Il mal di gola nei bambini (faringite, faringotonsillite) è causa frequente di visite pediatriche e di prescrizioni antibiotiche: gola rossa, tonsille e ghiandole del collo gonfie e dolenti, placche in gola, febbre, mal di testa e tosse.
Eppure è una malattia benigna, che in genere si risolve da sola in cinque/sette giorni e che, nonostante la febbre, non si cura con gli antibiotici, perché nella maggior parte dei casi è provocata da virus. Spesso infatti è accompagnata anche da raffreddore e tosse.
Si sa, per i virus non abbiamo terapie, possiamo solo affidarci alle capacità di difesa del bambino e la febbre, per esempio, è una delle armi di difesa più efficaci: in un colpo solo fa “arrosto” il virus intruso e trova più in fretta l’anticorpo giusto per eliminarlo, la temperatura elevata infatti accelera tutte le funzioni, anche quella immunitaria (è anche la causa dell’acetone; ne parliamo in questo articolo).
La febbre non va azzerata a tutti i costi, è bene cercare di ridurla solo quando dà fastidio al bambino e solo di quel tanto che gli serve per poterci convivere in maniera accettabile fino a che l’episodio non si risolve (3-5 giorni). Va da sé che l’antipiretico aiuta anche a ridurre l’entità del mal di gola.
Quando la causa del mal di gola è un batterio, spesso sono visibili placche in gola sulle tonsille e c’è febbre. Il batterio più frequentemente isolato è lo Streptococco Beta-emolitico di gruppo A: il famigerato SBEGA (ne parliamo anche nel nostro articolo sulla scarlattina).
Capire se una faringite è di origine batterica o virale è quindi importante, perché cambia il trattamento; lo streptococco nei bambini è l’unico batterio che vale la pena di curare con l’antibiotico perché, anche se raramente, può provocare complicanze.
Tutti gli altri batteri, invece, solitamente guariscono in modo spontaneo e senza complicanze in 5-7 giorni, proprio come i virus. Per questo è inutile somministrare antibiotici.
Naturalmente la diagnosi di faringite nei bambini o di faringotonsillite batterica e la decisione di usare antibiotici spetta al pediatra, che può visitare il bambino e, nel dubbio, effettuare esami di conferma diagnostica, come il tampone faringeo. Non esiste infatti un segno o un sintomo clinico di per sé caratteristico, per distinguere con sicurezza le faringotonsilliti batteriche da quelle virali e soprattutto per identificare quelle da SBEGA.
Il pediatra più bravo può fare una diagnosi corretta al massimo nell’80% dei casi, quindi si è cercato di individuare gruppi di sintomi della faringite che, quando presenti, sono in grado di aumentare la probabilità di certezza della diagnosi, sommandoli in punteggi. Il più usato è il punteggio di Mc Isaac (vedi tabella in basso). [1]
Ma anche questo punteggio, da solo, non dà una diagnosi certa, bensì serve ad aumentare il sospetto clinico e a guidare la scelta successiva: fare o meno un tampone, per una diagnosi definitiva. Questa è una decisione clinica che spetta al pediatra.
Un tampone faringeo tradizionale richiede almeno 24-48 ore per la risposta, ma oggi abbiamo dei test rapidi (RAD), in grado di identificare la presenza dello SBEGA in pochi minuti già dopo 2 giorni di malessere: se il test è positivo si può essere sufficientemente sicuri della diagnosi (il rischio di errore è inferiore al 5%); se invece è negativo, il rischio di errore è superiore al 5%. Nei casi negativi al tampone rapido, ma con sintomi molto sospetti, secondo il punteggio di Mc Isaac potrebbe essere necessario confermare la diagnosi con un tampone colturale tradizionale. La decisione di effettuare un tampone rapido o uno tradizionale spetta ancora una volta al pediatra, che sa bene anche quando è il momento giusto per effettuarli. Il fattore tempo è importante: se i tamponi vengono fatti troppo presto e con sintomi clinici scarsi, infatti, possono risultare erroneamente negativi, proprio perché eseguiti prima che il test abbia il tempo di positivizzarsi. È quindi sempre bene consultare il pediatra prima di effettuare un tampone faringeo rapido o tradizionale che sia.
Per ridurre gli episodi di mal di gola, faringite e faringotonsillite nei bambini, una delle misure più efficaci è quella evitare di esporli al fumo di sigaretta, all’inquinamento da gas di scarico delle auto, evitare l’umidità nelle abitazioni, ma anche il riscaldamento eccessivo e l’aria troppo secca.
Non è vero che tenere i bambini in casa riduce il rischio di farli ammalare. È vero anzi il contrario: più i bambini vivono all’aperto, possibilmente lontano da fonti di inquinamento, e meno si ammalano. Gli ambienti chiusi (casa, scuola, ecc.) affollati e con scarso ricambio d’aria sono quelli che più favoriscono lo scambio di germi, e sono quindi meno sani.
I rimedi naturali della nonna, invece, come le bevande calde, sono utili solo se gradite al bambino. Qualcuno può preferire bevande fredde o gelati, e non ci sono motivi per negarglieli.
Immunostimolanti e detergenti antibatterici per l’igiene degli ambienti e dei giocattoli non hanno prove scientifiche solide che ne sostengano l’efficacia.
Il punteggio di McIsaac ci consente di distinguere la faringonsillite da Streptococco Beta-emolitico di gruppo A, che ha bisogno di una terapia antibiotica, da tutte le altre faringotonsilliti, che invece guariscono spontaneamente senza antibiotici.
temperatura ≥38°C | 1 punto | temperatura < 38° | 0 punti |
assenza di tosse | 1 punto | presenza di tosse | 0 punti |
linfonodi del collo gonfi e dolenti | 1 punto | assenza di linfonodi | 0 punti |
tonsille gonfie con placche | 1 punto | assenza di placche | 0 punti |
età compresa fra 3 e 14 anni | 1 punto | età < 3 anni | 0 punti |
Si assegna un punto per il criterio dell’età e uno a ogni segno e sintomo presentato dal bambino, si sommano tutti i punti e si ottiene un punteggio finale che può variare da 0 a 5. Un punteggio totale di 4 o 5 indica un’elevata probabilità di presenza dello Streptococco Beta-emolitico di gruppo A, viceversa un punteggio più basso significa che probabilmente quella faringotonsillite non è dovuta allo SBEGA.
nata a Frosinone nel 1956, pediatra di famiglia a Roma dal 1985, si occupa soprattutto di Formazione e di ricerca in pediatria delle cure primarie. È redattrice della rivista «Quaderni ACP» e autrice per Uppa magazine, dove ricopre anche il ruolo di responsabile scientifico. È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche nazionali e internazionali, e di alcuni libri.