Il ricordo dell’olio di fegato di merluzzo è ancora vivo nelle persone della mia generazione: ho circa cinquant’anni, e quando eravamo piccoli non esisteva bambino che non ricevesse ogni giorno il suo cucchiaio di olio di fegato di merluzzo, specie se qualche medico gli aveva messo addosso l’etichetta di “linfatico”. Etichetta che però avevano quasi tutti i bambini…
Ma c’era qualche buon motivo per dare olio di fegato di merluzzo a quei bambini? Possiamo dire che ce n’erano molti, anche se i medici magari non lo sapevano. Forse, il motivo della popolarità di cui godeva l’olio di fegato di pesce derivava dal fatto che erano disponibili molto pesce e molto olio di pesce di cui non si sapeva che fare. E quell’olio di pesce era in sé un contributo di poco prezzo e di gran valore alla nutrizione (un bel cucchiaio d’olio forniva comunque 200 calorie, e l’alimentazione allora era scarsa e povera di grassi nobili).
Certo, era ricco di vitamina A e di vitamina D, e i medici, per lo più, attribuivano a queste due vitamine le attività miracolose di quell’olio. Ma chi e come aveva scoperto tali qualità? Forse qualcuno aveva osservato che chi mangiava molto pesce stava meglio di chi ne mangiava poco, aveva intuito che nei Paesi del Nord, dove il merluzzo abbondava sulle tavole, i bambini stavano meglio che nei Paesi del Sud, dove il pesce c’era ma pochi ne mangiavano. Sono convinto, infatti, che in quei tempi in cui la ricerca medica balbettava, ci fosse un sapere popolare antico e profondo, in grado di ispirare la medicina; e che da quel sapere sia nato l’uso dell’olio di fegato di merluzzo, così come dall’uso del decotto della corteccia di salice deriva l’uso dell’acido salicilico con cui è preparata la vecchia Aspirina, il farmaco forse più prescritto nella storia.
Le virtù dell’olio di pesce sono dovute ad acidi grassi polinsaturi a lunga catena, appena diversi dall’acido oleico che è il principale costituente dell’olio d’oliva o del grasso contenuto nelle arachidi. Gli acidi grassi contenuti in grande abbondanza nell’olio di pesce (o di fegato di merluzzo, che è quasi la stessa cosa), e in particolare due tra questi acidi, l’acido eicosapentaenoico o EPA e l’acido docosaesaenoico o DHA, hanno alcuni effetti biologici molto interessanti.
Per farci capire meglio, dobbiamo dire che, mentre il nostro corpo modifica gli zuccheri e le proteine che sono contenuti nel cibo trasformandoli in molecole molto piccole, che verranno poi utilizzate per produrre energia o per fabbricare cellule, assorbe gli acidi grassi e li utilizza così come sono per formare il rivestimento delle cellule (membrane cellulari), da cui dipende in gran parte il funzionamento delle cellule stesse. Sicché, se noi mangiamo grassi di maiale, nelle nostre membrane cellulari andranno a finire gli acidi grassi corrispondenti; e così se mangiamo olio d’oliva, e ancora, se mangiamo l’olio di pesce. Insomma, siamo un po’ diversi l’uno dall’altro in funzione del grasso che mangiamo molto più che in funzione degli altri alimenti. Ora, questi acidi grassi di cui abbiamo appena parlato, EPA e DHA hanno un effetto antinfiammatorio, e questo si riflette, per esempio, sul modo in cui le cellule del nostro corpo reagiscono agli stimoli esterni, ma anche sulla loro capacità di riconoscere e accettare come “amici” i nostri stessi tessuti.
In sostanza, si sono osservati effetti quasi straordinari dell’olio di pesce usato come medicina (alla dose che ricevevamo noi da ragazzi, di un cucchiaio al giorno) in alcune malattie infiammatorie croniche, come un tipo particolare di efrite (la cui evoluzione viene bloccata da questo tipo di terapia naturale), nell’artrite reumatoide e in una particolare forma di infiammazione intestinale o enterocolite cronica che è il morbo di Crohn: si tratta di malattie, specialmente la prima, nelle quali gli antinfiammatori “normali” hanno un effetto insufficiente. Ma anche contro il semplice invecchiamento delle arterie, cioè l’arteriosclerosi, in parte causata da una lentissima infiammazione (che inizia già da bambini), questi acidi grassi hanno un’efficace azione preventiva. Questi acidi grassi sono chiamati omega-3.
Tutto ciò non è lontano dall’interesse del bambino: una buona nutrizione in età pediatrica e buone abitudini alimentari, come sono quelle che si acquisiscono da piccoli, esercitano i loro effetti per tutta la vita; e una buona abitudine, a parte l’olio di pesce (il cui gusto non è gradevole, ma a cui ci si può anche abituare), è quella di mangiare pesce: tanto più è grasso (come il pesce azzurro), tanto meno costa e tanto più è ricco in omega-3. Inoltre, molte delle azioni degli omega-3 sono efficaci proprio per quelle malattie della crescita che una volta si chiamavano linfatismo ed erano (e sono) espressione di una risposta immunologica distorta e per alcuni versi eccessiva.
Sembrerà esagerato, ma si è visto, con numeri al di sopra di ogni sospetto, che i bambini che mangiano poco pesce azzurro o non ne mangiano affatto hanno un’incidenza di bronchiti asmatiche che è doppia rispetto a quelli che ne mangiano spesso. Questi omega-3 a lunga catena possono essere elaborati dall’organismo partendo da altri acidi grassi omega-3 a catena più corta. Nei bambini prematuri, che non sono ancora capaci di effettuare bene questa elaborazione, l’assunzione di latte materno (molto ricco in omega-3) conferisce un vantaggio nello sviluppo del cervello rispetto ai prematuri allattati al biberon. Questo effetto ha suggerito di aggiungere gli omega-3 a tutti i latti, e ha addirittura fatto pensare alla preparazione di un latte “che sviluppi l’intelligenza”. In realtà, nel bambino nato a termine non si trovano differenze rilevanti riconducibili all’aggiunta di omega-3 nel latte di formula.
nato a Napoli nel 1947, è laureato in Medicina e Chirurgia e specializzato in Neurologia e Pediatria. È professore ordinario di Pediatria alla facoltà di Medicina dell’Università di Napoli Federico II, autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche e uno dei massimi esperti di ricerca in genomica e post-genomica della malattia celiaca, ed è impegnato nella ricerca di nuove terapie per malattie croniche e invalidanti del bambino.