Dal 5 dicembre è disponibile il settimo report di Foodinsider con il rating dei menù scolastici italiani. Si tratta di un’indagine che mette in luce l’equilibrio della dieta, la qualità del cibo, l’impatto del servizio di ristorazione scolastica sull’ambiente e la trasparenza dei menù.
Per fare chiarezza sulla situazione delle mense scolastiche italiane, capire quali sono le criticità e cosa occorre fare per continuare a migliorarle, Chiara Borgia ha intervistato Federica Buglioni, autrice esperta in educazione alimentare, e Claudia Paltrinieri, direttrice di Foodinsider.
Chiara Borgia: Oggi parliamo di mense scolastiche, e lo facciamo, anche questa volta, cercando di capire quali sono le condizioni che troppo spesso impediscono alle scuole di offrire servizi di qualità nelle proprie mense. Ho con me due ospiti esperte di questo argomento, Federica Buglioni, autrice esperta di educazione alimentare, e Claudia Paltrinieri, direttrice di Foodinsider, associazione di ricerca e formazione sul tema delle mense scolastiche. Partirei da una prima domanda che ci aiuta a introdurre l’argomento e a capire di che cosa stiamo parlando. Federica, qual è il ruolo educativo della mensa scolastica e perché vale la pena di investire tempo e risorse affinché questo servizio sia di qualità?
Federica Buglioni: Nel momento in cui ci si chiede qual è il ruolo educativo della mensa, vuol dire che si dà per scontato che la mensa abbia un ruolo educativo. Molte persone, però, questo non lo pensano, pensano che la mensa sia una “pausa”, un tempo in cui si mangia e non si fa scuola. Il ruolo educativo della mensa, invece, è lo stesso che ha la scuola. E andare a scuola è come uscire di casa e andare nel bosco. Cosa succede quando Cappuccetto Rosso va nel bosco? Ci sono i pericoli, è un mondo che non conosce; ma poco alla volta si trovano i sentieri, le strade, si comincia a orientarsi.
Quindi il cibo della mensa è necessariamente diverso dal cibo di casa, perché quello è il ruolo educativo. Qualcosa piacerà, qualcosa no; qualcosa spaventerà perché ignoto. Ma pian piano, con l’aiuto dell’insegnante e del contesto, si impara a stare in quel mondo. È importante che la mensa sia un’esperienza molto diversa dall’esperienza domestica, non deve essere la ripetizione del domestico.
Il cibo, inoltre, ha un ruolo educativo anche in altri sensi: noi tendiamo a vedere il cibo semplicemente come un oggetto commestibile, ma la scuola ci insegna a scoprire la storia delle cose, i processi, e anche il cibo ha una sua storia. E non è una storia predeterminata: la scriviamo noi a seconda di come acquistiamo, dello scarto che produciamo, se il cibo della scuola è biologico o no, se usiamo la plastica o no. Nel momento in cui i genitori, i bambini e gli insegnanti sono consapevoli di questi processi, si scrivono storie. Ma perché questo succeda è necessario che ci sia il tempo di fare progettazione.
CB: Questa prospettiva sulla questione delle mense è molto interessante e rende più complessa la riflessione. Seguendo il filo di quello che ha iniziato a raccontarci Federica, Claudia, quali dovrebbero essere le caratteristiche, se è possibile individuarne almeno alcune, di una mensa di qualità, dal punto di vista della salute, ma non solo?
Claudia Paltrinieri: Occorre dire innanzitutto che la qualità della mensa dipende dall’obiettivo che si pone il servizio di ristorazione scolastica. Se una mensa privilegia il cibo processato, quindi hamburger, bastoncini, pizza, e i legumi magari arrivano dal Canada e il pollo dall’Olanda, è una mensa che punta all’efficienza; chi la eroga punta a fare maggiori profitti e dal punto di vista dell’alimentazione l’obiettivo è quello di saziare, di togliere la fame ai bambini.
Se invece in una mensa troviamo, ad esempio, tante varietà di cereali, e quindi non solo pasta e riso, significa che l’approccio è diverso. Se poi vediamo che anche nelle fonti proteiche c’è una grande varietà, quindi un giorno c’è la carne, un giorno il pesce, un giorno le uova fresche, un giorno i legumi, un giorno i formaggi, e che c’è anche una grande varietà e stagionalità delle verdure, allora significa che è una mensa che punta all’equilibrio della dieta, alla qualità del pasto e quindi ha come obiettivo la salute e nutrire, non solamente saziare, i bambini.
C’è poi un altro elemento, un altro obiettivo che è ancora più alto: se gli ingredienti del menù sono in prevalenza biologici, se viene seguita la filiera corta, se ci sono piatti della gastronomia locale, allora la mensa nutre non solo i bambini, ma anche la comunità: prende le risorse del territorio e restituisce ricchezza. Saziare, nutrire i bambini e nutrire la comunità sono tre obiettivi diversi.
