.
Di pari passo si stanno moltiplicando le iniziative per umanizzare e personalizzare il parto all’interno della struttura ospedaliera stessa. Sono ormai diffuse più o meno su tutto il territorio nazionale le strutture, ancora una volta pubbliche e private, che offrono la possibilità del parto in acqua, del parto attivo, o della nascita dolce. Ma si allarga anche il fronte del parto in analgesia: sempre di più gli ospedali pubblici che oggi consentono di scegliere il parto in analgesia epidurale. Differente può essere anche il trattamento riservato al neonato: in nursery o con la madre (rooming in).
D’altra parte però vi è il rischio che la rincorsa alla scelta dell’ospedale giusto possa anche questo essere un elemento di distrazione dagli aspetti più intimi dell’evento nascita, riversando sulla struttura un carico eccessivo di aspettative che dovrebbero essere invece collegate al proprio coinvolgimento emotivo, più che ai muri della stanza in cui si partorisce. Se è vero che un certo tipo di assistenza può favorire o meno tale coinvolgimento, è anche vero che l’investimento sulla scelta della struttura, se esasperato, rischia di portare a una delega («ho scelto l’ospedale giusto, dovete far sì che ora vada tutto bene, tutto bello come mi aspetto che sia»), a una mancata assunzione di partecipazione responsabile verso il proprio parto e quindi, alla fine, alla ricerca di un modello ideale di parto che quasi mai corrisponde alla realtà e che risulta quindi ad alto rischio di delusione.
È quindi naturale e ovvio informarsi sulle possibilità offerte, cercare di scegliere coscientemente rispetto alle proprie aspettative e ansie (bisogno di intimità e/o bisogno di sicurezza), ma evitando di caricare su tale scelta tutto il valore del parto.
Parto in acqua: il corpo della donna è immerso in una vasca con acqua a temperatura tiepida (tra i 25° ed i 30°), che può accogliere anche il padre o chiunque la donna desideri avere accanto, e in cui la donna può rimanere per tutto il travaglio e il parto (alcune donne preferiscono condurre in acqua solo il travaglio e poi, al momento del parto vero e proprio, uscire dalla vasca e partorire sul lettino).
L’immersione nel liquido caldo sembra ridurre la sofferenza dovuta alle contrazioni, probabilmente per un effetto “distraente” del cervello dalle sensazioni dolorose determinato dallo stimolo tattile che l’acqua esercita sulla pelle, ma anche per la maggior libertà di movimento che ha la donna in acqua, dove la minore gravità aumenta la possibilità di modificare le posizioni durante il travaglio.
Le condizioni di salute del feto sono seguite con uno speciale rilevatore subacqueo del battito cardiaco, applicato al ventre della madre. Al momento del parto l’acqua viene portata alla temperatura del corpo materno, appena nato il bambino rimane per qualche secondo sott’acqua, poi emerge e inizia a respirare.
Secondo alcuni studi il rilassamento muscolare indotto dall’acqua farebbe anche diminuire il rischio di lacerazioni, portando quindi a una riduzione dei danni al perineo. Ricerche condotte in tutto il mondo hanno messo in luce che madre e bambino, nascendo col parto in acqua, non corrono alcun aumento di rischio di infezioni.
Parto attivo: si intende con questo termine il dare appoggio e sostegno alle donne e alle coppie in tutto il percorso che porta alla nascita, promuovendo il ruolo attivo e decisionale dei genitori, facilitando la possibilità di fare scelte informate, sicure e responsabili. La gestione della gravidanza, del parto e del puerperio fisiologico, in ospedale e a casa, è affidata all’ostetrica, operatore in grado di offrire in autonomia la continuità di una assistenza personalizzata.
Nascita dolce: privilegia l’ascolto della coppia, l’affettività e l’intimità permettendo la totale espressione dei rituali della nascita, attraverso il respiro, il rilassamento, le posizioni libere, i massaggi, le carezze e l’acqua. Vengono eliminati tutti gli elementi di disturbo per la coppia e il neonato, come possono essere le luci troppo forti, i rumori, la temperatura non adeguata.
nata a Torino, dopo aver lavorato come restauratrice di dipinti, si laurea in Ostetricia nel 1999. Da allora lavora a Firenze, dove promuove una gestione meno invasiva e medicalizzata del parto. Partecipa all’apertura del primo centro nascita italiano, pubblico e a completa gestione ostetrica: la Margherita, dove lavora per sette anni.