«Il nostro bambino non parla, siamo preoccupati». I bambini che in situazioni sociali non riescono a intrattenere relazioni e conversazioni con il gruppo di pari o di adulti, vengono definiti timidi, caratterialmente inibiti. Una piccola percentuale di questi, però, vive queste esperienze come fortemente ansiogene, al punto da sviluppare un vero e proprio disturbo. Vediamo di seguito cosa si intende quando si parla di mutismo selettivo nei bambini.
L’inquadramento diagnostico di questo disturbo ha vissuto negli anni un progressivo cambiamento riguardo il nome e la sua classificazione nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). In particolare, si è passati dalla dicitura “mutismo elettivo” a “mutismo selettivo”, per superare l’erronea convinzione che il disturbo fosse di origine intenzionale, ovvero che il bambino non parlasse per sua volontà.
Il mutismo selettivo (MS) è un disturbo d’ansia che si manifesta in età evolutiva ed è caratterizzato dall’assenza di comunicazione verbale, soprattutto in alcune situazioni sociali. Il termine “selettivo” indica che il bambino riesce a esprimersi solo con determinate persone di cui si fida e in alcune circostanze in cui si sente sereno (solitamente l’ambiente familiare), mentre invece mostra difficoltà in ambienti sociali in cui non si sente a proprio agio.
La selezione degli interlocutori può essere più o meno ampia e arrivare anche a un solo genitore. L’incapacità dei bambini con Mutismo selettivo di comunicare è il diretto risultato dell’ansia sociale e non è dovuto a deficit sensoriali o neurologici, come i disturbi afasici. Attraverso questo comportamento il piccolo evita le sensazioni spiacevoli provocate dalla pressione sociale o dall’aspettativa di parlare in alcuni contesti.
Per porre diagnosi il DSM-5 prevede cinque criteri:
I bambini con mutismo selettivo possono, inoltre, manifestare caratteristiche e comportamenti comuni come inespressività del viso, scarso o assente contatto oculare, immobilità o agitazione, comportamenti oppositivi o aggressivi.
Pertanto, nelle situazioni in cui la loro comunicazione verbale è assente, i bambini con mutismo selettivo possono utilizzare strategie non verbali: compiere gesti, annuire o fare no con la testa, scrivere e, in alcuni casi, anche emettere monosillabi.
Tra i fattori che possono spiegare il mutismo selettivo possiamo ritrovare:
A causa della forte paura che le interazioni sociali suscitano, le espressioni facciali dei bambini con mutismo selettivo risultano inespressive, vi è difficoltà a mantenere il contatto visivo con l’interlocutore ed elevata sensibilità per l’ambiente circostante. Inoltre il linguaggio del corpo è impacciato e goffo, e quando viene rivolta loro attenzione durante una conversazione, tipicamente voltano la testa o guardano a terra o si toccano i capelli oppure si nascondono. Questi episodi si verificano in particolar modo nel contesto scolastico, poiché è il luogo principale in cui il bambino è esposto a frequenti domande e richieste di prestazione. Proprio a scuola, molti bambini con Mutismo selettivo hanno ad esempio difficoltà a chiedere di andare al bagno e a mangiare, rifiutano di nutrirsi, nascondono il cibo o attendono che i compagni abbiano terminato il pranzo e se ne siano andati.
La valutazione deve essere compiuta nel modo più completo possibile, ricorrendo a un approccio diagnostico multimodale e considerando i possibili fattori di comorbilità.
Di fondamentale importanza è un’anamnesi dettagliata della storia di vita del bambino, in quanto alcuni segnali di allarme del disturbo possono essere rintracciati durante lo sviluppo, in particolare:
In seguito, viene effettuato un colloquio approfondito con i genitori a cui seguirà l’incontro con il bambino. In questa fase l’osservazione dei disegni, del gioco libero e del linguaggio corporeo risulta molto utile. Inoltre, lo specialista deve compiere un’analisi funzionale del comportamento per giungere alla formulazione di un percorso di trattamento il più idoneo possibile al bambino e all’ambiente in cui vive.
Cerchiamo di seguito di dare una risposta ai genitori che, di fronte a una diagnosi di mutismo selettivo del proprio bambino, si chiedono cosa fare.
Secondo alcuni studi, l’approccio più efficace è quello della psicoterapia cognitivo-comportamentale, un tipo di intervento che tende a modificare l’attività di pensiero disfunzionale che sottostà all’insorgenza del disturbo.
Gli obiettivi principali sono orientati alla riduzione dell’ansia sociale, di cui vanno individuati gli indici comportamentali e cognitivi con lo scopo di giungere a una loro effettiva modificazione. Si aiuta, inoltre, il bambino a progredire nella comunicazione, attraverso tappe graduali, aumentandone l’autostima e accrescendone la fiducia in situazioni di carattere sociale.
Infine, trattandosi di un disturbo che si manifesta in età evolutiva, il ruolo e il supporto degli adulti che ruotano intorno al bambino è di fondamentale importanza.
Va aggiunto che, attraverso interventi di Psicoeducazione e di Parent-Training, i genitori possono acquisire un’adeguata conoscenza del disturbo e soprattutto apprendere strategie e modalità adeguate e funzionali di gestione dello stesso.
Di fronte a un caso di Mutismo selettivo, il primo atteggiamento importante, sia nei contesti sociali sia a casa, è non forzare mai il bambino a parlare. Sarà utile invece:
Occorre inoltre evitare di creargli eccessive aspettative o sminuire la sua difficoltà, al contrario mostrare una pacata fiducia in lui può risultare un atteggiamento rinforzante. Altra modalità di interazione importante è non mostrare eccessiva meraviglia o felicità nel caso in cui il bambino iniziasse a parlare in luoghi o con persone differenti.
Un atteggiamento utile al fine di ridurre l’ansia e rassicurare il bambino verso una comunicazione attiva è quello di coinvolgerlo nelle azioni che lo riguardano, informandolo, ad esempio, su cosa può succedere di lì in avanti o quali effetti il suo comportamento produce negli altri o viceversa, oppure chiedendogli se sia pronto ad affrontare una nuova situazione.
Risultano utili anche le strategie creative, allo scopo di rendere semplici situazioni ansiogene (creare dei giochi, lanciare piccolissime sfide) e anche favorire progressivamente l’autonomia, coinvolgendo il piccolo in azioni quotidiane di cura personale e aiuto domestico, programmare insieme le attività che lo riguardano, incentivare piccole opportunità di socializzazione invitando i suoi compagni a casa (luogo per lui rassicurante).
Psicologo specializzato in valutazione e intervento dei Disturbi dell’Apprendimento e del Comportamento. Dal 2007 si occupa di età evolutiva, di bambini con Disturbi del Neurosviluppo e delle loro famiglie presso il CEDAP. Si occupa inoltre di formazione e di portare pratiche didattiche e educative inclusive e innovative nelle scuole.