CB: A questo proposito, esistono in Italia delle realtà di eccellenza? E queste realtà sono più costose delle altre?
CP: Se penso al secondo obiettivo, quello della mensa che nutre i bambini, mi viene in mente Cremona. Cremona da sempre ha dei menù molto elaborati, molto ricchi, che puntano non soltanto alla salute ma anche al gusto. Nel menù scolastico si trova il risotto con la zucca e le mandorle, i finocchi e le arance, il pesce gratinato al sesamo, il risotto pere e mandorle; c’è una grande attenzione, che dipende dalla competenza dei cuochi, i quali fanno costanti percorsi di formazione per abbinare la salute del piatto alla qualità del gusto.
Se guardo all’obiettivo di mensa che nutre la comunità, allora c’è un altro esempio straordinario di un’azienda municipalizzata, e quindi di proprietà pubblica, di sei comuni che si trovano nella cintura fiorentina. Qui il 73% dei prodotti è locale, l’83% è a filiera corta, hanno il pane che è fatto con farine di tipo 2, del tipo Averna, che è un antico grano autoctono locale, viene lavorato nel mulino locale e dal fornaio locale, c’è lo yogurt del Monte Amiata, c’è la pasta e fagioli, che è un piatto tipico toscano, fatta coi fagioli rossi di Lucca. Tutte queste cose messe assieme rendono la mensa scolastica legata al territorio. E la cosa interessante di questa realtà fiorentina è che ha coinvolto le risorse locali: ha chiesto di convertire le produzioni in biologico, di estenderle a prodotti sostenibili, come i legumi, che restituiscono azoto alla terra e quindi la rendono più fertile.
Per quanto riguarda il costo della mensa, penso che si debba fare un ragionamento diverso: bisogna cambiare il paradigma e chiedersi «Quanto costa in termini di salute e di impatto ambientale la mensa che “costa poco”?».
Ricordiamoci che quest’anno nella Costituzione sono stati modificati gli articoli 9 e 41 ed è stata inserita la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nell’interesse delle nuove generazioni.
La mensa, quindi, deve rispondere ai nuovi obblighi costituzionali e non si può più ragionare unicamente in termini di costi da rispettare per rientrare nel bilancio comunale. La mensa scolastica è un investimento: quei pochi centesimi in più per una mensa di qualità vanno visti in una nuova prospettiva.
CB: Certo, tra l’altro mi viene da pensare che, un po’ come in tante altre situazioni, le ricadute sulla salute hanno anche una portata economica, ad esempio sul sistema sanitario nazionale. Quel poco che risparmiamo sulla mensa, lo spenderemo magari per i danni a lungo termine che abbiamo causato, generalizzando e semplificando un po’.
FB: Se anche volessimo fermarci a fare un ragionamento puramente economico, allora dovremmo ragionare sull’ottimizzare i costi. Oggi si spreca circa il 30% del cibo che si produce, per cui i soldi in più necessari per migliorare la mensa si potrebbero ricavare da un approccio diverso allo spreco alimentare.
CB: Mi riaggancerei alla mensa non soltanto come cibo in senso stretto, perché, Federica, tu prima ci parlavi della mensa come scuola, di una mensa quindi che fa parte dell’esperienza scolastica dei bambini. Rispetto all’educazione alimentare esistono degli obblighi, delle norme? La scuola è tenuta a fare qualcosa, e cosa è tenuta a fare? Oppure la maggior parte dell’iniziativa ricade sulla buona volontà dei singoli insegnanti?
FB: Come spesso accade in Italia, le norme ci sono e sulla carta è tutto bellissimo. Ci sono le Linee guida per l’educazione alimentare del 2015 e le Linee di indirizzo per la ristorazione del 2021.
C’è però una scappatoia: l’educazione alimentare è obbligatoria ma è una disciplina trasversale. Questo significa che quando insegno geometria posso parlare, ad esempio, della simmetria tagliando a metà un’arancia; quando insegno arte posso raccontare che la parola arancione, e quindi la percezione dell’arancione come colore a sé, compare quando sono arrivate le arance; quando insegno storia posso parlare dell’arancia come simbolo dei Medici di Firenze, e così via.
Non esiste un monte ore, non esiste la materia in quanto tale e nemmeno i riconoscimenti per gli insegnanti che fanno formazione sull’educazione alimentare. Questo inevitabilmente fa sì che l’educazione alimentare venga fatta poco e male, giusto una volta all’anno per liberarsi la coscienza. Io organizzo laboratori da tanti anni, e mi è capitato di avere bambini che venivano a fare i laboratori di cucina e mi dicevano: «Ma io una volta l’ho già fatto», come se bastasse studiare matematica o scienze una volta sola.
