La Lotus Birth è una procedura che prevede di non recidere il cordone ombelicale, lasciando il neonato collegato alla placenta per qualche giorno, fino al suo distacco spontaneo: nel frattempo la placenta viene lavata e conservata in un apposito sacchetto, a volte cosparsa di sale grosso per favorirne l’essiccamento e di qualche goccia di olio profumato per mascherarne il cattivo odore e trasportata sempre con il neonato. Il nome deriva da Clair Lotus Day, infermiera californiana, che riteneva di avere la particolare dote di vedere un’aura attorno alle persone. Essa affermava che l’aura di chi non aveva ancora subito il taglio del cordone fosse più vibrante e integra: al momento della nascita di suo figlio chiese di non recidere il cordone, inaugurando così questa pratica. Era il 1974.
Dal momento in cui la placenta (l’organo dal quale il feto riceve ossigeno e nutrienti) si stacca dal punto di inserzione nell’utero, perde la sua funzione; nel momento del distacco (spesso anche prima) cessa la pulsatilità, cioè le contrazioni regolari che rendono possibile lo scorrere del sangue dal bambino verso la placenta e soprattutto dalla placenta verso il bambino. Sangue preziosissimo che deve essere garantito al neonato nei primi minuti dopo la nascita: tanti studi hanno infatti mostrato chiaramente i vantaggi che derivano dal non praticare il taglio precoce del cordone, come si fa ancora in alcuni punti nascita.
Quando il cordone smette di pulsare però non c’è più movimento di sangue tra i due distretti, né quindi passaggio delle sostanze che il sangue stesso veicola: il cordone collassa, la sostanza gelatinosa al suo interno perde liquidi e si essicca fino a mummificare. La placenta rimane ancora ricca di sangue, ma è un sangue non utilizzabile: ecco perché non si ha alcun vantaggio dal Lotus Birth.
La placenta che rimane attaccata è invece un possibile terreno di crescita di germi e può infettarsi, anche se non ci sono ancora studi scientifici che quantifichino questo rischio infettivo, sia perché il Lotus Birth è una pratica recente, sia per l’esiguo numero di casi in cui viene realizzato, ma soprattutto perché queste scelte alternative spesso rifuggono al confronto scientifico, preferendo affidarsi a emozioni, suggestioni e quindi, in un certo senso, ad atti di fede.
Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (l’ente britannico la cui autorevolezza in materia di ostetricia è riconosciuta in tutto il mondo) sottolinea la pericolosità di questa scelta, raccomandando un’attenta sorveglianza dei neonati sottoposti alla Lotus Birth, anche se i sostenitori di questa pratica affermano proprio il contrario: sarebbe il taglio del cordone a rappresentare un alto rischio infettivo. Ma, mentre si prendono sempre delle precauzioni per contenere il rischio infettivo nel taglio del cordone, nulla invece viene suggerito dai sostenitori del Lotus Birth per non incorrere nel rischio che la placenta si infetti.
«Il cordone ombelicale, dopo che ha smesso di pulsare, non agisce più da condotto se non per un trasferimento energetico»: così rispondono i sostenitori del Lotus Birth a queste obiezioni. Ma di quale energia si sta parlando? Come e, soprattutto, cosa passerebbe dalla placenta al bambino? Nessuna concretezza scientifica, ma solo affermazioni suadenti e mistiche. Al momento in cui è stato scritto questo articolo, il sito ufficiale del Lotus Birth elenca i seguenti vantaggi:
I sostenitori del Lotus Birth parlano di dolore del neonato nell’essere separato da una parte di sé: «i bambini che nascono con questa tecnica sono visibilmente sensibili al fatto che il cordone o la placenta vengano toccati: nel cordone dev’esserci quindi ancora una forma percettiva». Ma per le conoscenze di anatomia che abbiamo anche questo non ha senso: il cordone non è innervato, e quindi non esistono strutture che possano portare eventuali stimoli dolorosi al cervello del neonato.
Anche dal punto di vista antropologico e etologico mancano riferimenti a pratiche analoghe: in nessuna parte del mondo, in nessuna epoca storica e neppure nel mondo animale si trovano esempi che possano in qualche modo far pensare a qualcosa di simile al Lotus Birth.
Senza contare che si tratta di una pratica veramente scomoda che ostacola la relazione: già normalmente i neo-genitori sono impacciati nel maneggiare il bambino, timorosi anche solo di prenderlo in braccio, nel terrore di fargli male. E quante volte ci troviamo a rassicurare, tranquillizzare, invitarli a prenderlo in braccio, per abbandonarsi a questo prezioso primo rapporto fisico: vogliamo complicargli ulteriormente la vita, mettendo in mezzo anche il cordone, la placenta e il sacchetto?
Nel Lotus Birth vediamo solo un positivo significato di richiamo al dare tempo all’evento della nascita, al rifuggire dalla velocità operativa, al sapersi fermare. Ma questo si può e si deve fare rimanendo aderenti ai dettami scientifici, evitando approcci emotivi e romantici.
nata a Torino, dopo aver lavorato come restauratrice di dipinti, si laurea in Ostetricia nel 1999. Da allora lavora a Firenze, dove promuove una gestione meno invasiva e medicalizzata del parto. Partecipa all’apertura del primo centro nascita italiano, pubblico e a completa gestione ostetrica: la Margherita, dove lavora per sette anni.