«Ho perso il conto… Saranno due o tre giorni che la piccola non fa la cacca. Ha appena due settimane di vita… Cosa possiamo fare? Dobbiamo intervenire in qualche modo?». Giulia, la mamma di Elisa, si fa portavoce del pensiero di entrambi i genitori, preoccupati per la stitichezza della loro piccola. Le sue domande sono più che lecite, ma il punto centrale è: bisogna davvero intervenire? A tal proposito, in molti si interrogano sull’utilizzo del microclisma sul neonato. Si tratta di un microclistere – facile da reperire e accessibile senza prescrizione medica – che facilita in tempi brevi l’evacuazione dei piccoli affetti da stitichezza. Ma quando è davvero il caso di ricorrere al microclisma per i bambini? Come tutti i dispositivi medici, anche questo può comportare alcune complicanze se non viene utilizzato con cautela e con la giusta consapevolezza.
Cos’è il microclisma? Si tratta di un dispositivo munito di cannula che consente la somministrazione di soluzioni per via rettale volte a facilitare l’emissione di feci attraverso due principali meccanismi: l’aumentata motilità del retto (l’ultima porzione dell’intestino) e l’incremento della componente fluida, che serve a serve a rendere più morbide le feci. Diversi sono i componenti utilizzati, spesso combinati insieme. La loro efficacia si ottiene per lo più in pochi minuti. A seconda della composizione, possono essere somministrati a bambini di età diverse.
A partire da quando si usa il microclisma? Si può utilizzare anche in epoca neonatale, cioè nel primo mese di vita, ma è sempre bene rivolgersi al pediatra per individuare i casi in cui si può ricorrere a questo dispositivo. Ad ogni modo, nel caso in cui si ricorra al microclisma sul neonato, è molto importante utilizzare un quantitativo molto basso (la dose minima consentita) per non stressare i delicati meccanismi di funzionamento dell’intestino, che ancora si sta “calibrando” dopo i mesi trascorsi nella pancia della mamma. Più si va avanti con l’età, più le soluzioni disponibili saranno “ricche”, conterranno cioè più ingredienti.
Ma in quali casi può essere utilizzato questo dispositivo? Vi si può ricorrere sempre nei casi di stitichezza del bambino? Per capirlo è necessario fare un piccolo passo indietro e comprendere cosa si intende per stitichezza. Un bimbo si definisce stitico sulla base di sintomi specifici, tra i quali la difficoltà a evacuare con l’emissione di feci dure, dolorose e/o di grande diametro. A ciò può associarsi irritabilità, diminuzione dell’appetito, e/o dolore addominale (per un maggiore approfondimento sul tema, rimandiamo alla lettura di questo articolo).
Nel trattamento della stitichezza, il microclisma in rari casi può risultare un valido alleato: rimuovere il “tappo” è fondamentale per ripristinare una normale funzione defecatoria. Alcuni studi hanno confrontato l’effetto del clistere con l’uso di alte dosi di un lassativo orale efficace quale il polietilenglicole (PEG), senza dimostrare alcuna differenza significativa tra i due trattamenti. Pertanto, la scelta può basarsi sull’urgenza dell’intervento (il microclisma è più veloce) o sul fattore dell’invasività (il lassativo orale è certamente meno scomodo e sgradevole per il bambino). A tal proposito, le società scientifiche europea e americana di gastroenterologia pediatrica (ESPGHAN e NASPGHAN) hanno espresso preferenza a favore del trattamento per bocca. Il microclisma è infatti spesso responsabile di dolore addominale e, meno frequentemente, di lesioni a livello della mucosa anorettale, con il rischio di inibire ulteriormente la defecazione spontanea. D’altro canto il PEG, facilitando l’emissione di feci liquide, può provocare una difficoltà a trattenere le feci.
Nel neonato e nel lattante la questione assume connotati diversi. Nel primo mese di vita, un neonato allattato al seno può evacuare fino a otto volte al giorno, così come una volta ogni quattro-cinque giorni. Anche i neonati nutriti con latte di formula evacuano con frequenza variabile, spesso a causa della tipologia di latte in uso: le formule a base di latte vaccino rendono le feci più solide, mentre quelle “ipoallergeniche” possono favorire evacuazioni più frequenti.
Il dato saliente, dunque, è che nel neonato e nel lattante la stitichezza richiede un approccio diverso. È necessario monitorare e affrontare il disagio determinato dall’eventuale ristagno di feci nel tratto terminale dell’intestino. Quando associato a distensione addominale, irritabilità e difficoltà di alimentazione, la valutazione pediatrica stabilirà quali saranno le giuste accortezze da seguire. Per un rapido intervento, la somministrazione del microclisma può essere indicata, ma è fondamentale tenere presente che questa pratica, di cui spesso si abusa, rappresenta un trattamento di tipo “occasionale”, che andrebbe utilizzato, come detto, solo per sbloccare la situazione, e comunque sempre dopo aver consultato il pediatra.
In ultimo, teniamo presente che spesso accorgimenti non farmacologici, ovvero un bagnetto caldo o un massaggio addominale eseguito dolcemente, possono sortire lo stesso effetto del microclisma. L’unico “inconveniente” di questi metodi è che richiedono tempo e dedizione.
E dunque, microclisma ai neonati sì oppure no? Questa pratica è senz’altro utile nei casi in cui l’ostruzione fecale risulta davvero ostica. Le feci trattenute, infatti, diventano progressivamente più disidratate e, conseguentemente, più difficili da evacuare. In questa fase, l’emissione di feci molto dure può determinare la formazione di ragadi dolorose che contribuiscono a cronicizzare il meccanismo della ritenzione volontaria, determinando un vero e proprio circolo vizioso. Nei casi più ostinati, le feci indurite, che prendono il nome di “fecaloma”, arrivano a forzare la tenuta dello sfintere anale producendo il fenomeno dell’encopresi, ovvero la perdita involontaria e inavvertita di feci. In questi casi il microclisma, per rapidità d’azione, somministrato per non più di sei giorni consecutivi, è un ottimo rimedio, così come il PEG, a dose elevata e sempre per non più di sei giorni.
Ricordiamoci sempre di valutare attentamente ogni situazione con l’ausilio del pediatra, a maggior ragione nei casi in cui la mancata defecazione si associa a irritabilità, gonfiore addominale, riduzione dell’alimentazione.
Va inoltre tenuto a mente che in alcune fasi della crescita può verificarsi una variazione della frequenza di evacuazioni giornaliere, ad esempio con l’inizio dell’alimentazione complementare o dell’allenamento all’uso del vasino, passaggi che possono condizionare le funzioni fisiologiche. Infezioni, viaggi, variazioni nelle abitudini alimentari sono altri fattori che possono incidere sull’insorgenza di difficoltà nella defecazione.
Le prime scelte da tenere a mente sono un’alimentazione varia, un adeguato apporto di fibre e acqua e un’attività motoria regolare. Il microclisma, invece, è una soluzione cui si può ricorrere in via del tutto occasionale per sbloccare la situazione ed evitare al piccolo la paura di provare dolore durante la defecazione.