«Non vedo l’ora di tornare al centro estivo e di dire a tutti che oggi è stata una gita bellissima!». Durante il viaggio di ritorno, Diego continuava a parlare emozionato, con gli occhi pieni di quella luce speciale che lascia l’aver fatto, e visto, qualcosa di unico.
Quando ripenso a quel momento provo di nuovo la gioia e la soddisfazione di aver trovato un modo per usare la bellezza come strumento educativo. Ho accompagnato lui e gli altri alla chiesa di San Gaetano a Padova, chiedendo a ognuno di portare con sé un binocolo e un telo da mare. Era una torrida giornata estiva, e i bambini si sono sdraiati sul pavimento fresco della chiesa. Così ristorati, hanno avuto modo di osservare con calma e tranquillità i dipinti della cupola, usando il binocolo. Ognuno, a rotazione, poteva fare una domanda su qualcosa che lo interessava. E la bellezza ha suscitato la loro curiosità, che ha trovato risposte nella storia.
Appena rientrati al centro estivo, tra i bambini che avevano aderito all’iniziativa è esploso l’entusiasmo: volevano raccontare tutto ai loro amici, e poiché le parole non sembravano sufficienti provavano a mimare l’esperienza. Soprattutto Diego. Più tardi ho domandato proprio a lui che cosa lo avesse elettrizzato tanto. «Tutto: il binocolo, il fatto che ci siamo sdraiati, e che potevo farti le domande… Che abbiamo corso nelle piazze, e che poi pensavo di raccontarlo!». E io incalzavo: «Ma i dipinti, il libro, i palazzi… che cosa ti ha colpito di più?». «Tutto, era tutto bello! Non noioso come al solito… era bello!».
La bellezza di ciò che ha visto, quindi, probabilmente non sarebbe stata colta al di fuori della cornice in cui è stata proposta: la condivisione con gli amici e una serie di attività pensate con il preciso scopo di innescare la curiosità. Potremmo dire che Diego si è accorto della bellezza perché ha provato emozioni che lo hanno fatto stare bene.
Un panorama suggestivo, il Duomo di Milano, il colonnato di San Pietro, Venezia, un’opera d’arte: sono tutti elementi di cui gli adulti vedono la dirompente bellezza. Ma un bambino davanti al Duomo di Milano non vede il Duomo, vede una grande piazza fatta per correre e giocare, immaginando di essere in mondi lontani e di affrontare nemici sconosciuti. E in piazza San Marco, a Venezia? Vedrà i colombi da inseguire, vedrà una folla di persone diverse, vedrà il mare all’orizzonte.
La vera sfida non è riconoscere la bellezza nelle sue grandi manifestazioni, siano esse naturali o umane, ma trovarla nella semplicità del quotidiano. È proprio questa ricerca il primo mattone di un’educazione alla bellezza.
Il metodo Montessori sostiene l’importanza educativa della bellezza, cominciando dall’ambiente.
Giulio ha pochi mesi e la mamma ha notato che, quando si fermano col passeggino sotto al grande platano del parco, lui osserva il movimento delle foglie. Sta scoprendo la natura, la ammira. La mamma lo lascia guardare fintanto che dimostra interesse, poi gli avvicina una foglia in modo che anche il tatto venga coinvolto nell’esperienza. E infine ripone la foglia nel portaoggetti, sotto al passeggino. La mamma già immagina che quella sera racconterà a Giulio la storia della grande foglia che lo ha voluto seguire a casa per guardarlo dormire.
Quando Maria Montessori parla di ambiente, però, non si riferisce solo alla natura; “ambiente” significa anche casa: uno spazio pulito, ordinato, a misura di bambino, armonioso e curato nei dettagli. Marta è una bambina di quasi 3 anni. Ogni giorno, quando uno dei due genitori va a prenderla dai nonni, è felice e lo manifesta. Ma nonostante sia sempre di buonumore, rientrando a casa talvolta lascia le scarpe e la giacca sul pavimento, anziché sistemarle, come fa di solito, al loro posto. Quando i genitori le chiedono il perché di quel comportamento, Marta non risponde. Una sera la mamma insiste, e Marta osserva: «Oggi la casa è brutta». La casa infatti non era ben ordinata. Più tardi, dopo che Marta è andata a letto, i genitori riflettono sulla sua risposta e arrivano alla conclusione che, per la bambina, ordine equivale a “bello” e disordine a “brutto”.
