Forse è capitato ad alcuni di voi di osservare vostro figlio mentre si porta le unghie alla bocca e le mordicchia, quasi sovrappensiero. Magari non vi siete accorti subito di questa sua abitudine, ad esempio se si tratta di un gesto che avviene prevalentemente nel contesto scolastico, magari durante i compiti in classe o le interrogazioni. Potreste però notare i segni sulle sue mani, soprattutto se il bambino mangia le unghie e anche le pellicine attorno, con conseguente arrossamento della pelle. Stiamo parlando dell’onicofagia, un comportamento piuttosto comune, specialmente durante l’infanzia o l’adolescenza.
In genere non si presenta prima dei 3-4 anni di età, quando cessa il bisogno di suzione e il piccolo non ottiene più rassicurazione e sollievo nella suzione del seno materno o del ciuccio. Diventa più frequente in età scolare, visto che riguarda il 28-33% dei bambini tra i 7 e i 10 anni, e soprattutto in età adolescenziale, quando arriva a coinvolgere il 45% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni. Se trascurata, l’onicofagia può però protrarsi anche in età adulta.
Sebbene si tratti di un’azione diffusa e apparentemente innocua, mangiarsi le unghie non è esente da rischi, e merita una maggiore attenzione nei casi in cui diventa per il bambino una modalità consolidata e frequente di regolazione del proprio stato emotivo.
Il termine onicofagia, a molti sconosciuto, è di derivazione greca. Viene da “ὄνυχος” (unghia) e “ϕαγία” (mangiare). Parliamo quindi dell’abitudine di portarsi alla bocca le unghie e morderle con i denti, da qui l’espressione molto più diffusa “mangiarsi le unghie”.
Per capire cos’è l’onicofagia e perché compare così presto non basta però conoscere l’etimologia del vocabolo, ma occorre comprendere perché il bambino si mangia le unghie, ovvero quali sono le cause dell’onicofagia.
In ambito psichiatrico, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) l’onicofagia è stata classificata inizialmente tra i “disturbi del controllo degli impulsi” che si presentano durante l’infanzia e l’adolescenza. Nella stessa categoria rientravano la tricotillomania (strapparsi i capelli) e anche condotte come la cleptomania o la piromania, accomunate dalla difficoltà ad astenersi dal mettere in atto un comportamento ritenuto nocivo per sé o per gli altri, spesso preceduto da una tensione crescente che viene alleviata, nonostante un possibile vissuto di colpa, una volta compiuto il gesto. Nell’attuale revisione (DSM-5-TR™), però, l’onicofagia è stata inserita nella categoria dei “disturbi ossessivo-compulsivi”, e più specificatamente tra i “comportamenti ripetitivi focalizzati sul corpo”. Questo significa che viene considerata una risposta compulsiva, quindi “incontrollabile”, a pensieri ossessivi, ovvero intrusivi, ricorrenti e di natura prevalentemente ansiosa.
Per spiegare in parte la sensazione di “incontrollabilità”, va sottolineato che, per la maggior parte del tempo, il bambino non ha la percezione di mangiarsi le unghie. Si tratta di un gesto automatico, ripetitivo, che ricorda il portarsi il cibo alla bocca o il grooming, cioè la pulizia della pelle e del mantello propri o di un altro membro del gruppo, comune a molti mammiferi. Ne consegue una maggiore difficoltà nel modificare questo comportamento, che avviene in modo spontaneo, con un basso livello di consapevolezza.
Secondo questa interpretazione diagnostica, dunque, il bambino si mangia le unghie perché avverte uno stato di tensione o di eccitazione vissuto come negativo, e utilizza in modo quasi inconsapevole questa modalità per controllare e regolare il proprio stato emotivo. Non a caso, l’ICD (dall’inglese International Classification of Disease), ovvero la classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi sanitari correlati, inserisce l’onicofagia tra gli “altri disturbi specifici del comportamento e delle emozioni” che si presentano durante l’infanzia e l’adolescenza, facendo un riferimento esplicito all’ambito emotivo.
Sono infatti i vissuti emotivi di più difficile gestione (rabbia, paura, ansia) a far sì che il bambino si mangi le unghie per trovare un sollievo temporaneo, spostando le proprie energie sul corpo (e quindi su qualcosa di più tangibile e controllabile).
Altri disturbi comportamentali ripetitivi correlati all’onicofagia sono la dermatillomania, ovvero lo stuzzicarsi la pelle causando lesioni (parlando delle dita: strappare le pellicine o le cuticole che circondano la lamina ungueale), e la dermatofagia, ovvero lo strappare con i denti ed eventualmente ingerire parte della pelle che circonda le proprie unghie. Si tratta anche in questo caso di azioni persistenti nel tempo e che tendono a cronicizzarsi, nonostante i tentativi di smettere o di tenerle sotto controllo.
Da genitori attenti, leggendo queste informazioni, potrebbe venirvi il seguente dubbio: “Se il nostro bambino si mangia le unghie e le cause dell’onicofagia si possono ricondurre a un vissuto emotivo negativo, significa che stiamo sbagliando qualcosa? Oppure che è preoccupato per qualcosa che sta accadendo magari a scuola o all’interno della famiglia?». Non necessariamente. Come vedremo più avanti, osservare i nostri figli e notare in quali momenti si mangiano le unghie può aiutarci a capire se si tratta di episodi isolati o se la frequenza elevata può essere la spia di una difficoltà nel regolare le proprie emozioni, o di un disagio più profondo. A volte ci sono effettivamente delle tensioni a scuola o nell’ambiente familiare (incomprensioni, litigi ma anche aspettative eccessive nei suoi confronti) a cui può essere ricondotta l’agitazione che il bambino esprime mangiandosi le unghie. In altri casi, le cause dell’onicofagia possono essere ricondotte a cambiamenti rilevanti che il bambino deve affrontare, come un trasloco, la separazione dei genitori o la nascita di un fratellino o di una sorellina. È anche possibile che questo gesto accompagni un’eccitazione temporanea, che si manifesta in momenti specifici di maggiore fatica, stanchezza o richiesta (competizioni sportive, esami scolastici, eccetera).
