Proviamo a domandare a una donna che ha appena saputo di essere in gravidanza cosa desidera per il bambino. È molto probabile che la risposta sia «che sia sano». Maschio, femmina, bello, buono, felice, una brava persona – tutti desideri legittimi – vengono molto dopo, in coda. Perché forse il desiderio e quindi l’augurio di una vita sana porta con sé, nel cuore dei genitori, ogni altro bene, e tiene a bada la naturale ansia legata al senso di incertezza per la pancia che cresce.
Fino a qualche decennio fa un figlio custodito nel ventre materno era un vero e proprio mistero: nei secoli indovini e stregoni si sono cimentati a decifrarlo, a partire dalle innumerevoli quanto inutili tecniche divinatorie per scoprire almeno il sesso del bambino. Oggi possiamo affermare di avere in parte svelato il mistero perché decodifichiamo le informazioni contenute nel materiale genetico e attraverso l’ecografia spiamo il piccolo in tempo reale. Questa rivoluzione, iniziata cinquant’anni anni fa, continua a progredire offrendo prospettive sempre più raffinate e precise.
La decisione di avere un figlio, come qualsiasi cosa nella vita, non è comunque del tutto scevra da rischi. Indipendentemente dalla causa, ogni futuro genitore presenta un rischio di base del 3% di avere un bambino con un difetto congenito alla nascita più o meno grave. Al rischio di base si dovrà poi aggiungere quella quota derivante dalle caratteristiche personali e familiari dei genitori, oltreché dai fattori ambientali.
Difetti congeniti si riscontrano solo nel 5% delle gravidanze e possono essere più o meno gravi. Una parte consistente di coppie richiede di effettuare indagini per ridurre questa quota di rischio.
È importante sapere che non tutti i difetti congeniti sono diagnosticabili, né con metodi ecografici né con indagini su sangue o liquido amniotico, e che non esiste un unico esame in grado di dirci se il bambino sarà sano o meno. Oggi alcuni di questi rischi e alcuni dei difetti congeniti del feto possono essere individuati e diagnosticati durante la gravidanza (diagnosi prenatale). Quindi la domanda «sarà sano?» non ha una risposta che possono fornire i clinici, i quali sono in grado di valutare la situazione solo parzialmente.
Fino a poco tempo fa, i rischi connessi con l’esecuzione di esami invasivi (amniocentesi e villocentesi) orientavano i sanitari a indirizzare alla diagnosi prenatale solo la popolazione femminile selezionata come “a rischio”.
Il grande cambiamento di approccio alla diagnosi prenatale è stato determinato dall’utilizzo degli esami di screening, esami cioè rivolti a tutta la popolazione, caratterizzati da semplicità di esecuzione e privi di rischi.
Questi test identificano la popolazione a rischio basandosi su strumenti statistici; sono innocui ma ragionano in termini di probabilità, quindi non permettono una diagnosi certa al 100%, pur andandoci molto vicino.
I test di screening come il Test Combinato e il test NIPT (Non Invasive Prenatal Testing), permettono di individuare le gravidanze ad alto rischio di anomalie cromosomiche in maniera più accurata, diminuendo in tal modo il ricorso inappropriato ai test diagnostici invasivi.
Il test del DNA fetale o NIPT è il test più recente e innovativo che abbiamo a disposizione.
È stato dimostrato che, a partire dal primo trimestre di gravidanza, è presente nel circolo ematico materno DNA libero di origine fetale, derivante dal passaggio in circolo di microframmenti placentari, che può essere recuperato in maniera non invasiva mediante un semplice prelievo di sangue venoso alla madre.
È importante che questo materiale fetale sia in quantità sufficiente per essere utilizzato ai fini dello studio delle anomalie cromosomiche (trisomia 21, 18, 13) e dare una risposta attendibile: per questo si consiglia di eseguirlo dalla decima settimana di gravidanza (in questo articolo spieghiamo come effettuare il conteggio delle settimane di gravidanza in modo preciso).
Il test evidenzia, inoltre, il sesso del nascituro e le eventuali malattie legate ai cromosomi sessuali, come la sindrome di Turner o la sindrome di Klinefelter.
Non è un test capace di fare diagnosi, ma ha una precisione più elevata rispetto agli altri test di screening, avendo maggiori probabilità di individuare feti affetti dalle patologie indicate (vicino al 100% per trisomia 21 e 18) e minore probabilità di indicare come affetto un feto che invece è sano.
Una risposta positiva, che significa che il feto ha una certa probabilità di avere il difetto, deve essere riconfermata mediante diagnosi invasiva.
Va inoltre ricordato che:
Per questo alcune regioni erogano il NIPT come test di seconda scelta, successivo o in aggiunta al Test Combinato.
Il test non può essere eseguito ovunque né da chiunque. Secondo il Ministero della Salute i centri che erogano il test devono:
Questi ultimi, a loro volta, devono:
Oggi, in Italia, circa 50mila donne in gravidanza richiedono ogni anno il test del DNA fetale, pagando cifre comprese fra 300 e 700 euro.
Al momento, il Sistema Sanitario Nazionale non include il NIPT fra gli esami gratuiti, sebbene il Consiglio superiore di Sanità suggerisca di introdurlo.
La situazione italiana è molto variegata, e solo la Regione Emilia Romagna ha recentemente avviato un programma di screening che ne prevede l’introduzione in tutta la regione, dopo una fase pilota di 9 mesi limitata all’area metropolitana di Bologna. Altre regioni, come la Toscana, lo prevedono gratuitamente per le categorie esenti da ticket, dietro pagamento di un ticket per le categorie a rischio, e a pagamento in caso di semplice richiesta materna, con costi che vanno da 200 a 400 euro.
Rispondendo dunque alla domanda posta nel titolo, dobbiamo dire che il NIPT non è né una moda né una necessità.
Non è una moda, perché rappresenta al momento lo standard migliore per la ricerca di alcune patologie cromosomiche importanti, e non è una necessità perché non tutte le coppie richiedono l’accesso alla diagnosi prenatale, che in prospettiva apre la strada a una possibile interruzione della gravidanza in caso di feto portatore di malattia cromosomica. Il NIPT è semplicemente un’opportunità per le coppie che desiderino effettuare l’indagine prenatale. In assenza di fattori di rischio specifici che orientino a consigliare da subito la diagnosi invasiva (villocentesi e amniocentesi), è corretto orientare le coppie verso gli esami di screening che prevedano anche il NIPT, perché riducono in maniera drastica gli aborti e le rare complicanze materne legate a villocentesi e amniocentesi.
ostetrica, ha avuto una lunga esperienza lavorativa nel servizio pubblico, sia sul campo sia come ostetrica dirigente. In questa veste ha aperto il Centro nascita “Margherita”, struttura dedicata al parto naturale dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze, e lo ha diretto dal 2007 al 2014. È autrice di numerose pubblicazioni su riviste di settore, e del libro “Partorirai con amore”. È in pensione dal 2017.