L’“atelier dove agiscono i cento linguaggi”, del “Reggio Emilia Approach”, è bellezza che produce conoscenza e viceversa. Nell’atelier la bellezza nasce dalla capacità di ascoltare il prodigio naturale che è il bambino rispettando la molteplicità dei suoi linguaggi. È quello che hanno fatto i genitori di Marta: hanno saputo ascoltare la loro bambina; hanno prima di tutto osservato i suoi gesti, poi le hanno chiesto le ragioni di un comportamento che non riuscivano a capire e che, senza dialogo, sarebbe stato affrontato in maniera non costruttiva. Hanno saputo cogliere “i cento linguaggi” di Marta. Hanno constatato che le sue azioni dipendevano dal loro modo di gestire la casa, più o meno ordinata a seconda degli impegni lavorativi. Per la costruzione della serenità familiare hanno modificato il proprio comportamento e creato un’alleanza con la figlia, condividendo con lei due conclusioni importantissime: che una casa ordinata è più bella, e che la casa è ordinata (e quindi bella) se ogni componente della famiglia mette le proprie cose al loro posto.
Le parole possono generare bellezza e lo fanno in vari modi. Le parole gentili, per esempio, creano bellezza nelle relazioni tra le persone.
Francesca ogni mattina sveglia i suoi bambini con la stessa frase: «Buongiorno, cuccioli, il sole è già alto e oggi ho deciso di essere felice!». Loro si alzano, dopo qualche inevitabile mugugno, e sul volto addormentato comincia pian piano ad aprirsi un sorriso.
«Per favore», «grazie», «prego», «di nulla», «buongiorno», «buonasera», «buonanotte» sono tutte parole gentili che generano ulteriore gentilezza, soprattutto se le pronunciamo sorridendo.
Le parole sono importanti da ascoltare, da dire, ma anche da leggere: nei libri diventano veicolo di storie e di avventure. La lettura è un momento di intima condivisione tra genitori e figli, e la storia letta insieme si trasforma in ricerca, emozione, viaggio e conoscenza.
La piccola Marta adora il momento in cui la mamma o il papà le leggono la storia della buonanotte. Ama ascoltare la loro voce e guardare le figure che scorrono veloci sulle pagine. Conosce a memoria il suo libro preferito, ma sa che il papà, ogni volta che lo legge, aggiungerà qualcosa di nuovo per sorprenderla, per regalarle un pensiero luminoso. E quando a leggere è la mamma, il libro prenderà vita per accompagnare le peripezie dei personaggi.
Ci sono tanti libri diversi, ognuno pieno di storie. La bellezza della lettura e dei racconti porta con sé spunti di riflessione, ricchezza di immagini, giochi di fantasia, insolite curiosità e opportunità di insegnamento, ma anche e soprattutto parole, cioè strumenti con cui i bambini potranno esprimere tutta la bellezza che li circonda.
I bambini, soprattutto i più piccoli, amano fare quello che fanno i genitori: vorrebbero passare l’aspirapolvere, rifare i letti, tagliare, cucire, impastare. C’è una soddisfazione antica nel riconoscere la bellezza del lavoro. Quando un bambino fa qualcosa, ha l’obiettivo di farla bene, ma la sua inesperienza dà inevitabilmente risultati diversi da quelli sperati.
Giulio cresce, affianca i genitori e Marta mentre preparano la cena. Il suo compito è tagliare le fragole per la macedonia. Le prime volte sono un po’ malridotte e tutte acciaccate, ma poi, frutto dopo frutto e cena dopo cena, i movimenti si affinano e il risultato migliora. E, alla fine, sul volto del bambino si manifesta la soddisfazione di essere riuscito a realizzare una cosa ben fatta.
Le occasioni per educare alla bellezza sono infinite. Perché educazione è bellezza da mostrare, da sottolineare, da comprendere, da interpretare, da indicare. La bellezza sta in ogni cosa, in ogni persona, in ogni emozione. È importante non nasconderla, ma svelarla; non sopprimerla, ma coltivarla. La bellezza, pur essendo potente energia, è delicata. Basta un passo per calpestare un fiore. Ma se quel passo è attento, il fiore crescerà e spargerà i suoi semi.
pedagogista, svolge attività privata di consulenza pedagogica nel sostegno alla genitorialità e al percorso di crescita nell’educazione allo studio di bambini e adolescenti. Coordina progetti di educazione ambientale ed extrascolastica e lavora come formatrice per genitori nella provincia di Padova. Dal 2018 scrive per Uppa.