Che sarebbe stato un tennista era stato deciso fin da prima che nascesse e quando il padre gli mise in mano una racchetta aveva soltanto pochi mesi. All’inizio era una racchetta da ping pong legata al polso con del nastro adesivo. Con quella il piccolo Andre doveva colpire le palle da tennis sospese sulla culla. A quattro anni Andre era in grado di palleggiare con i migliori tennisti di tutti i tempi e a sette trascorreva intere giornate a sfidare la macchina lanciapalle appositamente costruita dal padre: un mostro in grado di sputare 2.500 palle al giorno alla velocità di 180 chilometri orari, palle che atterravano ai piedi di Andre come «se fossero sganciate da un aereo». Dietro di lui il padre urlava incessantemente incitandolo a colpire più forte. 2.500 palle al giorno fanno 17.500 palle a settimana e quasi un milione l’anno. «Un bambino che colpisce un milione di palle l’anno sarà imbattibile». Questo sosteneva il padre di Andre che, per aiutarlo in questa impresa, aveva alzato la rete del campo da tennis di quindici centimetri, in modo da essere certo che quando Andre si fosse trovato a giocare a Wimbledon non avrebbe avuto problemi. Nessuno aveva chiesto ad Andre se volesse giocare a Wimbledon, ma questo non aveva alcuna importanza.
Open è l’autobiografia di Andre Agassi, uno dei più grandi campioni del tennis mondiale. Ma quella che ha scritto non è soltanto la storia di un campione.
Andre Agassi, come spesso avviene ai cosiddetti bambini-prodigio, è stato derubato dell’infanzia da un padre violento e perfezionista. Con la sopraffazione che soltanto un perfezionista può esercitare, questo padre ha raggiunto il suo obiettivo, è arrivato dove non era riuscito con gli altri tre figli: ha fatto di Andre il numero uno del tennis mondiale. Quando il figlio si rese conto di odiare il tennis era troppo tardi e non aveva più scelta: giocare era l’unica cosa che sapeva e poteva fare. Impossibile tornare indietro.
È questo che i genitori perfezionisti, a volte vittime di un’aspirazione tradita o frustrata, fanno ai loro figli: imponendo loro il proprio sogno, sottraggono loro le aspirazioni, fanno inaridire e seccare i loro sogni, in sostanza impediscono loro di capire chi sono e cosa desiderano. Quando arriva la consapevolezza, il dolore è troppo forte.
Quella di Andre Agassi è una storia esemplare, appassionante e commovente, una lettura che consigliamo a tutti i genitori per tenere ben presente che i figli non sono nati per nutrire il nostro orgoglio, per restituire ciò che abbiamo dato e che se abbiamo una responsabilità nello stimolare in loro un talento o una vocazione, per usare le parole di Natalia Ginzburg, perché questa vocazione cresca c’è bisogno di spazio e silenzio: «Il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre tra noi e i nostri figli deve essere uno scambio vivo di pensieri e sentimenti e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio. […] noi dobbiamo essere, per loro, un semplice punto di partenza, offrigli il trampolino da cui spiccheranno il volo».