I bambini prematuri vengono definiti tali se nascono prima della 37 ͣ settimana di gestazione. Anziché parlare di neonati prematuri sarebbe più corretto parlare di bambini nati pretermine, visto che si tratta di neonati adeguatamente maturi rispetto al loro percorso di crescita, ma che spesso si trovano a dover completare lo sviluppo in un luogo “artificiale” diverso dall’utero materno e per il quale non hanno tutte le competenze necessarie. Per favorire lo sviluppo di quei neonati che hanno bisogno di essere ricoverati in reparti speciali ‒ Patologie Neonatali e Terapie Intensive Neonatali (TIN) ‒, gli operatori che li assistono, più che lavorare sul bambino, devono lavorare col bambino, e con i suoi genitori come parti integranti della cura.
Il ricovero del proprio bambino prematuro in un reparto di TIN, oltre alle intense preoccupazioni per la sua salute, porta con sé una dolorosa esperienza di negazione della corporeità, che si ripropone con il precoce distacco tra madre e neonato dopo la nascita. Il ventre svuotato indica una mancanza, ribadita dalle braccia rimaste vuote e dai segnali lanciati dal corpo subito dopo il parto. Il rimpianto di non aver portato a termine la gravidanza e di non avere goduto appieno dei primi momenti dopo la nascita, si associano al senso di estraneità del reparto di cure intensive neonatali. Per i non addetti ai lavori, infatti, l’ingresso in TIN ha un profondo impatto sui sensi: il rumore dei macchinari e dei ventilatori, il suono degli allarmi, le luci intense, l’odore pungente di disinfettante e, soprattutto, il primo incontro visivo con il proprio bambino difficilmente riconoscibile tra elettrodi e sensori.
Uno studio [1] ha indicato come lo stress dei genitori dei nati pretermine si riduca sensibilmente se vengono messi nelle condizioni di agire concretamente per la loro cura e di ricevere informazioni e istruzioni da parte degli operatori sanitari. I genitori coinvolti giorno per giorno nei primi approcci al gavage (alimentazione tramite sondino gastrico) e poi all’allattamento vero e proprio, nel tenere in braccio, lavare e cambiare il loro bambino hanno livelli più bassi di stress e di ansia [2] .
Diventare genitori richiede sempre nuovi apprendimenti, ma diventare genitori di un bambino nato pretermine amplifica enormemente questa sfida. Ne è un esempio il fatto che, data la scarsa maturità fisiologica, i neonati prematuri non distinguono uno stimolo doloroso da un contatto, il che rende necessario apprendere nuove modalità, come il tocco fermo. Se, da un lato, il coinvolgimento dei neogenitori nelle pratiche di cura è un modo per sottrarli al senso di impotenza e alla frustrazione, dall’altro è un mezzo per promuovere il neurosviluppo del bambino. Gli studi sottolineano come la carenza o la privazione delle cure genitoriali e l’esposizione a manovre dolorose ripetute durante il soggiorno in TIN siano fonti di stress che producono variazioni epigenetiche (cioè ambiamenti nell’espressione genetica) nei bimbi prematuri. Tra gli esiti noti, la possibile diminuzione dei livelli di serotonina rende più persistenti e prolungati gli effetti dello stress, con conseguenze negative sullo sviluppo neurologico. È chiaro che per un bambino prematuro i suoi genitori sono come farmaci naturali, tanto che prendersi cura di loro significa prendersi cura del piccolo.
Il “metodo marsupio” è una modalità di assistenza in cui il bambino, svestito, viene posto in posizione verticale sul petto nudo del genitore in modo che si crei un contatto pelle a pelle continuo e prolungato. L’orecchio del bambino poggia sul cuore del genitore, e lo riporta ai suoni della vita intrauterina. È stata dimostrata la sua efficacia nel facilitare l’allattamento al seno, permettendo al piccolo di esplorare il corpo della madre con la bocca, nel favorire la dimissione precoce dal reparto, nell’aumentare la capacità di termoregolazione, nel prolungare il sonno, nel migliorare i parametri respiratori e nello stabilizzare la funzione cardiaca.
Molti genitori descrivono l’assistenza con il metodo marsupio come una “seconda nascita”, sia del bambino, sia di loro stessi come madri e come padri, dal momento che possono finalmente tenere in braccio il figlio, ripristinando un senso di corporeità.
Oltre a rinsaldare il legame genitore-bambino, il contatto col neonato attiva una serie di risposte neuro-ormonali (tra cui l’incremento dei livelli di ossitocina e prolattina) che aumentano la produzione di latte. Ne deriva una maggiore fiducia, autostima e senso di realizzazione per le madri, che si associa al fatto di poter fare qualcosa di positivo per i loro bambini. Anche i padri affermano di sentirsi a proprio agio, rilassati e contenti mentre praticano il “metodo marsupio” [3] .
La prematurità di per sé non influisce sulla produzione di latte, ma sono piuttosto i fattori concomitanti al parto (permanenza protratta a letto, complicanze materne, fatica, stress, svuotamento irregolare del seno) e la risposta neuro-ormonale limitata dallo scarso o assente contatto madre-neonato a porre gli ostacoli principali.
La possibilità di accesso prolungato delle madri in reparto coi loro bambini, al contrario, permette di stimolare l’allattamento al seno (che aumenta la prolattina), grazie al contatto fisico e alla correlata riduzione dello stress in entrambi. Proprio perché anche i fattori psicologici influenzano la produzione di latte, occorre sostenere le madri nell’allattamento prima, durante e dopo il parto, coinvolgendo attivamente anche la figura del partner. Egli può sostenere la compagna sedendosi accanto a lei durante le poppate o l’estrazione di latte, massaggiandola, valorizzando le occasioni in cui riesce a tirare anche solo poche gocce, comunque preziose per il neonato. Siccome l’immaturità neurologica, respiratoria e orogastroenterica del bambino ne ostacolano, in un primo momento, la suzione al seno, le madri andrebbero incoraggiate all’estrazione manuale di latte o con tiralatte, possibilmente in un luogo in cui possono vedere e toccare il figlio. È sulla base di queste evidenze che la presenza dei genitori in TIN andrebbe considerata, più che come una possibilità, un diritto fondato su dati scientifici.