Una volta diventato un gesto abitudinario, anche l’inattività e la noia possono alimentarlo. Per questo motivo potreste notare che il bambino si mangia le unghie con maggiore frequenza in momenti di tranquillità, ad esempio mentre guarda la TV, o in contesti per lui noiosi o di attesa (durante lunghe cene o ricevimenti in cui deve stare seduto, nelle sale di attesa, durante il tragitto in auto, eccetera).
A favorire i comportamenti ripetitivi focalizzati sul corpo, tra cui l’onicofagia, troviamo inoltre la tendenza al perfezionismo, associata a un’insoddisfazione per le performance raggiunte e l’aggressività auto-diretta. Si può infatti considerare una forma di autolesionismo, che consente di rivolgere verso di sé il nervosismo e la tensione accumulata anziché indirizzare all’esterno la propria rabbia.
Fatta chiarezza sul significato di questo disturbo e sulla sua insorgenza, vediamo allora come risolvere l’onicofagia ed evitare che si cronicizzi.
Come anticipato, smettere di mangiarsi le unghie può non essere semplice, perché si tratta di un comportamento compulsivo, che avviene con un basso livello di consapevolezza e su cui il bambino esercita quindi poco controllo.
Di certo non bisogna arrabbiarsi con il bambino: punirlo, minacciarlo o incolparlo non sono soluzioni appropriate per l’onicofagia. Al contrario, queste modalità relazionali rischiano di aumentare il suo carico di tensione, frustrazione, rabbia e preoccupazione, minando la sua autostima ed esacerbando il problema.
Partiamo innanzitutto da cosa non fare? I rimproveri e i sensi di colpa non aiutano affatto: spesso chi si mangia le unghie prova già vergogna per questo comportamento, ritenuto dai più alla stregua di un vizio o di una cattiva abitudine. Per questo motivo è importante diffondere una maggiore consapevolezza anche esternamente alla famiglia su questo problema, e offrire al bambino tutto il nostro sostegno, la nostra accoglienza e la nostra fiducia senza sminuire né criticare il suo disagio.
Vediamo invece adesso di seguito quelle che sono le più comuni soluzioni per l’onicofagia. Alcune si concentrano solo sulla risoluzione del sintomo, agendo direttamente sul comportamento:
Questi stratagemmi pratici, immediati e di semplice utilizzo, hanno il limite di concentrarsi unicamente sull’evitamento del comportamento indesiderato. Il bambino potrebbe quindi smettere di mangiarsi le unghie per poi trovare un’altra via di espressione del suo disagio, non necessariamente più funzionale.
Vediamo quindi altre soluzioni per l’onicofagia che, a differenza delle due appena descritte, si propongono di aiutare il bambino a esprimere diversamente il suo vissuto emotivo:
Abbiamo visto dunque come risolvere l’onicofagia, ma più che risolvere la problematica stiamo favorendo un suo spostamento (seppur verso azioni più funzionali) e ancora non abbiamo orientato la nostra attenzione sulla causa. In altre parole, stiamo trascurando la ricerca e l’ascolto delle motivazioni del bambino, perdendo di vista il messaggio veicolato dalle sue emozioni e dai suoi vissuti.
Cosa fare quindi per accompagnare i nostri figli verso una maggiore consapevolezza e serenità emotiva, anziché ridurre il nostro intervento alla limitazione dei comportamenti manifesti? Si tratta di un discorso complesso, che può essere affrontato in modo più puntuale con una consulenza psicologica o pedagogica di sostegno alla famiglia. Possiamo però iniziare a prestare cura ad alcuni aspetti, ovvero:
Una volta individuata e affrontata la difficoltà manifestata attraverso l’onicofagia, questo disturbo si risolve da sé. Ma cosa fare se i nostri figli continuano a mangiarsi le unghie, e quando è necessario rivolgersi a un professionista per chiedere aiuto o consiglio?
Abbiamo visto come, nella maggior parte dei casi, l’onicofagia sia un’abitudine transitoria. Ma anche nei casi in cui si tratta di episodi isolati, è bene non ignorare i rischi che questo comportamento può avere per la salute. Minimizzare o negare le conseguenze del problema potrebbe rendere più difficile la sua individuazione. Trattandosi in genere di un’azione indiscriminata che colpisce tutte le unghie, queste rimangono generalmente di uguale lunghezza tra loro. Per questo il danno appare evidente sulle mani solo quando è già scoperto il letto ungueale, ovvero la zona al confine con le pellicine da cui nascono le unghie, il cui danneggiamento può provocare dolore, sanguinamento e arrossamento.
A quel punto si corrono diversi rischi:
Data la complessità del fenomeno, nei casi più difficili è preferibile adottare un approccio multidisciplinare, rivolgendosi al pediatra per la cura delle infezioni, allo psicologo o pedagogista per comprendere più a fondo l’origine e affrontare la problematica, al dermatologo e al dentista per curare eventuali danni di loro pertinenza.