Come per tutte le cose che fanno parte della nostra vita quotidiana, non siamo consapevoli di non sapere, ed ecco che l’educazione alimentare si trasforma in “semplice” educazione nutrizionale: è ancora molto diffusa l’idea che il corpo umano sia come un’automobile che ha bisogno di carburante, quando oggi si sa benissimo che il cibo è nutrimento non solo fisico ma anche psichico.
Quindi, per riassumere, le leggi esistono, ma è davvero facile non applicarle, ed è un peccato perché il cibo usato come materiale educativo sarebbe una grande freccia al nostro arco, una risorsa che permetterebbe di valorizzare la mensa e di aiutare l’insegnante in classe.
Aggiungo un’ultima cosa. Le mense in cui si mangia bene hanno anche una ricaduta sulla salute della famiglia, perché l’unico momento in cui gli adulti sono disposti a cambiare abitudini alimentari è quando devono nutrire il loro bambino, quindi la scuola diventa un’opportunità di cambiamento per tutti.
CB: Ci state dicendo, quindi, che una mensa di qualità è possibile, e che la mensa è un motore potenziale di opportunità per la salute, per la famiglia, per il territorio. Claudia, ogni anno Foodinsider pubblica l’indagine sui menù scolastici italiani, avete quindi un osservatorio privilegiato su ciò che accade veramente nelle scuole di tutto il territorio. Quali sono le condizioni che impediscono a molte mense scolastiche di servire pasti di qualità? C’è una scarsità di formazione degli operatori? Da che cosa dipende?
CP: Mi permetto di ribadire che non solo si può, ma si deve avere una mensa di qualità, adesso è la legge che lo richiede. Da agosto 2020 è in vigore la legge dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) che lega la mensa scolastica al territorio e chiede di non avere cibo processato; incentiva una serie di corsi di formazione per i cuochi, almeno una volta all’anno; limita l’uso della plastica; chiede di ridurre la quantità di carne, di avere una maggiore biodiversità e di avere almeno il 50% di prodotti biologici. Chiede anche di misurare gli scarti e di rimettere in circolazione le eccedenze edibili, in una logica di economia circolare.
Quello che devono fare i comuni, quindi, è applicare la legge dei CAM a ogni nuova gara di appalto. Certo, questo implica che i funzionari siano competenti per poter applicare adeguatamente la legge. Bisogna lavorare sulla competenza e sulla visione; riuscire a superare l’idea che la mensa è un costo e promuovere quella per cui è un investimento, per la salute dei bambini, per l’ambiente, per il futuro delle nuove generazioni. E poi bisogna fare in modo che la legge venga applicata, perché l’unico tassello critico di questa legge è che manca un impianto sanzionatorio.
CB: A questo punto, secondo voi cosa possono fare i genitori per favorire il cambiamento e il miglioramento della mensa scolastica dei loro bambini e bambine?
CP: Consiglio sempre ai genitori, per prima cosa, di iscriversi nelle commissioni mensa, che sono un organo volontario riconosciuto dalle linee guida della ristorazione scolastica, e poi di farsi delle domande. Di chiedersi, cioè, se il menù che viene offerto ai loro bambini – la qualità dei cibi e degli ingredienti – è in linea con quanto richiesto dalla legge. Si tratta quindi di fare un percorso di conoscenza.
Noi di Foodinsider mettiamo a disposizione un questionario, semplicissimo, che era stato sviluppato dalla ASL di Milano. Se un genitore ha sottomano il menù della scuola può rispondere al questionario e alla fine ottiene un punteggio dal quale capisce se il menù è in linea con le raccomandazioni dell’OMS. È un punto di partenza che permette di capire quali sono le criticità.
L’altro consiglio è di fare rete: è importantissimo che i genitori facciano rete tra di loro in modo da aprire un dialogo con le amministrazioni, perché è da questo dialogo che passa il miglioramento della mensa.
FB: Siamo condizionati dalle parole che usiamo. Noi associamo la parola mensa a una cosa un po’ triste, punitiva. Se invece provassimo a chiamarla “ristorante scolastico” ecco che la nostra prospettiva cambierebbe.
L’altra cosa che ci serve è la visione: occorre, anche individualmente, maturare una nuova visione; scoprire, conoscere, vedere anche solo in rete le realtà che fanno meglio. È importante sapere che un’alternativa esiste, perché non si può combattere per qualcosa che non si riesce a immaginare. Maturare una visione: secondo me si parte da lì.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione e accompagnamento alla morte e all’esperienza della perdita, si occupa di famiglie adottive e lavora come formatrice per gli operatori di nidi e scuole dell’infanzia nella provincia di Messina. È stata vicedirettrice di Uppa magazine dal 2018 e dal 2022 ne è diventata direttrice.