L’obesità infantile è un problema grave e diffuso nel nostro Paese. Come ha sottolineato l’Istituto Superiore di Sanità – presentando, a novembre 2020, i dati che provengono dalle rilevazioni del Centro per la Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (organismo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha designato come punto di riferimento per il problema dell’obesità infantile) – la situazione mostra numerosi punti critici.
L’Italia è tra i Paesi europei in cui il problema del sovrappeso e dell’obesità in età scolare è più diffuso. Il 20,4% delle bambine e dei bambini è in sovrappeso, il 9,4% è obeso e i gravemente obesi sono il 2,4%. Le abitudini alimentari di bambine e bambini sono molto distanti da quelle raccomandate per il mantenimento di un buono stato di salute nel corso dell’intera vita: un bambino su quattro beve ogni giorno bevande zuccherate e gassate e consuma frutta e verdura meno di una volta al giorno. I legumi entrano nell’alimentazione del 38% dei bambini meno di una volta a settimana, e quasi la metà di loro mangia spuntini dolci più di tre giorni la settimana.
I dati mettono inoltre l’accento sullo scarso esercizio fisico, sul troppo tempo trascorso davanti agli schermi e sulle ore di sonno non sufficienti (anche queste collegate dagli studi [1] a un aumento dell’incidenza dell’obesità). Si tratta di un complesso di fattori che contribuisce in modo significativo ad aggravare il problema del sovrappeso e dell’obesità infantile.
Il World Obesity Day, che cade il 4 marzo, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è l’occasione per ripercorrere le conoscenze scientifiche in merito all’obesità, ribadire le sue conseguenze sulla salute e le opportune strategie di prevenzione e terapia. Nel corso della manifestazione si dedica particolare spazio all’obesità infantile, evidenziando come bambine e bambini subiscano spesso gli effetti dell’insufficiente attenzione dedicata dagli adulti all’educazione alimentare.
Con l’aiuto della dottoressa Sonia Toni, responsabile dell’Unità di Diabetologia ed Endocrinologia Pediatrica all’ospedale “Meyer” di Firenze, che si confronta quotidianamente con il problema, abbiamo fatto il punto sulla situazione.
«Nella nostra società – ci ha detto – le problematiche alimentari e la disponibilità di cibo si sono modificate rispetto a un passato neanche troppo remoto. Siamo passati da una carenza qualitativa e quantitativa di cibo a un problema di eccesso, sia nella disponibilità sia nella varietà. Negli ultimi 50-60 anni le generazioni uscite dal dopoguerra hanno sperimentato, con la complicità dei loro genitori che avevano vissuto la carestia, l’abbondanza del cibo. In questo periodo sono state poste le basi per lo sviluppo dell’obesità che sta dilagando ai giorni nostri».
Anche fattori evolutivi, che affondano le radici in epoche remote, sono elementi che favoriscono l’obesità. Sottolinea Toni: «In passato, quando il cibo non era facilmente disponibile, l’aspetto florido e la capacità di accumulare riserve di grasso erano espressione di salute e garantivano maggiori chance di sopravvivenza».
Le conseguenze dell’obesità sulla salute di bambine e bambini sono purtroppo gravi. Aggiunge Toni: «Il bambino obeso è un bambino acutamente ammalato di una malattia soggetta ad aggravarsi, che può accompagnarsi a complicanze cardiovascolari, muscoloscheletriche, metaboliche, respiratorie e a una diminuita aspettativa di vita». Si tratta di un problema al quale contribuiscono vari elementi. Continua l’esperta: «I fattori coinvolti nella patogenesi dell’obesità sono molti: costituzionali, psicologici, socio-ambientali, educativi, culturali. Quindi, l’obesità è una malattia psicosociale che coinvolge il bambino, la famiglia, la scuola, la società, la sanità stessa, l’ambiente. Un intervento multidisciplinare dovrebbe comprendere ciascuna di queste componenti, al fine di creare una sorta di alleanza sociale e sanitaria. Il pediatra, di fronte a un bambino obeso, si trova purtroppo a combattere una battaglia difficile, segnata spesso da insuccessi, in un susseguirsi dinamico di progressi e delusioni».
Nell’approccio a un problema che ha molti fattori ed elementi, è importante coinvolgere diverse figure professionali e agire anche su un piano più profondo, costruendo consapevolezza. Aggiunge Sonia Toni: «È importante costituire un team multidisciplinare sanitario che, accanto al pediatra, preveda necessariamente lo psicologo per il bambino e per la famiglia, il dietista, il laureato in scienze motorie, l’educatore. Si deve sviluppare, nel piccolo e nella famiglia, la consapevolezza del problema. Ci si aspetta, talvolta, una soluzione a portata di mano, “la pillola” che rimedi a tutto velocemente e che permetta di perdere peso pur mantenendo le abitudini consolidate. L’intervento, invece, non può essere “puntiforme”, ma deve durare nel tempo. È necessario stringere un’alleanza terapeutica non solo con bambine e bambini, ma anche con la famiglia, per mantenere la motivazione. Questo richiede, per esempio, di porsi dei sotto-obiettivi che non necessariamente comprendono nell’immediato la perdita di peso».
Una strada importante da percorrere è quella della prevenzione, che passa attraverso una serie di azioni che coinvolgono l’intero contesto sociale. Per esempio, come osserva Sonia Toni, si possono pianificare interventi di contrasto alle abitudini che favoriscono uno stile di vita non corretto: «Le autorità comunali potrebbero progettare e realizzare aree pedonali e piste ciclabili, oltre a parchi dove fare sport e giocare in sicurezza, per favorire il movimento ed evitare il cosiddetto “diabete urbano”. Anche i media hanno la responsabilità di promuovere stili di vita sani e alimentazione corretta, insegnando per esempio a leggere le tabelle nutrizionali riportate nelle etichette dei cibi. È, inoltre, fondamentale limitare o relegare la pubblicità fuorviante e obesogena in fasce orarie non fruibili dai bambini».
Altre iniziative riguardano più specificatamente il ruolo dei genitori: «La salute di bambine e bambini – ricorda l’esperta – è determinata dalle corrette abitudini acquisite in famiglia». I bambini hanno una predisposizione evolutiva verso i sapori dolci e sono naturalmente diffidenti verso i nuovi sapori (tecnicamente si parla di “neofobia”). Ma il buon esempio dato dai genitori e la graduale proposta di nuovi cibi e preparazioni che coniughino gusto e salute potranno, nel tempo, aiutarli ad adottare abitudini sane da conservare per tutta la vita.
Aggiunge Toni: «Il periodo della gravidanza può essere l’occasione per approfondire, con corsi specifici, le nozioni di educazione alimentare, imparando anche a riconoscere i segnali di fame e sazietà del bambino e sfatando miti come quello che attribuisce automaticamente alla fame il segnale del pianto. Anche la promozione dell’allattamento al seno è importante, come dimostrano gli studi».
Prioritaria è poi la costituzione di un piano di educazione alimentare che diventi parte del progetto culturale scolastico in tutti i gradi dell’istruzione: «Lo studio dei principi della sana alimentazione – aggiunge Toni – deve essere un percorso che inizia fin dalle scuole dell’infanzia per creare una cultura del cibo sano, e deve essere accompagnato da un’offerta adeguata di cibi salutari e bilanciati nei distributori e nelle mense scolastiche, per non vanificare tutto attraverso dei messaggi contraddittori».
Tra i temi che è fondamentale includere nei percorsi educativi vi è il contrasto degli stereotipi che riguardano le persone in sovrappeso o obese, che ne feriscono gravemente la dignità e sono causa di fenomeni di bullismo ed episodi di violenza fisica e psicologica che possono avere un impatto anche fortissimo sulla salute psicofisica delle persone coinvolte, bambini e adolescenti compresi. La denigrazione del grasso corporeo (che in inglese si indica con l’espressione fat shaming, tradotta in italiano con il neologismo “grassofobia”) non contribuisce affatto, come a volte si crede, a stimolare uno stile di vita più sano, anzi tende ad aggravare i disturbi del comportamento alimentare e può essere terribilmente traumatica a tutte le età, in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza.
Le persone che si sentono oggetto di stigma, compresi i più piccoli, possono addirittura evitare di sottoporsi a visite mediche per il timore di essere discriminati in ragione del loro peso corporeo. Uno dei concetti che è fondamentale trasmettere alle nuove generazioni attraverso l’educazione ‒ nel ruolo di genitori, educatori e insegnanti ‒ è proprio il rispetto per tutte le persone.
Un importante tassello è rappresentato dai medici e pediatri di famiglia: «Tra gli interventi possibili c’è l’offerta di supporto ai singoli assistiti e alle famiglie con persone in sovrappeso, anche prima dell’arrivo di figli, per contribuire, tra l’altro, a sfatare miti come quello delle “diete miracolose” ed eventualmente indirizzare verso un adeguato sostegno psicologico o di counseling, quando necessario. Chiaramente non bisogna scoraggiarsi e si deve avere la consapevolezza che gli interventi preventivi porteranno a risultati tangibili probabilmente solo nel lungo periodo», conclude l’esperta.
Divulgatrice scientifica, è socia effettiva e presidente della sezione pugliese del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e membro del direttivo dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM. Scrive per diverse riviste cartacee e online, tra le quali Le Scienze, Mind, Uppa, Focus Scuola, Wired.it, Wonder Why, Scientificast.